Società

di Emiliano Fumaneri

Jacques Attali e la legalizzazione dell’eutanasia in Occidente

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n questi giorni dove si combatte a mani nude per evitare lo «scarto» della vita del piccolo Charlie, minacciato di eutanasia nel suo paese natale, sui social e in rete circolano alcune «profezie» del tecnocrate Jacques Attali sulla legalizzazione dell’eutanasia in Occidente. Jacques Attali (classe 1943) è uno di quei tecnici che fanno funzionare la «macchina dello stato», un uomo dei cui servigi un governo, qualunque sia il suo colore politico, difficilmente si può privare.

Attali è un «enarca», fa parte cioè di quella élite dalla mentalità ingegneristico-sociale uscita dall’École nationale d’administration (Ena), la scuola dove la République francese plasma la propria classe dirigente (e i cui membri sono soprannominati «enarques»). Nel 1981 viene nominato consigliere speciale della presidenza Mitterrand, diventando una specie di eminenza grigia del leader socialista. Terminato il suo incarico all’Eliseo nei primi anni Novanta viene messo a capo della European Bank for Reconstruction and Development (Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo), l’organismo finanziario internazionale nato dopo la fine dell’Urss dalla volontà dei governi occidentali di accompagnare i paesi orientali nella transizione verso un sistema di libero mercato.

Nel 2007 il conservatore Nicolas Sarkozy lo pone alla guida della Commissione per la liberazione della crescita, un altra entità tecnocratica. Negli ultimi anni Attali è ritornato alla ribalta per aver teorizzato il «poliamore» (di cui ci siamo occupati qualche anno fa, sempre sulle colonne della Croce) e, in tempi recentissimi, per essere stato lo «scopritore» di Emmanuel Macron, altro «enarca» come lui, che Attali ha presentato a François Hollande, del cui governo Macron è stato ministro prima di lanciarsi nella corsa per la presidenza francese.

A questa attività da funzionario di altissimo profilo Attali affianca quella di saggista, esperto soprattutto di materie economiche. È in questa veste che va collocata la sua prima «profezia», risalente a un’intervista contenuta in «L’avenir de la vie» [L’avvenire della vita], un libro del 1981 dove un giovane Attali colloquia col medico Michel Salomon, un bizzarro personaggio, un lobbista che nei primi anni Novanta avrebbe fondato un’associazione, denominata International Center for a Scientific Ecology (ICSE), per promuovere l’appello di Heidelberg, un manifesto a favore del «progresso scientifico e industriale» firmato da diversi scienziati e reso noto al Vertice della Terra del 1992, a Rio de Janeiro. Solo successivamente si scoprirà come l’ICSE fosse finanziata dalle lobby dell’amianto e del tabacco (la vicenda è stata ricostruita dal giornalista Stéphane Foucart nel suo «La Fabrique du mensonge»).

Scopriamo così che già dal 1981 Attali vaticinava l’avvento di una società dove «l’importante nella vita non sarà più di lavorare ma di essere nella situazione di poter consumare, di essere un consumatore tra altre macchine di consumo». È interessante anche la sua «profezia» sull’umanità del futuro. Come sarà l’uomo del XXI secolo?, gli domanda l’intervistatore. «Credo che si debbano nettamente distinguere due specie di uomini del XXI secolo», replica Attali, «cioè l’uomo del XXI secolo dei paesi ricchi e l’uomo del XXI secolo dei paesi poveri. Il primo sarà certamente un uomo molto puiù angosciato di oggi ma che troverà la risposta al suo male di vivere in una fuga passiva nelle macchine antidolore e antiangoscia, nelle droghe, e che tenterà ad ogni costo di vivere una sorta di forma mercanteggiata di convivialità. Ma accanto a questo, sono convinto che l’immensa maggioranza, che sarà a conoscenza di queste macchine e dello stile di vita dei ricchi senza però avervi accesso, sarà straordinariamente aggressiva e violenta. È da questa grande distorsione che nascerà il grande caos che potrà tradursi sotto forma di guerre razziali, di conquista, oppure sotto forma di immigrazione verso i nostri paesi di milioni di persone che vorranno condividere il nostro stile di vita».

