Politica

di Gianfranco Amato

Alea iacta est

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Il dado è tratto, abbiamo attraversato il Rubicone. Con la trepidazione e il fervore che hanno tutte le grandi decisioni irrevocabili, abbiamo compiuto un importante gesto che segnerà la storia del nostro Paese.

Il proditorio tradimento da parte di un manipolo di soi-disant senatori cattolici che si è consumato a Palazzo Madama nel tardo pomeriggio del 25 febbraio 2016 (data che merita un posto d’onore nel calendario delle italiche infamie), ha rappresentato un fondamentale punto di svolta nello scenario, di per sé già desolante, della politica italiana. Quella ignobile pugnalata, infatti, ha colpito tre schiene contemporaneamente. La schiena del festoso popolo del Family Day trionfante al Circo Massimo, che per un momento si era illuso di poter contare su rappresentanti parlamentari meno pusillamini e codardi. La schiena della sana dottrina cattolica che, secondo le parole dell’indimenticato Joseph Ratzinger, definisce «atto gravemente immorale» per un parlamentare cattolico «concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società», qual è il «progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali». La schiena di tutti gli italiani – cattolici e non – che quei parlamentari li avevano votati, convinti che oltre alla morbosa affezione per cariche, incarichi e relative prebende, essi nutrissero anche una larva di idea, ideale o valore, almeno sui principi non negoziabili di vita, educazione, famiglia. Ora tutti gli elettori sanno che per costoro non v’è davvero nulla che non possa essere negoziato.

Per questo abbiamo dovuto, nostro malgrado, assumere la drastica risoluzione di varcare il Rubicone che separa il mondo reale del popolo dal palcoscenico della teatrante politique politicienne. Lo spettacolo che quella compagnia di giro continua ad infliggerci – soprattutto oggi con il suo attuale impresario fiorentino – si è oramai ridotto ad una noiosa vaudeville che non diverte più nessuno. Il punto è che quegli attori da avanspettacolo stanno ora diventando pericolosi. Il parlamento, infatti, non è più soltanto il proscenio in cui si recitano perfomance ormai indigeribili, ma è diventato il luogo in cui si assumono decisioni antropologiche tali da incidere profondamente nella civiltà del nostro popolo. In quel luogo oggi, infatti, si decide come l’essere umano debba nascere (fecondazione artificiale), come debba morire (eutanasia), chi sia davvero (identità di genere), cosa sia la famiglia, da chi possano essere adottati i minori, se ha ancora senso il concetto di “fedeltà coniugale”, e così via. Davvero qualcuno munito di sano raziocinio può pensare che simili tematiche debbano essere lasciate alla decisione di un gruppo di attori mediocri e di politicanti mercenari? Possiamo davvero consentire che venga perpetrata una devastante rivoluzione antropologica da parte di quattro radical chic che, tra un Martini e un corteo, confondono diritto e desiderio, o da una sinistra ridotta a brand che mischia rivendicazione e capriccio, legalismo e pratiche di sfruttamento “legale” del corpo altrui, come ha mirabilmente evidenziato Michel Onfray? No, noi non possiamo! Occorre che il popolo, quello vero, torni a riappropriarsi della sua sovranità e fermi questa barbarie, arresti questa deriva, argini questo declino, blocchi questo decadimento, faccia cessare questa regressione, salvi la nostra civiltà.

Per questo è nato “Il Popolo della famiglia”.

Oggi viviamo nel nostro Paese un momento storico in cui sembrano riecheggiare le parole del profeta Isaia: «Il mio popolo! Un fanciullo lo tiranneggia e le donne lo dominano» (Is. 3, 12). Ebbene, è arrivato il momento di deporre il tiranno fanciullo Renzi, e di fermare il dominio matroniano delle varie Cirinnà, Giannini, Fedeli, Boschi, Boldrini.

Tutti coloro che al Circo Massimo il 30 gennaio scandivano a gran voce la frase «Renzi ci ricorderemo!» oggi hanno la possibilità reale di ricordarsi di lui, non con la protesta ma con l’azione. E’ arrivato il momento di rendere concreta quella minaccia.

Parafrasando il grande don Luigi Sturzo, anche noi vogliamo rivolgere un appello, senza pregiudizi né preconcetti, a «tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria», perché uniti insieme possano propugnare nella loro interezza gli ideali della famiglia, della vita, dell’educazione, della giustizia e della libertà.

Vogliamo iniziare così, “nel nome di Dio”, questa avventura di popolo, proprio come la prima “crociata dei pezzenti” di quel lontano maggio 1096, in cui un gruppo di gente comune fatta di contadini, preti, monaci, donne, cavalieri e signori decaduti, guidato da due carismatici trascinatori come Pietro l’Eremita e Gualtieri Senza Averi, decise spontaneamente di agire, mentre i principi militarmente organizzati perdevano tempo a discutere su come e quando dover intervenire.

Di quell’epica esperienza non vogliamo certo emulare il tragico epilogo che ne segnò la fine, ma il gioioso entusiasmo e l’ingenua baldanza che la originò. E di essa certo condividiamo il motto coniato da Pietro l’Eremita: Deus lo vult!

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04/03/2016
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