Società

di Roberta Romanello

Milano,  Recalcati normalizzato dagli lgbt

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Cosa ci può essere di peggio, in una calda e afosa sera di maggio a Milano, che partecipare a una conferenza che porta il titolo “Cosa resta del padre?” e sentire che l’illustre e stimato psicoanalista di punta arriva a negare che il padre possa essere un maschio?

Che la conferenza nasca su iniziativa di Pierfrancesco Majorino, in verità, la dice già lunga su come il dibattito sarà presumibilmente sviluppato.

Il politico Majorino, che ben conosce l’“evoluzione” della società sulle tematiche genitoriali e che proprio il sabato precedente a Milano ha celebrato l’unione di Scalfarotto col suo compagno, è promotore di eventi arcobaleno su tutto il territorio cittadino, per la gaiezza di qualcuno ma non di tutti, una serie di iniziative tutte colorate perché la società la smetta, una volta per tutte, di essere “omofoba” (ma chi ha realmente “paura” degli omosessuali, viene da chiedersi?). È necessario interrogarsi sui nodi problematici”, sostiene, perché “servono nuove capacità di fare e sviluppare le politiche sociali… perché la società si auto-organizza”, dimenticando però di dire che la spinta verso questa organizzazione della società arriva proprio da quelle istituzioni che lui rappresenta.

Il problema è evidente: il modo in cui la società si “auto-organizza” non funziona; la società fa acqua da tutte le parti. Ma i nodi problematici, lo sfascio delle relazioni familiari e la perdita del senso del vivere dei giovani, possono essere ricondotti in ultima analisi alla scomparsa del padre?

Paola Ferri, psicoanalista che introduce la serata, si domanda in cosa si sia trasformata la funzione paterna, dal momento che il padre autoritario e normativo è stato rigettato ed è oggi pressoché inesistente; sottolinea però che gli odierni papà democratici vengono meno al loro compito principale: “sappiamo che se il ragazzino non si scontra con il genitore non cresce; il conflitto è una cosa positiva per la crescita. Mentre queste figure genitoriali moderne tendono ad evacuare… Il padre è l’”altro” che serve a separare il bambino dalla madre: ma il padre ha ancora oggi questa funzione edipica? Oppure entrambe le figure genitoriali sono figure di vicinanza e di lontananza?”. La Ferri non fornisce risposta a tali quesiti. Ma soprattutto viene istintivamente da chiedersi se il padre possa essere ridotto solo a questo.

L’altro scenario, evocato da Elena Riva, psicoterapeuta dell’adolescenza e co-fondatrice dell’Istituto Minotauro, è quello della “situazione atomica” di Franco Fornari: se il padre non può più esportare il conflitto fuori dalla famiglia e dalla patria di appartenenza perché non va più in guerra, dove vivrà il conflitto se non all’interno delle mura domestiche? “Il maschio avrebbe dovuto individuare una nuova modalità culturale di svolgere la propria funzione” (?). “La guerra non è più una modalità di elaborazione del conflitto”.

Il padre castrante-autoritario-normativo-detentore del potere nella famiglia, nel sociale e nella politica è andato profondamente in crisi con la rivoluzione studentesca e le rivendicazioni femministe, ma cosa è accaduto dopo? Quale figura di padre lo ha sostituito?

Si parla oggi di società senza padri, di tramonto del padre, di svaporazione del padre: tali definizioni contrastano, ma solo apparentemente, con la situazione che viviamo dove i padri sono assai più presenti in famiglia rispetto al passato; “presentificati” sin dalla sala parto, hanno imparato il linguaggio degli affetti e delle emozioni, si sono sintonizzati col linguaggio del neonato. Ma è questa una funzione paterna, si chiede la Riva? O è una figura di padre che si ispira alla figura materna? E dichiara: “Il padre-mammo, il “Papà-Pig” sostituto materno è però solo perversione del materno”.

