Storie
di Giuseppe Brienza
Prete coraggio
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Pestato a sangue e abbandonato sul sagrato, davanti alla sua canonica. È stato trovato così mercoledì notte monsignor Giorgio Costantino, 74 anni, parroco della chiesa del Divino Soccorso, nella periferia sud di Reggio Calabria, noto negli ambienti ecclesiali nazionali perché a lungo portavoce italiano del Sinodo dei vescovi. Colpito alla testa, sanguinante, dopo l’aggressione, il sacerdote è riuscito ad avvertire i soccorsi e a fornire le prime informazioni ai carabinieri. Nonostante sia stato trasportato immediatamente all’ospedale cittadino e sia rimasto cosciente per gran parte della notte, nella mattinata dell’altro ieri don Giorgio è sprofondato in coma. Per lui si è reso necessario un delicato intervento neurochirurgico per la riduzione di un esteso ematoma cerebrale. Un’operazione «tecnicamente riuscita» fanno sapere i medici, che tuttavia per adesso non sciolgono la prognosi. A trovare il sacerdote in ospedale si è prontamente recato il vicario di Reggio Calabria mons. Giovanni Polimeni e, ininterrottamente, don Costantino è circondato dall’affetto dei parenti, parrocchiani, di tanti confratelli sacerdoti e di amici.
Il prefetto della città, Michele Di Bari, in una nota, ha condannato con forza «la vile aggressione» e ha espresso «vicinanza e solidarietà a monsignor Costantino e alla Chiesa reggina per l’impegno profuso in favore degli ultimi».
Già dalla notte del 24 i carabinieri sono al lavoro per tentare di identificare i suoi aggressori. Secondo le prime informazioni, attorno all’una, il sacerdote sarebbe stato svegliato da rumori sospetti. Uscito dalla canonica, ha sorpreso sette giovani, tutti italiani, che dopo aver forzato il cancello d’ingresso si erano introdotti nel cortile. Allarmato, don Giorgio li ha richiamati, gridando loro di andare via, ma invece di allontanarsi, i ragazzi lo hanno circondato e hanno iniziato a insultarlo e spintonarlo. Fomentato dalla foga del branco uno di loro ha iniziato a colpire il sacerdote con calci e pugni fin quando, temendo di averlo colpito a morte avrebbe detto a tutti di scappare. Questione di istanti e il branco si è dileguato.
L’intera scena è stata ripresa dalle telecamere di videosorveglianza e, grazie a queste, gli investigatori sono al lavoro per identificare il gruppo. Secondo le prime indiscrezioni, si tratta di ragazzi della zona, tutti giovanissimi, fra i 16 e i 20 anni, probabilmente gli stessi - dice chi vive il quartiere - che ogni sera tirano tardi nella piazzetta di fronte alla canonica e con don Giorgio e la sua parrocchia non sono mai andati d’accordo.
In passato, il sacerdote aveva più volte allertato i carabinieri per segnalare schiamazzi notturni e forse strani movimenti sotto le sue finestre. E i militari spesso sono anche intervenuti per monitorare la situazione e identificare i disturbatori. Puntualmente, da qualche giorno, arrivavano dispetti e ritorsioni. Aiuole rovinate, vetri delle finestre della canonica infranti, volantini e manifesti strappati. Anche per questo, don Giorgio aveva fatto installare un sistema di videosorveglianza. E oggi quelle telecamere potrebbero essere decisive per scovare chi lo ha quasi ucciso.
Allo stato, non è chiaro il motivo che ha indotto i ragazzi ad introdursi all’interno del cortile della canonica. Forse per vandalizzarla, come accaduto nel settembre 2016 quando il centro d’ascolto parrocchiale fu distrutto da mani rimaste ignote. Forse, dicono alcuni, solo per recuperare un pallone. Nel cuore della notte, infatti, pare che i ragazzi (come “copertura” dell’infame gesto o no) stavano giocando a calcio davanti alla canonica della Madonna del Divino Soccorso, utilizzando come porta il cancello dell’edificio. Quando il pallone ha scavalcato la recinzione, con una bottiglia hanno forzato la serratura per andare a recuperarlo. A questo punto sono stati sorpresi dal parroco, don Giorgio che, svegliato dal gran baccano, ha detto loro di smetterla. Per tutta risposta, uno del gruppo ha cominciato a picchiarlo con pugni e calci con tanta violenza da lasciarlo esanime a terra.
Le indagini sono in corso e continuano sotto stretto riserbo. «Non possiamo dire nulla al momento», dice il procuratore Federico Cafiero de Raho, «i carabinieri sono al lavoro». Da mercoledì notte gli investigatori stano battendo il quartiere per identificare e trovare i sette giovani che hanno a vario titolo partecipato al pestaggio e, cosa ancor più grave, chi li sta coprendo. Un’ipotesi per nulla campata in aria in un quartiere ad alta densità mafiosa come quello in cui sorge la parrocchia.
«Si rinnova la tristezza e il rammarico per come la violenza sia così feroce anche a livello giovanile, e come la vita umana sia sempre più svalutata» ha dichiarato l’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria-Bova, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, in questi giorni a Roma per l’assemblea della Cei. Il prelato ha anche voluto rivolgersi a sacerdoti, genitori ed educatori con un appello «qualunque sia la responsabilità educativa, mettiamoci tutti in ascolto dei giovani ed interessiamoci della loro formazione, prima di dover piangere per una società, al cui interno la violenza sia generalizzata, in nome di un individualismo che non accetta nessun limite alle proprie emozioni e ai propri desideri». Purtroppo non è solo questione di “individualismo”, quest’ultimo caso mai è la conseguenza della sistematica di diffusione dell’irreligiosità e dell’odio verso il Cristianesimo, che sono coerenti del resto con il disprezzo della vita umana e con l’immoralità insegnate sui media, nei parlamenti e in molte scuole e università “pubbliche”.