Un quadro che tratteggia in maniera impressionante la situazione odierni. Ma non è finita. Nei decenni a venire, afferma Attali, l’ingegneria genetica diventerà una tecnica «molto banale» e ci si troverà davanti a due soluzioni: impiegare la biotecnologia per fini collettivi, creando un’umanità libera e padrona del proprio destino (opzione a lui più gradita), oppure creare le condizioni di un mercato della vita (quello che oggi viene denominato biocapitalismo) cioè, secondo le parole del grand commis di Francia, «un mercato nuovo, genetico questa volta, fatto di copie di uomini venduti ad altri uomini, di chimere o di ibridi utilizzati come schiavi, di robot, di mezzi di lavoro». È l’orizzonte del transumano o del postumano, dove l’uomo anela a ibridarsi con le macchine per creare un organismo nuovo: il cyborg, un uomo-macchina capace di infrangere il vincolo della morte garantendo, se non una sopravvivenza illimitata, quantomeno una durata di vita sorprendentemente più elevata.

Ma «è possibile e auspicabile vivere fino a 120 anni?», gli domanda Michel Salomon. Conviene leggere bene cosa risponde Attali: «Dal punto di vista medico non ne so nulla. Mi è sempre stato detto che era possibile. È auspicabile? Risponderò in più momenti. In primo luogo credo che nella logica stessa del sistema industriale nel quale ci troviamo il prolungamento della durata della vita non è più un obiettivo auspicato dalla logica del potere. Per quale motivo? Perché questo era perfetto soltanto finché si trattava di prolungare la speranza di vita allo scopo di raggiungere la soglia massima di redditività della macchina umana. Ma dal momento in cui si superano i 60-65 anni l’uomo vive più a lungo di quanto non produca e allora costa caro alla società. Per questo credo che nella logica stessa della società industriale l’obiettivo non sarà più di prolungare la speranza di vita ma di fare in modo che all’interno di una di una determinata durata di vita l’uomo viva nella maniera migliore possibile, ma in maniera tale che le spese sanitarie siano ridotte il più possibile in termini di costi per la collettività. Emerge allora un nuovo criterio di speranza di vita: quello del valore di un sistema sanitario funzione non del prolungamento della speranza di vita ma del numero di anni senza malattia e in particolare senza ospedalizzazione. In effetti dal punto di vista della società è nettamente preferibile che la macchina umana si arresti brutalmente piuttosto che deteriorarsi progressivamente. È perfettamente chiaro se pensiamo che i due terzi delle spese sanitarie sono concentrate negli ultimi mesi di vita. Allo stesso modo, mettendo da parte il cinismo, le spese sanitarie non raggiungerebbero un terzo del livello attuale (175 miliardi di franchi nel 1979) se gli individui fossero tutti morti brutalmente negli incidenti automobilistici. Così dobbiamo riconoscere che la logica non risiede più nell’aumento della speranza di vita ma in quella della durata di vita senza malattia».

È una prospettiva che sembra ricalcare quanto avviene nel «Mondo nuovo» (1932) di Aldous Huxley, il romanzo distopico che prospetta una prigione meccanizzata nella quale la via umana è completamente amministrata da uno tecnocrazia onnipotente. Nel «Mondo nuovo», popolato unicamente da individui-consumatori, l’età biologica dell’organismo umano viene mantenuta artificialmente a uno stadio giovanile e in piena efficienza psico-fisica, salvo poi collassare all’età di sessant’anni (si può dire che si muoia perfettamente sani). Nella società capitalistica Attali vede l’aumento della durata di vita legato unicamente alla possibilità di «rendere economicamente redditizia la vecchiaia» rendendo «solvibili» gli anziani.

Un mercato di acquirenti senza disponibilità finanziarie infatti è un mercato del tutto inutile dal punto di vista strettamente economico. L’ottica è sempre quella secondo cui «oggi l’uomo non è più importante come lavoratore ma come consumatore (perché è sostituito dalle macchine nel lavoro). Dunque si potrebbe accettare l’idea di prolungare la speranza di vita a condizione di rendere gli anziani solvibili e creare così un mercato». Inutile dire che, date le cattive condizioni del sistema pensionistico, questa ipotesi non sembra essersi realizzata. In Occidente si nasce sempre di meno ma si vive sempre di più, con un costo sempre più gravoso per il sistema previdenziale e per quello sanitario.