La Riva denuncia, come psicanalista, gli effetti della mancanza di questa funzione paterna dalla prospettiva delle patologie psicologiche più diffuse ai nostri giorni: “Se il padre castrante della repressione pulsionale produceva patologie nevrotiche, oggi abbiamo a che fare con le patologie del narcisismo, delle dipendenze, delle depressioni. La difficoltà ad abbandonare un universo protettivo, gratificante, materno abita l’intera esperienza di crescita in famiglia e produce sofferenza nel momento in cui avviene l’incontro con il mondo esterno, con le frustrazioni, con la fatica, con le sconfitte”. Serve dunque un nuovo padre, uno specifico di funzione paterna all’interno della famiglia e della società. Ed evidentemente l’appiattimento dei ruoli provoca grossi danni.

Ma di quale nuovo padre hanno bisogno le nuove generazioni del mondo globalizzato, che devono affrontare il mondo intero? Non devono forse essere capaci di apertura e coraggio nella relazione con l’altro, di capacità di andare verso l’altro? Di un padre forte che apra al mondo e che testimoni la capacità di tollerare le sconfitte?

Ma in un contesto come quello attuale, dove in molti casi i padri sono assenti, come nei casi di separazione e divorzio, quali sono le politiche a sostegno dei padri? Come può un padre separato che vive in un dormitorio trasmettere al figlio qualcosa di positivo della figura e della funzione paterna? Antonio Saggese, Vice-presidente dell’Associazione papà separati Lombardia e consigliere regionale, sottolinea questa contraddizione: da un lato sentiamo la mancanza del padre, dall’altro il padre viene privato dei figli e i figli del padre, perché in ambito separativo la figura paterna è secondaria rispetto alla figura materna. Saggese è promotore di iniziative e progetti a sostegno dei padri separati. “Le parole sono belle se poi si trasformano in dati di fatto, con politiche di solidarietà sociale”, perché “non possiamo permettere in questo contesto che del padre rimanga solo una figura annientata. Per fare sì che resti ancora qualcosa del padre dobbiamo creare tutte le condizioni per far sì che questi padri continuino a svolgere il loro ruolo verso i figli”.

Domenico Fumagalli, presidente dell’Associazione Papà Separati Lombardia, arriva dall’esperienza del ‘68, ma oggi pensa di fare resistenza e resilienza verso un sistema che ha aggredito la famiglia e ha aggredito la figura paterna. Il padre, quando si parla di separazione, è la vittima, e con lui i bambini: il numero dei bambini presi in carico dallo Stato in Italia è di 40.000, pari alla popolazione carceraria. L’Italia è il fanalino di coda dell’Europa, perché l’affido condiviso arriva da noi 25 anni dopo rispetto alla Francia. Secondo un calcolo fatto dall’amministrazione Obama la “fatherless society” ha un costo sociale di 100 miliardi di dollari.

Cosa allora resta del padre? La domanda si pone vigorosamente dopo questi interventi.

Ed è proprio davanti a questo interrogativo pressante che Recalcati sfodera la mannaia e infligge il colpo mortale, quasi a tradimento.

Perché se possiamo essere d’accordo con il fatto che il figlio deve essere sempre generato da due, perché il figlio generato da uno è un figlio che parte male, che la vita del figlio per crescere ha sempre bisogno di fare esperienza del limite, cioè della relazione d’amore dei due genitori, dove capisce che la sua vita non esaurisce il mondo, non è invece condivisibile che la funzione di padre non sia questione di genere.

Recalcati sostiene convinto che l’eterosessualità di per sé non fondi la genitorialità. Ma come si può generare senza la carne e il corpo e il desiderio di due sessi differenti? Se Recalcati asserisce di essere contrario all’utero in affitto, intende forse dire che sia giusto invece che le adozioni aprano alle coppie omo? E dove sta il diritto del bambino a conoscere di chi è figlio? O per Recalcati il bambino questo diritto non lo deve avere? E la ferita dei figli adottati come la gestisce Recalcati?

Prosegue citando la Bibbia, i casi delle matriarche, “tutte delle donne sterili che dimostrano che per generare non basta un corpo biologico, ci vuole l’elemento in più che nel testo biblico è la parola di Dio, amore che trasfigura la natura e la rende cultura”…. La paternità si manifesta come adozione (e cita San Giuseppe).

