Politica

di Giovanni Marcotullio

La fame di Ivan, paravento di una sconfitta politica

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Se qualcuno di voi si stava interrogando sullo stato di salute di Ivan Scalfarotto, ormai prostrato in uno sciopero della fame che dura da più di due settimane (lo dice lui, e perché non dovremmo credergli?), sappiate che in questi giorni il sottosegretario sta intervenendo di persona, nonostante la fisiologica debilitazione fisica, per fugare ogni sospetto sulla sua incolumità.

Il presenzialismo mediatico del parlamentare piddino sta crescendo mano a mano che aumentano i giorni della sua protesta radicale. Sicuramente Scalfarotto si è ricordato che il profeta Isaia, verso la fine del suo libro, diceva: «Perché digiunare, se tu non lo vedi? / Perché mortificarci se tu non lo sai?». E allora, davanti al rischio di non individuare il “tu” di cui parla il testo, l’onorevole va in televisione per farlo vedere, e per farlo sapere, a tutti quanti, che sta digiunando.

Soprattutto per farlo sapere, visto che a vedersi si vede ben poco, ma anche lì dev’essere stato per scrupolo evangelico – là dove Gesù ammoniva a “profumarsi il capo” perché non si vedano i segni del digiuno – che Scalfarotto avrà chiesto alle truccatrici di restituirgli con le loro arti cosmetiche la consueta salubre carnagione che abbiamo imparato a riconoscere.

Perché davvero a vederlo uno non crederebbe mai che quest’uomo stia andando avanti da due settimane e mezzo con due tazze di caffellatte al giorno, ma se lui lo dice evidentemente la cosa sta così. Luca Sappino, intervistandolo, è rimasto così colpito dalla calma serafica con cui il sottosegretario portava avanti la sua battaglia gandhiana, che non ha potuto esimersi dall’esordire con un “onorevole, come sta?”. Possiamo dunque placare tutti le nostre apprensioni: Scalfarotto sta bene e ce lo ha dimostrato.

Il protratto digiuno anzi gli conferisce un certo virgore argomentativo, ce ne siamo accorti soprattutto la mattina dell’11 luglio, quando Scalfarotto è intervenuto a Coffee Break su La7 con l’ex ministro Corrado Passera: in quel frangente gli italiani ancora intorpiditi dal sonno sono stati risvegliati con un colpo di scena da commedia dell’arte, quando hanno saputo da Scalfarotto che qualche anno fa Passera ha fatto da testimone a un “matrimonio” tra due uomini a New York. L’ex ministro del governo Monti si è schermito a occhi bassi e tono sommesso: «No, ma io sono d’accordo sulle unioni civili, anzi siamo indietro, dobbiamo farle subito». E Scalfarotto, come misticamente rinvigorito dal digiuno, lo incalzava: «Ma io ricordo bene il tuo commovente discorso augurale all’indirizzo dei due “sposi” [segni diacritici d.r.], tu lì stavi parlando precisamente di un matrimonio, non di vaghe “unioni civili”». E lui, come sopra ma un po’ più rannicchiato nelle spalle: «Sì, ma l’articolo 29 della Costituzione… la famiglia non va confusa…». Ormai l’esangue Scalfarotto gli era addosso e tale era la sua leonina morsa alla giugulare di Passera da permettergli di passare per quello che gli faceva grandi elogî politici: «Io in quel frangente ho visto due uomini politici [Passera non era solo, Scalfarotto non ha rivelato chi fosse l’altro] che stavano dalla parte giusta della storia [sic]». E concludeva, non senza una consequenzialità logica condivisibile: perché non può dire in Italia, il dottor Passera, quello che a New York (e anche durante il ricevimento milanese dello stesso “matrimonio”) diceva alzando in mano una disinvolta coppa di champagne?

Non fa una piega. Perché no? Ma perché Passera si propone come la nuova icona del vecchio centrodestra, e quindi ambisce (nemmeno segretamente) al grande tesoro di voti dei mitologici “moderati italiani”, per loro natura mediamente conservatori.

Il digiuno fa bene a Scalfarotto, dal momento che per una volta ha parlato di fatti reali, in un suo intervento in materia di ddl Cirinnà (a lui non piace che si ricordi che è la senatrice, e non lui, a mettere faccia e nome sulle unioni civili, ma la storia sembra andata proprio in quest’altra direzione e ci scuserà, il deputato): dalle sue parole dell’11 luglio gli italiani hanno imparato un paradigma della coerenza politica dell’ex ministro Passera. Ogni cittadino ignaro di ulteriori fatti non può che augurare all’ex membro dell’esecutivo Monti che le iscrizioni al registro degli indagati del gennaio e del settembre 2014 si risolvano con piene assoluzioni (come già quella del giugno 2012), ma di certo il fatto raccontato in televisione da Scalfarotto (e non smentito dall’interessato, contestualmente presente) costituisce un importante elemento di valutazione di Italia Unica, per gli italiani che sanno far di conto. C’è infatti da temere che sia “unica”, quell’Italia, in quanto è sempre la stessa e non cambia mai in certe sue doppiezze e ambiguità.

