Chiesa

di Giuseppe Brienza

La sussidiarietà nella Dottrina sociale della Chiesa

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Dei quattro principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, cioè bene comune, solidarietà, sussidiarietà e dignità della persona, il più importante è quest’ultimo, dato che gli altri tre si pongono tutti al suo servizio (cfr. Compendio DSC, n.204). Il principio di sussidiarietà, in particolare, costituisce la “logistica” del valore della tutela e della promozione della dignità umana, dato che in applicazione di esso «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto (“subsidium”) - quindi di sostegno, promozione, sviluppo - rispetto alle minori». In pratica, la sussidiarietà è diretta a far sì che, i “corpi sociali intermedi”, i quali vanno dalla famiglia al Comune, passando per scuole, parrocchie, comunità religiose, associazioni, professionali etc., possano «adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine, dignità propria e spazio vitale» (Ibidem, n. 186).

Il termine “sussidiarietà” deriva dal latino subsidium, che nella terminologia militare romana indicava le truppe di riserva che stazionavano oltre il fronte e che erano pronte ad intervenire in aiuto alle unità che conducevano la battaglia sul campo. Una prima formulazione del concetto è rintracciabile nel pensiero aristotelico e, di conseguenza, lo ritroviamo successivamente approfondito da San Tommaso d’Aquino nei suoi studi sull’idea di bene comune. Una prima formulazione contemporanea del principio di sussidiarietà è invece operata da Papa Leone XIII nel paragrafo 36 dell’enciclica Rerum Novarum. Pio XI la riprende e attualizza lella Lettera Quadragesimo Anno, pubblicata nel 1931 per celebrare il quarantennale della Rerum Novarum. Tutti i Papi successivi hanno quindi ripreso e sviluppato il principio, in particolare Giovanni XXIII estendendolo nella sua portata nell’enciclica sulla pace Pacem in Terris (par. 48), riferendolo “profeticamente” all’attività delle comunità politiche a livello internazionale. Dico “profeticamente” perché, nonostante l’incoraggiamento generale che tutti i Papi successivi a Pio XII hanno sempre rivolto alle grandi organizzazioni internazionali (Onu e l’attuale Ue, per esempio), è cresciuta negli ultimi decenni, in settori sempre più qualificati della Chiesa, la consapevolezza che un certo modo di operare di queste ultime può costituire una minaccia sia per la libertà dei Popoli sia, fra gli altri, per lo stesso principio di sussidiarietà. Su quest’ultimo decisivo aspetto è intervenuto con un accenno, ma in sede di supremo Magistero sociale, Benedetto XVI. Nell’enciclica “Caritas in veritate”, dedicata al tema dello «Sviluppo umano integrale nella carità e nella verità», Papa Ratzinger si riferisce alle interferenze ideologiche antinataliste e antifamiliari di alcune agenzie internazionali (senza citarle espressamente) sia al n. 47, quando parlando degli aiuti da prestare ai Paesi che soffrono esclusione o emarginazione dai circuiti dell’economia globale, ha chiesto di rispettare sempre «il principio della centralità della persona umana, la quale è il soggetto che deve assumersi primariamente il dovere dello sviluppo», sia al n. 57, dove ha definito il principio di sussidiarietà come «espressione dell’inalienabile libertà umana», del quale i progetti di sviluppo debbono tenere conto in quanto «antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista».

La sussidiarietà, in definitiva, è additata da Benedetto XVI come quel «principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano», in assenza del quale vi è il rischio di «dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico» (n. 57).

Verso la fine dell’enciclica, comunque, si criticano pur senza menzionarle le grandi organizzazioni internazionali, colpevoli ad avviso del Papa di applicare poco o male il principio di sussidiarietà, dando vita così, per esempio, ad un sistema di solidarietà sociale «burocratizzato». Sempre nella conclusione, merita anche di citare almeno la proposta, nell’ambito del delicato settore dell’aiuto allo sviluppo, di applicare la cosiddetta “sussidiarietà fiscale” che, scrive Benedetto XVI, «permetterebbe ai cittadini di decidere sulla destinazione di quote delle loro imposte versate allo Stato. Evitando degenerazioni particolaristiche, ciò può essere di aiuto per incentivare forme di solidarietà sociale dal basso, con ovvi benefici anche sul versante della solidarietà per lo sviluppo» (Benedetto XVI, Enciclica “Caritas in veritate”, Città del Vaticano 29 giugno 2009, n. 60).

