Politica
di Claudia Cirami
Sylviane Agacinsky sfida Emmanuel Macron sull’utero in affitto
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Macron, tocca a te. Alcuni giorni fa Le Figaro ha pubblicato una lettera aperta indirizzata ad Emmanuel Macron, candidato del partito En Marche! alle presidenziali francesi, scritta dalla filosofa Sylviane Agancinski, da Ana-Luana Stoicea-Deram, presidentessa del Collettivo per il rispetto della persona e dell’etnologa Martine Segalen. Ancora donne, dunque, in rivolta contro quella che appare ormai anche a molte femministe come una violenza, l’ennesima, perpetrata ai danni del corpo e dell’anima di altre donne: la GPA (la gestazione per altri: così è definita nello scritto). La lettera – che circola già su Twitter e che sui media francesi ha avuto un certo risalto – è una richiesta esplicita al candidato alla Presidenza della Repubblica francese di uscire dall’ambiguità e di prendere pubblicamente una posizione seriamente contraria. Il dibattito sulla pratica dell’utero in affitto anche in Francia diventa un tema da mettere sul piatto per capire a quali candidati dare il proprio sostegno.
La lettera inizia ricordando che alcuni candidati alle presidenziali, come Jean-Luc Mélenchon, che si presenta per il movimento La France Insoumise e che sembra catalizzare un buon interesse a sinistra, François Fillon, candidato della destra rimasto in sella nonostante lo scandalo dell’indagine sulla moglie, e Benoit Hamon, candidato socialista, hanno risposto al questionario che le tre donne hanno inviato proprio riguardo alla GPA, dichiarandosi «a favore delle iniziative internazionali per l’abolizione» di questa pratica. Il richiamo agli altri candidati che hanno risposto senza ambiguità potrebbe non essere privo di significato: come ha rivelato l’ultimo sondaggio richiesto da Le Monde al Cevipof, Macron è sì in testa ma con un risicatissimo 23%. Dietro di lui, Marine Le Pen ha il 22,5%, Fillon il 19,5% e Mélenchon il 19%. Per questo motivo, ogni tema potrebbe essere l’ago della bilancia per lo spostamento di voti. Il «lei non ci ha risposto» suona come una sfida, più che come un’amara costatazione. E sembra chiedere una presa di posizione immediata (che, al momento in cui La Croce esce, però, non è ancora arrivata).
La lettera continua “inchiodando” Macron alle sue responsabilità: «Voi avete preso pubblicamente posizioni ambigue. A Dicembre del 2016, avete dichiarato di non essere favorevole all’autorizzazione della GPA in Francia, senza criticarla quanto al principio e precisando che “la società non è pronta”». Si ricordano poi le altre ambiguità di Macron. Soprattutto le tre donne esprimono inquietudine per la lettera aperta che egli ha indirizzato alle persone LGBTI, non certo perché vogliono fermare la volontà di Macron «di lottare contro tutte le forme di odio e di discriminazione contro le persone LGBTI», ma perché il ministro francese è rimasto «ormai il solo candidato a sostenere una posizione regolamentatrice sulla questione della GPA».
L’accusa rivolta a Macron, infatti, è quella di puntare non già all’abolizione della GPA (e quindi di adoperarsi in tal senso), ma a quella di una sua regolamentazione per legge. «Già, nel febbraio scorso – scrivono – voi avete evocato una “convenzione internazionale sul tipo di La Haye per lottare contro la mercificazione del corpo della donna e il traffico dei bambini”. Macron, cioè, ha fatto riferimento alla Conferenza di La Haye (un’organizzazione che si occupa di diritti civili e commerciali), nell’ambito della quale è stato affrontato il tema della GPA transnazionale. Ma – affermano sicure le tre – «l’obbiettivo» di simili convenzioni «non è affatto lottare contro i traffici in nome dei diritti umani, ma piuttosto adottare qualche regola giuridica minimale per dare alla GPA un’apparenza “etica” e assicurare il suo buon funzionamento». In parole povere, è soltanto un tentativo di «regolare il mercato della procreazione, con il sostegno attivo dei favorevoli alla GPA». Ma – continuano le tre – «non possiamo ammettere che il mercato divenga il modello insuperabile delle relazioni umane e che niente più gli sfugga».