“La paternità è esperienza di donazione, relazione di parola col figlio; quando diciamo padre lo diciamo al di là del sangue, della stirpe, del sesso, diciamo una funzione senza la quale la vita del figlio perde il suo possibile”.

Ed ecco fatto: il padre è ridotto a funzione, e se il padre è ridotto a questo ognuno può prendersi il ruolo e gestirselo a piacimento; se il padre è solo funzione l’interpretazione della funzione può avvenire anche al di là del sesso.

“La paternità è il gesto che fa esistere la legge, che introduce il limite, il no, il divieto per aiutare l’altro a crescere, che fa essere il senso dell’impossibile, del non tutto è possibile”.

Ma viene da domandarsi allora se Recalcati non veda il limite del corpo: il corpo del padre è già un segno di per sé, come lo è il corpo della madre! Non esiste in questo scambio il limite dato dalla natura? L’impossibilità di trasfigurarsi in un corpo-funzione che non è tuo/a? Dove mettiamo il limite in questo caso?

Mentre snocciola i numeri delle bambine anoressiche ricoverate all’ospedale di Bologna, tutte bambine dai 4 ai 12 anni che dormono nel lettone con la madre mentre il padre è esiliato, spiaggiato sul divano, non viene forse in mente a Recalcati che il corpo, la fisicità, è un aspetto ineludibile del nostro stare al mondo, del nostro percepirci vivi in esso? Quale tipo di rapporto sviluppa con il proprio corpo una bambina che dorme con la mamma e che vede il padre rinunciare al proprio posto nella relazione di coppia?

La censura del corpo sessuato non è forse il grande crimine che stiamo compiendo, a danno dei nostri figli? Se psicologia è il mio pensiero, il discorso su come io mi percepisco nel mondo, nelle relazioni, come fa a essere un discorso disincarnato?

“Sono le regole che fanno esistere il gioco, senza regole non c’è gioco”. Ma che regole ha il “gioco” dell’amore per Recalcati? Che regole hanno il “gioco” della paternità e della maternità? O forse nei corpi, nelle relazioni, nei gesti e negli abbracci più importanti della nostra vita non esistono regole? Il corpo, la fisicità, sono davvero indifferenti? E come fa un bambino maschio a identificarsi con un maschile se davanti a sé ha due donne? Può essere la funzione di padre solo l’interpretazione di un ruolo? O il corpo conta? A queste domande Recalcati non risponde. Dice che sono le domande attuali davanti alle quali si trova la psicoanalisi e alle quali ancora non si è trovata risposta.

Recalcati sa benissimo e spiega molto bene quale sia la funzione del padre, ma sostiene che la funzione paterna possa essere espletata anche da una donna.

Al termine della conferenza si ha come l’impressione di trovarsi in un piccolo vascello sbattuto dal mare in tempesta, nel bel mezzo dell’oceano, dove nessuno riesce a tenere il timone e dove tutti hanno il mal di mare.

Nella battaglia che infuria sulla questione identitaria, tra adulti indecisi sull’interpretazione dei ruoli, lo sterile e dannoso appiattimento in atto del maschile e del femminile e il narcisismo imperante, in un momento in cui sarebbe necessaria una parola chiara proprio da chi di le dinamiche del pensiero dovrebbe conoscerle a fondo, dall’alto di una posizione “accademica”, pensata, studiata, vagliata, la cieca battaglia infuria sulla pelle dei bambini.

Cosa resta del padre?

Un appello e una speranza! Quanto più un uomo percepisce questa domanda come pressante e ha nostalgia di questo corpo, di questo abbraccio, di questa forza d’amore che è propulsiva, tanto più è necessario che egli utilizzi tutti i talenti, l’ingegno e l’amore e li faccia virilmente fruttare a beneficio di tutti: della relazione con la sua donna, con i figli, con il mondo, perché la bellezza possa tornare a risplendere.

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01/06/2017
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