Per contro, come mostra Martin Ford, un imprenditore informatico della Silicon Valley, nel suo «Il futuro del lavoro», la robotizzazione dell’industria mette in diretta competizione gli uomini con macchine molto più efficienti e produttive di loro, rendendo così sempre più superflua la presenza umana nei luoghi della produzione. Sempre più le persone devono confrontarsi con parametri di produttività e di efficienza ben al di là della loro portata. Con la conseguenza, come scrisse Günther Anders, che prolungare l’esistenza umana appare cosa «antiquata».

Ma come la pensa Attali su questo punto? «Personalmente, in quanto socialista, sono oggettivamente contro il prolungamento della vita perché è una illusione, un falso problema». Si tratta cioè di una forma di alienazione che induce ad «evitare le questioni più essenziali come quella della liberazione del tempo realmente vissuto nella vita presente; a che serve vivere fino a cento anni se non guadagniamo altro che vent’anni di dittatura?». Attali passa poi a trattare il tema dell’eutanasia, dove mostra di condividere lo stesso concetto di libertà di un personaggio di Dostoevskij: Kirillov, il nichilista che rivendica il suicidio come forma compiuta della signoria umana, in grado perciò di disporre liberamente della propria esistenza. «L’eutanasia», ci informa il tecnocrate franco-algerino, «sarà uno degli strumenti essenziali delle nostre società future, in un caso come nell’altro [Attali scrive queste parole nel 1981, quando l’evoluzione della guerra fredda tra mondo capitalistico e mondo comunista era ancora imprevedibile: NdC]. In una logica socialista, per cominciare, il problema si pone nei termini seguenti: la logica socialista è la libertà e la libertà fondamentale è il suicidio; di conseguenza il diritto al suicidio diretto o indiretto è quindi un valore assoluto in questo tipo di società. In una società capitalistica vedranno la luce e saranno pratica corrente le macchine per uccidere, delle protesi che permetteranno di eliminare la vita quando sarà del tutto insopportabile o economicamente troppo costosa. Penso quindi che l’eutanasia, come valore di libertà o di mercato, sarà una delle regole della società futura».

Attali è tornato a parlare di eutanasia a quasi vent’anni di distanza nel libro «Dictionnaire du XXIe siècle» (tradotto in italiano nel 1999 col titolo «Lessico per il futuro. Dizionario del XXI secolo»). Alla voce «Eutanasia» leggiamo un pensiero in piena continuità con le «profezie» del 1981: «Alcune delle democrazie più avanzate sceglieranno di fare della morte un atto di libertà e di legalizzare l’eutanasia. Altre fisseranno dei limiti precisi alle proprie spese per la sanità, calcolando anche una spesa media, un “diritto di vita” che ognuno potrà utilizzare a suo piacimento fino ad esaurimento. Si creerà, allora, un mercato dei “diritti di vita” supplementari, in cui ognuno potrà vendere il proprio, in caso sia affetto da una malattia incurabile o sia troppo povero. Si arriverà, un giorno, persino a vendere dei “ticket di morte”, che daranno il diritto di scegliere tra i vari tipi di fine possibili: eutanasia a scelta, morte a sorpresa nel sonno, morte sontuosa o tragica, suicidio su commissione, ecc. La propria morte come la morte di un altro». Certamente Attali presenta questo quadro terrificante, saturo di materialismo e cinismo, alla maniera di un medico che prospetta lucidamente l’evoluzione del quadro clinico al paziente, in termini «oggettivi», «asettici», «avalutativi». Riesce però difficile non farsi qualche domanda sapendo che non si tratta di un semplice studioso o di un puro teoreta ma dell’uomo che per anni è stato considerato l’eminenza grigia di Mitterrand, che ha avuto incarichi di rilievo anche sotto Sarkozy, che ha «scoperto» Emmanuel Macron.

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11/07/2017
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