Storie
di Lucia Scozzoli
Matrimonio lesbico in una chiesa di Macerata
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Sabato scorso sono convolate a unione civile (si dice così?) in provincia di Macerata la civitanovese 26enne Arianna Apolloni e Mariela Gabriela Maldonado, di anni 35, e ce l’hanno fatto sapere con un servizio pieno di foto lussureggianti pubblicato su Cronache maceratesi.
Due abiti da sposa bianchicci, una cinquantina di invitati, l’assessorA Cristiana Cecchetti con una improbabile pettinatura a treccine arcobaleno e, udite udite, una chiesa (per fortuna sconsacrata) come location.
All’uscita, non riso ma coriandoli arcobaleno (che fantasia).
L’assessore si è commossa, ha pronunciato un discorso tutto miele e politically correct: «Siete qui per amore e l’amore non divide mai, il matrimonio è sempre un momento di gioia, è la normalità, ma anche una piccola rivoluzione» aggiungendo poi l’ingrediente segreto per un’unione duratura: «c’è un cocktail che fa durare l’amore, è fatto di tolleranza, fiducia, tenerezza che è più duratura della passione, e rispetto».
Vorrei dissentire solo su un punto, al massimo due: prima di tutto il matrimonio non è una piccola rivoluzione ma un vero stravolgimento di prospettiva, è l’ingresso nell’universo del dono di sé, della condivisione e della gratuità. Secondo, quello tra Arianna e Mariela non è un matrimonio.
Non lo è dal punto di vista giuridico (per quanto i nominalismi contino sempre di meno e le parole al giorno d’oggi assumano talvolta significati quasi opposti a quelli che rintracciamo nei dizionari), e non lo è nemmeno dal punto di vista sostanziale: il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna che suggellano un patto senza data di scadenza né fini espliciti, se non quello di mostrare la propria disponibilità alla vita che potrà venire, accoglierla, proteggerla, educarla e fornire alla società intera il dono impagabile di una nuova generazione.
Le persone non sono fatte per vivere sole, se non pochi e rari eremiti che fanno dell’ascesi lo scopo della vita e si nutrono di comunione con ben altri piani relazionali. Anche chi è single, ha amici, ha una rete di conoscenze più o meno strette con cui condividere cose belle e cose brutte, con cui piangere e ridere, con cui litigare e riappacificarsi. Tolleranza, fiducia, tenerezza e rispetto sono ottimi ingredienti per far durare una relazione, di qualunque natura essa sia, l’assessore ha detto sagge parole. Però il matrimonio è qualcosa in più e di diverso: è la complementarietà emotiva, psicologica e fisica tra maschile e femminile che trova un punto di equilibrio e accetta la sfida di cercare di corrispondersi il più possibile, stiracchiando ora un po’ qui, ora un po’ là, per aggiustare due mezze mele che non combaciano mai perfettamente. A volte c’è da chiedersi chi ce lo fa fare ad imbarcarci in simili eroiche imprese, ma la risposta l’ha data la natura, che ha sempre avuto come scopo quello di perpetuare la specie, inventando così quella cosa folle che si chiama attrazione sessuale e che rende le donne come carta moschicida per gli uomini e viceversa.
Il matrimonio cristiano, in più rispetto a quello civile, ci mette il sacramento, che sarebbe quell’aiutino vigoroso che permette di superare i momenti difficili puntando lo sguardo a Colui che dall’altare ha pronunciato le parole “non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce”. Non è la chiesa edificio che fa il miracolo, è lo Spirito Santo, e dentro una chiesa sconsacrata, davanti al sindaco in fascia tricolore, non c’è.
È abbastanza inutile scimmiottare una celebrazione religiosa per fugare i sensi di inferiorità che le unioni civili si portano dietro per vizio di nascita, non basteranno 50 invitati plaudenti, un colonnato rinascimentale e due abiti da sposa per fare una messa.
Le due donne si sono lette pure promesse strappalacrime, in piena tradizione americana (la globalizzazione della tv ha colpito ancora): «Nulla di quello che avrei potuto scrivere sarebbe stato alla tua altezza, sarò la miglior moglie che tu possa desiderare, tu sei il mio solo destino», «Mi sono sempre sentita incompleta, ho viaggiato tanto e alla fine ti ho trovata, se ho te al mio fianco io non ho paura, io sarò con te, tu sarai con me, per questa vita e oltre».
Carina questa cosa, della “vita e oltre”, mi viene in mente la battuta del cartone animato Toy story: “verso l’infinito e oltre”.
L’uomo ha in sé una incredibile fame di infinito e di eternità, incomprensibile considerando che l’unica certezza della vita di tutti è che moriremo. Nel nostro occidente anticlericale non lasciamo più alla Chiesa il monopolio sull’aldilà, ognuno fa da sé anche in questo e così queste due donne possono avere l’ardire di recitare un matrimonio religioso in una chiesa sconsacrata, facendosi pubblicamente benedire da laiche autorità per condurre alla luce del sole la loro vita di violazione della morale cattolica, cosa che per definizione preclude loro quell’oltre a cui dicono di anelare. Ma tanto si saranno prefabbricate già un’idea di paradiso a loro uso e consumo, cosa molto meno faticosa che convincere l’intera società che due donne che si baciano sia normale.
Mi dispiace per Arianna e Mariela, perché capisco il profondo bisogno di accettazione e approvazione pubblica che ogni persona vive, nelle proprie scelte esistenziali, ma non mi viene da applaudire. Una profonda tristezza mi coglie invece, per la confusione morale in cui la nostra società sta precipitando. Ognuno è libero di compiere le scelte private che preferisce, ma io non voglio essere obbligata ad approvarle. E finché esiste la libertà di espressione (forse non ancora per molto) intendo dirlo chiaramente. L’unione di due donne non è un fatto naturale né ordinario, sia dal punto di vista biologico che statistico. Non ci trovo motivi per festeggiare. E il giornalismo prono all’agenda LGBT che deve celebrare l’apoteosi dell’assurdo si scontra con la società fatta di uomini e donne che sanno benissimo ritrovare nel proprio disagio di fronte a simili pagliacciate l’ovvia verità antropologica che ci contraddistingue.