Politica
di Claudia Cirami
Per un recupero radicale della nostra identità
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
ARTICOLO TRATTO DALLA VERSIONE PER ABBONATI, SOSTIENI
QUI http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora
Mario Adinolfi contro tutto e tutti? Il nuovo libro del leader del Popolo della Famiglia – “O capiamo o moriamo” (Edizioni Youcanprint, 206 pagine, euro 12, 75, disponibile su Amazon) – è in realtà un libro “per”. Adinolfi è consapevole delle critiche che potrebbero arrivare al suo libro (islamofobia, omofobia e tutte le altre fobie che il politicamente corretto agita come spettri): fin dalle prime pagine le prende di petto, schivandole con eleganza. Un’excusatio non petita? Un mettere le mani avanti? No, un tentativo di far capire che il suo libro serve a dare la sveglia. Un libro “per”, si diceva. Per l’Occidente, per l’Italia in modo particolare. Nato da «un’esigenza fisica, impellente» perché «dopo decenni di fare il papà ti scatta dentro un senso di responsabilità di natura animale: il dovere di protezione nei confronti delle mie figlie» (p. 8). C’è ancora la possibilità di invertire una rotta sbagliata, ma solo se prendiamo coscienza di averla intrapresa e dell’urgenza di tornare indietro. E occorre farlo per noi ma anche per le nuove generazioni. Già potrebbe essere tardi, dato che il meccanismo mortifero si è messo in moto da tempo, ma Adinolfi prova a metterci in condizione di fare inversione di marcia, in un impegno che ormai gli è consueto, e lo fa con un libro che scorre veloce, schietto e ben documentato. Perché in un contesto sociale dove ci si combatte a colpi di statistiche e dati, il blogger, scrittore e politico non si tira indietro. Del resto, la realtà è per certi versi quantificabile e occorre solo interpretarla: Adinolfi poi riconosce che i numeri sono la sua passione (p.107) e questo rende il suo libro una lettura ben fondata, oltreché interessante.
Mario Adinolfi è uno che ha le spalle larghe. La sua notorietà, unita alla verve e a quelle idee che non sposano il politicamente corretto, non porta solo consensi ma costituisce un bersaglio facile. Come è già accaduto con il primo libro “Voglio la mamma” (sempre per Youcanprint, gran successo di vendite). Eppure, nonostante accuse, insulti, offese, egli rimane lì, saldo «come albero piantato lungo corsi d’acqua» (Sal 1, 3a), convinto che qualcuno debba fare il lavoro “sporco”. Inoltre è un uomo che ha viaggiato e viaggia parecchio, conosce culture e luoghi differenti e, come si può capire leggendo il suo libro, anche questo fa la differenza. Adinolfi è anche un uomo politico, è vero. Anzi, è un uomo che è appassionato di politica e questo, ad alcuni, appare come un peccato mortale. Ma lui (e questo sfugge ai suoi detrattori) sa bene come, abbracciando le idee alla moda, si faccia una carriera più spedita e sicura. Se gli fosse interessata solo la gloria, gli bastava rimanere dov’era, in quel partito di cui è stato uno dei fondatori e dal quale, in questi ultimi anni, sono arrivate le leggi e le proposte che egli combatte con coraggio. Perciò possiamo accostarci con sospetto al suo ultimo libro e degradarlo come solito testo di un politico qualunque, utile a conquistare (e)lettori. Oppure possiamo deporre i pregiudizi e leggerlo prima di tutto come una sofferta ma anche trainante requisitoria contro un Occidente fiacco e instabile, in procinto di essere sconfitto da se stesso, prima che dagli altri.
Si nota che l’ultima sua fatica ha un titolo che è uno slogan. “O capiamo o moriamo” – originariamente il titolo di un suo editoriale – sembra scagliato come una pietra contro il muro dell’indifferenza nostrana e mondiale. Gli slogan riescono a cogliere l’essenziale di una realtà. A volte, tuttavia, rischiano di accentuare, esasperare, per far presa. Possono destare l’attenzione collettiva, ma anche creare inutili preoccupazione. Adinolfi non corre questo pericolo. I temi affrontati nel suo saggio non solo hanno il sigillo dell’autenticità, ma purtroppo anche il carattere dell’urgenza e dell’allarme. “O capiamo o moriamo” diventa allora qualcosa di più di una grancassa per attirare qualche sprovveduto lettore o un elettore indeciso per sostenere il Popolo della famiglia. Il testo si configura infatti come una fotografia spietata e dolente, drammatica e urticante del mondo che stiamo costruendo, pezzo per pezzo, abominio per abominio, follia per follia. Un mondo totalmente contrario non soltanto a quello prospettato dall’originario progetto di Dio sul creato e sull’uomo – preoccupazione che potrebbe essere solo dei cristiani – ma anche lontano, molto lontano, dai requisiti minimi del buon senso che, per millenni, ha sostanzialmente “retto” l’ordine naturale delle cose. Adinolfi lo ha compreso bene e cerca, con uno stile coinvolgente e una scrittura dinamica, di fare in modo che anche noi possiamo prenderne coscienza.