Nella Chiesa locale, come spesso accade dopo episodi di questo genere, finisce per scattare il meccanismo del “mea culpa”: «con l’amore di Cristo, che va in cerca della pecora sperduta - ha scritto mons. Fiorini Morisini - ricordiamo che anche questi giovani sbandati ci appartengono. Sono anch’essi oggetto della nostra cura pastorale. Anche per loro Gesù è morto e ci ha inviati per portare ad essi la salvezza. Non dimentichiamo che molti fra loro sono passati attraverso le nostre aule catechistiche. Perché non siamo riusciti a formarli?».
Ma il quartiere nel quale opera la parrocchia di don Costantino è uno dei più popolosi di Reggio Calabria, Gebbione, nei quali si scontano da anni le conseguenze di una integrazione non possibile dei migranti e di decenni di mala-politica e di sostanziale “disimpegno” dello Stato. Non mi riferisco comunque alle Forze dell’Ordine. Fra l’altro il giorno dopo la vile aggressione è stata immediatamente convocata dalla prefettura una Riunione Tecnica di Coordinamento tenutasi presso il Palazzo del Governo con la partecipazione del Procuratore Distrettuale della Repubblica di Reggio Calabria e dei Rappresentanti provinciali delle Forze di Polizia. Il fatto è che Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza sono spesso tarpate da mancanza di mezzi e da legislazioni lassiste e iper-garantiste. Faccio solo l’esempio della lotta contro la droga (fra l’altro mi chiedo: la reazione spropositata di mercoledì su un uomo cardiopatico di 74 anni è stato anche frutto dell’uso di droghe?).
Mentre si compie ininterrottamente l’azione repressiva nel settore della droga da parte dei Carabinieri, sconvolgono le cronache che, nello spaccio, coinvolgono le persone sradicate e figlie dell’opera sistematica di dissolvimento della famiglia e della sua integrità morale ed economica.
Sui giornali locali degli ultimi mesi abbiamo letto così di due coniugi in manette per spaccio di droga a Reggio Calabria, di droga e armi sequestrati a Santo Stefano in Aspromonte e conseguente arresto di padre e figlio, di due insospettabili studenti che frequentavano la facoltà di economia all’università di Messina coinvolti in traffici con la stessa Reggio Calabria, di droga e bilancini di precisione trovati in possesso di un 23enne subito arrestato sempre in quest’ultima città...
Un accenno poi alla situazione-immigrazione. La popolazione residente a Reggio Calabria, al Censimento 2011, è composta da 180.817 individui e, in tale contesto, gli stranieri residenti nella città risultano in progressivo e costante aumento. Al 1° gennaio 2016, infatti, gli immigranti ufficialmente presenti sono arrivati al numero record di 11.153, laddove nel 2004 risultavano appena un terzo (circa 4mila). Oggi, quindi, gli immigrati rappresentano il 6,1% della popolazione reggina residente.
Il pestaggio di Reggio Calabria non è stato la conseguenza di un tentato furto, ma di un episodio banale poi rivelatosi brutale come la mancanza di rispetto del prossimo (un anziano in questo caso). Allo stesso tempo, quindi, questa cronaca reggina è più grave e sconcertante, perché testimonia del ricorso ad una violenza così efferata da parte di ragazzi che hanno perso ormai qualsiasi ancoraggio con la Fede Cristiana e con il rispetto dei pur minimi precetti di convivenza umana.
Ecco perché l’impegno della Chiesa in favore dei giovani e degli “ultimi”, l’opera educativa dei genitori e delle famiglie e delle Istituzioni scolastiche (altro che gender!) non può non essere preceduta dalla riorganizzazione complessiva del “lavoro” dello Stato in questi delicati territori. E questo vale in primo luogo per la doverosa e, finora, comunque meritoria opera di prevenzione e repressione del crimine da parte delle Forze dell’Ordine. Dal 2008 ad oggi, infatti, il tasso di
omicidi denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria nella provincia di Reggio Calabria è risultato il più elevato a livello nazionale ed è pari nel 2012 a 4,5 per 100 mila abitanti: «Per quanto concerne i furti nelle abitazioni della provincia, dal 2009 al 2012 il dato passa da 115,5 furti a 190,9 per 100 mila abitanti, lo stesso trend meridionale e italiano. In ultimo, le rapine in provincia ammontano a 54,1 per 100 mila abitanti nel 2012, in aumento rispetto al 2009» (Rapporto Urbes 2015: “Il benessere equo e sostenibile nelle città”, a cura del Servizio Statistica del Comune di Reggio Calabria, p. 3).
Contemporaneamente alla sicurezza, occorre abbandonare, innanzitutto nelle Istituzioni scolastiche, universitarie e formative in generale, il buonismo e, d’altro canto, il pressing in favore dei “falsi miti del Progresso”, rimettendo invece i piedi per terra e ritornando, come comunità (anche politica), a riproporre un compito sociale, culturale ed “educativo” generale nei confronti delle giovani generazioni. Un grande piano volto cioè al rispetto, alla riscoperta e alla riproposizione nei loro confronti delle radici e dell’identità, anche religiosa, della Popolazione italiana. Altrimenti non faremo che facilitare il compito dell’Isis. Perché, come ha giustamente ripetuto dopo la strage di Manchester il direttore di questo giornale Mario Adinolfi: «O capiamo o moriamo»…