Società
di Claudia Cirami
Una carta femminista contro la GPA
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Non è una battaglia confessionale. Da ieri, nero su bianco, è chiaro a tutti: la maternità surrogata non è un bene da tutelare, ma un male da vietare e a ritenerla tale è un universo variegato di donne e uomini che provengono da esperienze politiche diverse e che hanno storie culturali differenti. Tutti però esprimono la medesima convinzione: la maternità surrogata cancella la madre e svilisce la dignità della donna; tratta il bambino come un oggetto; costruisce la felicità di alcuni sui drammi di altri.
Le donne di “Se non ora quando – Libere” insieme a tante figure partitiche, culturali, dell’informazione e attivisti per i diritti civili (anche provenienti dal mondo LGTBQI) hanno chiesto all’Onu di aprire una procedura per raccomandare finalmente il divieto della maternità surrogata. La firma del testo è avvenuta durante l’incontro internazionale “Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata. Una sfida mondiale“, che si è svolto a Roma, nella Sala Regina della Camera dei deputati, il 23 marzo. Da Cristina Comencini a Susanna Tamaro, da Livia Turco a Mara Carfagna, da Anna Finocchiaro a Beatrice Lorenzin, tante donne (ma anche uomini) insieme per portare avanti quello che è, oggi, uno dei problemi principali che deve affrontare l’umanità. Per le donne che hanno aderito a Se non ora quando. Libere questo testo è il punto di arrivo di quella consapevolezza che si è fatta strada da tempo e che è espressa nello slogan/programma “riprendiamoci la maternità”.
La motivazione per dire no a quello che viene chiamato anche “utero in affitto” è gravissima: la pratica contestata da chi ha firmato il testo è «incompatibile con il rispetto dei diritti umani e della dignità delle donne». Di fatto, una laicissima “scomunica” senz’appello per una “soluzione” che ancora si tenta di far passare come una conquista di civiltà. Il testo integrale è reperibile sul nuovo sito delle donne che aderiscono a Se non ora quando - Libere: www.cheliberta.it ed è consultabile anche nella versione inglese e francese.
Tra i motivi per richiedere di vietare la maternità surrogata, il primo scelto dai firmatari è strettamente relativo alla donna. Il testo non usa mezzi termini: la pratica si costituisce come «appropriazione delle capacità riproduttive delle donne», esercita «un controllo estremamente severo su tutti gli aspetti della loro vita durante la gravidanza» ed espone a rischi concreti «la loro salute fisica e psichica al solo scopo di soddisfare il desiderio di terzi». La verità, finalmente, è emersa in tutta la sua drammaticità. La prima vittima della maternità surrogata è la donna, che si vede trattata come un contenitore, mercificata, ferita psicologicamente da uno strappo di cui solo più tardi avvertirà pienamente le conseguenze, e persino esposta a seri rischi per la salute fisica, compresa la morte. Il testo non esagera: una ragazza indiana, Sushma Pandey, è morta nel 2010 a diciasettenne anni per essersi sottoposta per la terza volta in diciotto mesi alla stimolazione ovarica.
Il testo non gradisce l’espressione “gestazione per altri”, preferendole maternità surrogata. Il dibattito sull’espressione è ancora più profondo di quello che si evince dal testo. Per capire i termini della questione, ci si può riferire a quello che ha scritto Michela Murgia, quando aveva spiegato che l’espressione “maternità surrogata” non era accettabile: «Chi si oppone alla gravidanza surrogata chiamandola “maternità” e adducendo come motivazione l’unicità insostituibile del legame che si stabilirebbe tra gestante e feto sta ponendo le condizioni perché gravidanza e maternità tornino a essere inscindibili e quella sovrapposizione torni a essere usata contro le donne SEMPRE (in maiuscolo nel testo, n.d.r.), ogni volta che per i motivi più svariati provassero a scegliere di non essere madri.» (L’Espresso, 2 Febbraio 2016). Nemmeno questa tipica obiezione femminista è riuscita, però, a dissuadere le tante donne che hanno firmato il testo. Esse hanno compreso che gravidanza e maternità non possono essere separate. I firmatari del testo, infatti, spiegano che: «nell’apparente esaltazione del desiderio di generazione la maternità – che è un complesso unitario di desiderio, pensieri ed emozioni insieme a processi chimico-biologici che coinvolgono la donna e il nascituro – viene, invece, scomposta in tanti pezzi distinti uno dall’altro, come se si trattasse di una cosa».