Ma poiché mano a mano che i giorni passano più acuto e pungente si fa tra gli italiani il cruccio per la sorte del mahatma Scalfarotto, il novello Gandhi (parole sue impresse sulla sacra pagina di Repubblica), ecco che ieri mattina ce lo siamo ritrovato anche a Uno Mattina Estate. Per pochi minuti, perché non si deve approfittare delle facoltà di un uomo sottoposto a quello stress psicofisico: peccato però, perché certi argomenti andrebbero trattati con calma e senza fretta. Sette minuti sono anche troppi per liquidare uno che ti dice di essere contrario al “matrimonio” gay mentre qualche anno fa avevate fatto insieme da testimoni a una messinscena paramatrimoniale.

Se davanti ti trovi invece Paola Binetti sette minuti possono diventare lunghissimi, perché magari la deputata dell’UdC ha voglia di spiegare in televisione che le “unioni civili” sono un attentato al matrimonio in quanto ne rapinano surrettiziamente i punti più specifici ed esclusivi. Ma anche questo non dovrebbe mettere in difficoltà Scalfarotto, cui va tra gli altri meriti anche quello di aver demitizzato il “nome da Realpolitik” del “matrimonio” gay alla Cirinnà. In realtà la Binetti doveva spiegare questa evidenza ad altri suoi colleghi, perfino a politici sedicenti cattolici (come quello che Scalfarotto aveva delicatamente strangolato nel match precedente), che ancora si gingillano nel fingere che si possa parlamentare quello che per principio la parte avversa, una volta gettata la maschera, ha dichiarato a denti stretti “non negoziabile” (li rivendicano anche loro, i “valori non negoziabili”). In parole poverissime: è inutile chiedere alla Cirinnà e a Scalfarotto (che non c’entra niente, in senso stretto, ma di cui bisogna far menzione se non altro in omaggio alla sua stoica protesta) di emendare il ddl sui punti per cui il ddl esiste. È inutile e al contempo stupido, considerando come in Italia le leggi vengano di fatto smontate e rimontate in sede giudiziaria, invece che in sede parlamentare (si impari almeno qualcosa, dalla vivisezione e dall’ignobile smembramento della Legge 40 – fatta al riparo della legge perché ordita da chi la legge la maneggia).

Ma Scalfarotto sa bene che il pubblico televisivo, la mattina del 15 luglio, potrebbe essere solo parzialmente disposto a seguire un argomentare serrato. Ragion per cui ha sagacemente deviato il discorso nell’elenco di tutti gli stati in cui il “matrimonio” omosessuale è definito e imposto dalla legge. Chiunque si renderebbe conto, anche solo richiamando alla mente i ricordi di liceo, che difendersi dal rischio di beccarsi un’insufficienza per impreparazione con la conta degli altri compagni impreparati non può essere considerata una via d’uscita concretamente praticabile. Ma fa il suo effetto. Almeno in cinque minuti di “dibattito” televisivo: uno ti chiede, giustamente, “perché?”, e tu rispondi, furbamente “perché no?”. Poi ce ne sarebbero, di cose da dire sul “perché no”, ma il tempo è tiranno, la pubblicità incalza e il palinsesto scalpita.

È capitato ancora, però – dev’essere un altro frutto del digiuno – che Scalfarotto si sia riferito a un altro fatto, invece che ai paralogismi: raccogliendo gli ultimi barlumi di un’energia che a dispetto delle apparenze non può che scemare in lui, ora per ora, il sottosegretario ha chiesto perché lasciare un vuoto legislativo su un comportamento già praticato dagli italiani (il pensiero doveva andare al suo collega e compagno di partito, Sergio Lo Giudice)? Perché insomma non si può tutelare per legge chi va all’estero a comprarsi i bambini se tanto non è illegale andare all’estero a comprarsi i bambini? È vero, il senatore Lo Giudice è andato all’estero e se l’è comprato, un bambino, che col ddl Cirinnà potrebbe mendacemente ma legalmente essere definito figlio suo e del suo partner. Dunque perché non far passare il ddl Cirinnà?