Si passa poi a considerare il dramma femminile che si nasconde dietro alla pratica della maternità surrogata: «Come ignorare la profondità dell’alienazione delle donne che si impegnano in un accordo relativo alla GPA, la cui vita privata è controllata fino ai minimi dettagli durante i nove mesi? Vi sembra realmente legittimo e progressista che la legge permetta a chiunque di affittare il corpo di una donna per il tempo di una gravidanza e di comprare un bambino alla sua nascita?». Insomma, il re è nudo. Per molte francesi, come per tante altre donne nel mondo, nonostante la retorica pietista e sentimentale che ammanta tutta operazione, l’inganno è ormai evidente: si tratta di null’altro che dell’affitto di una parte del corpo umano, che viene dunque “cosificata”, e della compravendita di bambini, anch’essi ridotti ad oggetti. Eppure Macron, come altri progressisti europei che flirtano con il pensiero unico, pur riconoscendo la validità di istanze portate avanti anche da molte femministe, fanno orecchie da mercante, finendo per impantanarsi nelle sabbie mobili di un’ipocrita ambiguità e tentando di proporre solo la regolamentazione di una prassi, che tuttavia resta degradante anche se fosse possibile a prezzi più accessibili.
Ancora, le tre sfidano Macron sul fatto che egli si dica a favore di una trascrizione civile “pura e semplice” di quei bambini che sono nati dalla GPA. La Francia, però, pur tutelando i loro diritti, «non può ammettere di falsificare la filiazione materna di un bambino, perché la sua persona e i suoi diritti familiari non possono diventare oggetto di una transazione e non si può tollerare lo sviluppo di un turismo procreativo che oggi assume una dimensione neocoloniale». Un attacco frontale, quello delle tre donne, che mette in campo una questione particolarmente chiara e dolorosa: i paesi più ricchi – da cui provengono principalmente coloro che hanno le elevate disponibilità economiche per poter accedere alla pratica dell’utero in affitto – finiscono per sfruttare donne poverissime, di paesi meno abbienti o che non riescono a superare la povertà endemica, che hanno finito per considerare questa pratica alienante come fonte di sopravvivenza. Quindi la GPA (che è persino un modo edulcorato per parlare di questo commercio, visto che dire gestazione per altri sembra nobilitare l’operazione) finisce per fare tre categorie di vittime: la donna e i suoi diritti, i bambini e i loro diritti, i poveri e i loro diritti. Per società civili che si fanno banditrici a destra e a manca del termine “diritti” non ci può essere scacco peggiore.
Il bambino, poi, è la vittima più incolpevole, che «subisce una violenza specifica» di cui Macron (e altri che sostengono la GPA) non sembrano aver misurato l’effettiva portata. La peculiarità di questa lettera aperta risiede nella considerazione che sembra mettere sullo stesso piano donne e bambini: non solo dunque una protesta nata e sviluppata su istanze femministe, ma anche per i bambini. Non sempre, infatti, è chiaro a tutti che questa non può diventare soltanto una battaglia da condurre in nome delle donne: anche i bambini devono essere tutelati e non soltanto come conseguenza. Le firmatarie dicono di essere in attesa «di un candidato alla presidenza della Repubblica che si mostri particolarmente attento all’ingiustizia di cui sono vittime, al tempo stesso, donne e bambini». E, ancora, di attendere chi «difenda i diritti fondamentali della persona umana che figurano nella Costituzione e, di conseguenza, che sia pronto ad impegnarsi, con altri paesi europei, per l’abolizione universale della GPA”. Probabilmente non sarà Macron quest’uomo (dato che la sua ambiguità sembra velare una scelta sostanzialmente a favore) ma chissà che il grido d’allarme delle femministe, prima o poi, non riesca a rompere il muro di “sordità” colpevole che molti hanno innalzato.