Sempre dalla riflessione di Ratzinger, allora alla guida della Congregazione per la Dottrina della fede, discendono le importanti pagine dedicate al principio di sussidiarietà contenute nell’Istruzione “Libertà cristiana e liberazione”, pubblicata nel 1986. Qui l’allora prefetto ricordava che i principi di solidarietà e di sussidiarietà sono i due pilastri fondamentali della Dottrina sociale cristiana e che entrambi sono legati all’obiettivo di promuovere la dignità dell’uomo (par.73).

Per arrivare ad anni ancora più vicini a noi, occorre citare il grande magistero sociale di San Giovanni Paolo II che, in particolare nell’enciclica Centesimus Annus (1991), ha applicato il principio di sussidiarietà anche al welfare state, rilevando che le degenerazioni in cui quest’ultimo è incorso sono dovute proprio al mancato rispetto dello stesso. «Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale - ha scritto in questa importante Lettera enciclica Papa Wojtyla - derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».

Come sono presenti questi testi magisteriali nel programma politico del Popolo della Famiglia? Sono due le lettere nelle quali, direttamente, riverberano questi concetti fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa: “S” come sussidiarietà e “W” come welfare partecipativo. Nel primo dei due punti, come sottotitolo, campeggia una frase che sintetizza la nostra concezione di sviluppo sociale ed economico: “Protagonisti del proprio futuro. Mai togliere agli individui ed ai corpi intermedi i compiti che possono realizzare con le loro sole forze”. A partire da questo punto del programma, quindi, ci siamo impegnati politicamente a evitare che, sia da parte dello Stato sia da parte di quelle entità sovranazionali che, talvolta, sono anche più invasive di quest’ultimo, vengano tolti «agli individui ed ai corpi intermedi i compiti che possono realizzare con le loro sole forze». In pratica, se giungeremo al Governo, nazionale o regionale, cercheremo in tutti i modi di impedire che, una associazione “maggiore” (ad esempio un Comune o la Regione o lo Stato stesso) prendano il posto (quando non necessario) di quelle soggettività sociali che, adeguatamente lasciate libere o sostenute dal punto di vista economico o normativo, potrebbe fare bene e autonomamente da sole (ad es. asili o scuole emanazione di una o più famiglie unite). Per un malinteso senso della sussidiarietà, infatti, nei decenni scorsi «le famiglie si sono trovate ad essere strumentalizzate dallo Stato che le ha “usate” come una specie di “ammortizzatore sociale”. Non è questa la sussidiarietà!» (G. Brienza-Alessandro Serini, La Dottrina sociale… in #pillole. Le 26 parole riassuntive dell’idea che muove il PdF, in “La Croce quotidiano”, 24 marzo 2016, p. 3).

Il principio della solidarietà, insomma, come sosteniamo nella lettera “W” come welfare partecipativo, dovrebbe spingere «i cittadini ad essere tutti per uno e uno per tutti […] lo Stato non deve fare ciò che un cittadino può fare da solo. La combinazione di solidarietà e sussidiarietà genera welfare partecipativo. Il benessere dei cittadini è un compito di tutti, non solo dello Stato. Per questo va costruito unendo le forze delle persone, delle famiglie, dell’associazionismo, del mercato e dello Stato. Lo Stato si pone come regolatore in tema di livelli essenziali di assistenza e di rispetto delle leggi; gli attori sociali contribuiscono ciascuno nel proprio ambito a soddisfare i bisogni di cura, sanità ed assistenza con spirito di servizio e rispetto delle leggi e dei regolamenti statali. In casi di particolare gravità o di latenza dei soggetti sociali, lo Stato interviene direttamente in via sussidiaria (cfr. Compendio DSC, nn. 419-420).

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17/05/2017
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