E ha ragione, Scalfarotto, forse più di quanto sappia e sicuramente più di quanto vorrebbe: è sempre per una crepa che viene giù la diga, e il suo indicare la crepa è per lui pegno di speranza, mentre per noi dev’essere monito di realismo. Se la legge 40 aveva un difetto, così com’era stata promulgata, non era nell’impedire la fecondazione eterologa, ma nel permettere quella omologa – legge che ha creato costume e annacquato le coscienze preparando il concetto di “diritto al figlio”. Concetto aberrante perché una persona a cui un’altra persona abbia diritto, una “persona alterius iuris” (avrebbero detto i buoni giuristi latini) è uno schiavo. E allora è solo questione di tempo: se quella omologa sì, perché quella eterologa no? E se due lesbiche possono agevolmente procurarsi i mezzi per mettere al mondo figli loro, perché ai gay si dovrebbe impedire di accedere a quei mezzi? Scalfarotto ha ragione e ci ha richiamati al punto: nessun compromesso è possibile. Il ddl Cirinnà dev’essere respinto con fermezza, oggi e sempre; a un abominio come l’utero in affitto (con buona pace della Cirinnà, che vorrebbe darci a bere che ci siano donne disposte a farsi locare gratis) va dichiarata una guerra senza frontiere.

Scalfarotto diceva, a Coffee Break, che quei due politici di cui parlava erano «dal lato giusto della storia». Se una simile affermazione l’avesse fatta un suo contraddittore, l’onorevole l’avrebbe senza dubbio accusato di odiosa omofobia (e che ci vuole? Con un concetto tanto proteiforme!). Torna in mente un’altra torrida estate italiana, quella del 1938: proprio ieri ricorreva l’anniversario del “manifesto degli scienziati italiani razzisti”, altri eroi che pretendevano di affermare senza ulteriori dimostrazioni che “il lato giusto della storia” era il loro. Ebbene, in quel clima di regime rodato e già votato all’autodistruzione il manifesto fece da battistrada alle leggi razziali, varate proprio nell’autunno del 1938. Fu un autunno rovente, in cui per grazia di Dio si levò da Oltretevere la voce indomabile di Pio XI, “un uomo dal collo duro” (così Mussolini): fu così solo nel denunciare l’abominio di quelle leggi, all’indomani della loro promulgazione, che soltanto un giornale belga ne riportò le parole. Anche in questo autunno, caro Scalfarotto, ci saranno degli scontri senza quartiere: ci saranno i nostri ponti (nostri! di noi cultori della differenza delle due sponde) che scavalcheranno e neutralizzeranno i vostri muri di chiacchiere omomani.

L’identico e il diverso si affronteranno sul terreno di battaglia della famiglia, onorevole Scalfarotto, nella maestosa e mistica cornice della Chiesa cattolica che si ritira in sé per pronunciare ancora una volta la parola di Cristo su matrimonio e famiglia. E quella parola, quella stessa che cura le malattie e risuscita i morti, è quella che dissipa le tenebre e distrugge gli errori. Non si illuda l’onorevole che ci sia un Dio interessato al suo digiuno.

Ma Scalfarotto è pragmatico e lo sa: gli idoli che deve placare sono gli attivisti LGBT, da tempo oltremodo irritati per la sua evidente impotenza a ottenere un qualsivoglia risultato concreto: come il Marchese Del Grillo si sporcò dunque del sangue di Ricciotto per fingere di aver strenuamente difeso il Quirinale (caduto invece senza il minimo disordine), così il sottosegretario si imbratta di cappuccini. Il punto è che Pio VII sapeva bene che Onofrio Del Grillo non aveva alzato un dito per difendere lo Stato pontificio; Vincenzo Branà, presidente dell’agguerritissimo (e foraggiatissimo) circolo LGBT del Cassero, lo sa bene quanto Papa Chiaramonti. Ma non sembra altrettanto disponibile all’indulgenza.

Onorevole Scalfarotto, visto che ormai siamo anche noi nella sua nutrita rassegna stampa, ascolti un buon consiglio: mangi (e lo dica in giro senza timori), metta da parte l’orgoglio e accumuli energie. Sono in arrivo per lei tempi magri. E duri.

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16/07/2015
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Nel 1980 consegue la specializzazione in Ginecologia e Ostetricia e nel 1988 quella in Urologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
E’ docente di Medicina dell’Età Prenatale presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia, Scuola di Specializzazione in Genetica e diploma di laurea di Ostetricia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. E’ docente dei corsi di Perfezionamento e dei Master in Bioetica presso il Pontificio Consiglio per gli studi sulla famiglia Istituto Giovanni Paolo II.
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