Interessante è poi la contraddizione notata tra questa pratica e «lo sviluppo della ricerca medica che parla dei legami e degli scambi sia biologici che affettivi tra la madre e il feto». Mentre infatti la scienza testimonia quello che il cuore delle donne ha sentito fin dagli albori – e cioè l’inscindibile legame che si crea tra madre e figlio fin dal concepimento – la maternità surrogata va in tutt’altra direzione.
Anche riguardo alla libertà delle donne c’è molto da dire: dopo aver rivendicato per molto tempo il diritto ad abortire, ora la possibilità di farlo viene messa nelle mani di altri. Nella maternità surrogata «la madre perde di fatto questa facoltà, che si tratti di una gravidanza che mette in pericolo la propria salute o di una malformazione del feto». Si può non essere d’accordo con una motivazione che sottintenda come optimum l’avere conquistato il diritto ad abortire. Ciò che tuttavia appare degno di nota è che chi ha redatto il testo e chi lo ha poi firmato si è reso conto di uno dei tanti “cortocircùiti” in cui cadono scelte marcatamente segnate dall’ideologia.
Tutto è solo una questione di mercato. Povere o di classi medie con reddito basso: questo è il profilo delineato dal documento riguardo alle donne selezionate dalle agenzie. Anche in questo caso, il testo dice il vero. La fiaba della donna amica o generosa che dona il suo utero come gesto di solidarietà ad una coppia che, per vari motivi, non può procreare è, in realtà, in gran parte, una mistificazione: a prestare il proprio grembo per far nascere un bambino commissionato sono quasi sempre donne che hanno bisogno di soldi. Spiega il testo: «Sebbene le agenzie cerchino di far credere il contrario, dando grande pubblicità a casi rarissimi, al fondo c’è sempre diseguaglianza di reddito tra committenti e madre portatrice».
L’attenzione al bambino appare in secondo piano, nel documento, ma non mancano i riferimenti alle Convenzioni che tutelano l’infanzia come la Convenzione internazionale dei diritti del bambino: il testo cita gli articoli 7 § 1 sul diritto del minore di conoscere i genitori e di essere da loro allevato; il 9 §1 sul divieto di separare il bambino dai genitori; il 35 – che è quello più duro – perché si oppone al rapimento, la vendita o la tratta di minori. Naturalmente per chi conduce la sua battaglia contro l’utero in affitto partendo prima di tutto dal bambino, che non ha davvero alcuna voce in capitolo, il testo appare riguardo a questo aspetto riduttivo. Tuttavia le citazioni di diverse convenzioni mostrano che l’argomento non è stato preso alla leggera. Nell’ impegno condiviso di tutelare prima di tutto la donna non ci si è dimenticati dei bambini e dei loro diritti. Questo è senz’altro un fatto positivo.
Nella volontà dei firmatari la raccomandazione contro la maternità surrogata è urgente perché occorre che questa sia messa al bando in tutti i paesi (perché dove non è permessa ci si può recare nei paesi in cui è ammessa), mentre per i casi di bambini già nati sarebbe opportuno dare al minore «il diritto di conoscere la madre che l’ha messo al mondo dopo averlo portato in grembo per nove mesi e, nella misura del possibile, di essere allevato da lei». Una presa di posizione che non tralascia nessuno degli aspetti dell’odiosa pratica della maternità surrogata. Adesso la parola definitiva spetta all’Onu.