I temi che il libro affronta sono tanti e tutti rilevanti per chi ha ancora a cuore le sorti del mondo: aborto, eutanasia, ideologia gender, legalizzazione delle droghe leggere, pedofilia, prostituzione e altro. Una propaganda martellante – incoraggiata e foraggiata anche dal mediasystem nostrano – li presenta ormai solo come diritti e ne invoca a gran voce l’attuazione, strappando – come un generale accorto e paziente – un po’ di terreno in più ai suoi avversari. Ma il prezzo di un eventuale vittoria di questa corrente mortifera sarebbe altissimo per l’Occidente. Adinolfi sa che non si tratta nemmeno soltanto di noi, ma pure dei figli che arriveranno, ai quali stiamo lasciando in eredità quello che originariamente era un appezzamento di terreno e che abbiamo trasformato in una palude malarica.
Non era mai accaduto prima – infatti – che si arrivasse a mettere in discussione ontologicamente le figure del padre e della madre. Prima si sapeva – lo sapevamo tutti – che un nuovo essere umano, una nuova persona nasce dall’incontro tra un uomo e da una donna. Ma da quando la madre è stata declassificata a “concetto antropologico”, il padre è stato messo a tappeto e la famiglia è diventata – secondo il diktat contemporaneo – solo uno stereotipo; da quando la scienza si è sostituita, in modo sempre più invasivo, alla natura; da quando l’artifizio è divenuto reale e la realtà è stata ridotta a finzione, le fondamenta stessa del mondo come l’abbiamo conosciuto fino all’altro ieri si stanno sgretolando una ad una. E una società senza fondamenta non può che crollare. Quello che sta accadendo sotto ai nostri occhi, mentre noi – disinteressati dell’essenziale – ci occupiamo non soltanto del marginale, ma anche di un liminare esiziale. Adinolfi ci ritiene, a ragione, la società «del diritto all’aperitivo compulsivo e alla cannetta libera» (p. 90). Come potergli controbattere? Proprio in questi ultimi anni, di attentati cruenti ai quali abbiamo reagito non con risposte efficaci (e bada bene qui non si tratta di invocare il ricorso alle armi) ma con gessetti colorati e megaconcerti, si è vista tutta la criticità di un Occidente che si sta facendo dilaniare pezzo per pezzo, senza opporre resistenza.
Ma qual è il pericolo? Perché quel “o moriamo”? Adinolfi sa che c’è una forza che sta premendo alle costole dell’Occidente, sempre più pressante. Si chiama Islam. Un mondo variegato che non si può valutare con giudizi affrettati e uniformi, ma che indubbiamente ha al suo interno la capacità di offrire una proposta radicale. Ed è una forza capace di imporre i suoi valori forti ai nostri piagnucolanti disvalori, di contrapporre i suoi uomini giovani ai nostri anziani senza nipoti, di far pesare le sue certezze sulle nostre titubanze. Adinolfi non gioca a fare il populista. Non gli interessa calvare l’onda emotiva che suscitano certe notizie di cronaca. Capisce bene, però, che, al confronto di un Occidente così mollemente debosciato e tanto vanamente convinto di reggere ancora le sorti del pianeta, il mondo islamico si presenta – piaccia o meno – con una proposta forte, ancora capace di sedurre. Non è un caso che lo scrittore si fermi anche sui dati riguardanti un fenomeno non proprio minoritario, quello delle conversioni degli occidentali all’Islam. C’è lo spazio anche per inserire un richiamo ad un cattolicesimo poco o per nulla praticato in maggioranza, che ha permesso si creasse il vuoto: «A scuola i nostri figli quest’anno dovranno celebrare un Natale “rispettoso”, a Pasqua si vieterà la benedizione pasquale, cammineremo sempre più nella paura di pestare qualche sensibilità protetta dal politicamente corretto, ma intanto il vuoto diventerà più grande e con esso la prepotenza di chi lo riempie» (pp. 99-100).
La lunga lista di attentati – che il saggista ci propone – ci ricorda implacabilmente il prezzo che stiamo pagando, il sangue che stiamo versando per non avere ancora capito con chi abbiamo a che fare. Il fondamentalismo – nell’Islam – finisce per essere un cancro che distrugge quanto di positivo c’è anche nella religione mussulmana. Adinolfi propone alcuni “comandamenti” laici da sottoscrivere insieme per dare un contenuto sensato alla definizione “i nostri valori”, che oggi non significa proprio nulla, da poter presentare anche a chi arriva nei nostri paesi (ma anche a chi vive già con noi) prima che possano essere ricolmi d’odio nei nostri confronti. Si può non essere d’accordo su tutto quello che scrive Adinolfi in questo libro – succede, ed è successo anche a me – ma non si può non riconoscergli il coraggio di avanzare una proposta altrettanto forte. Sulla quale si potrà e si può legittimamente discutere, ma certo l’alternativa non può essere l’elogio dell’apericena, né quell’irenismo senza contenuto che non somiglia nemmeno vagamente all’idea di pace, che è tra le più profonde aspirazioni dell’essere umano. Se ci si guarda intorno, in fondo, si vede che non tutti i paesi si adeguano alla deriva nichilista: alcuni cercano di resistere (finendo spesso nel tritacarne di campagne mediatiche violentemente ideologiche) e propongono altre soluzioni. Nel libro Adinolfi osserva anche queste altre realtà straniere, cercando di mettere in evidenza cosa noi italiani possiamo mutuare da loro.
Come si diceva, Adinolfi non coltiva tendenze xenofobe. Si comprende quando affronta un’altra questione da non sottovalutare. E qui l’autore del testo chiama in causa ben due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali ricordavano che se esiste un diritto ad emigrare – che va riconosciuto – dev’essere anche sostenuto un diritto a non emigrare. Che significa? Prendendo a prestito le stesse parole di Benedetto XVI, citate nel libro, vuol dire diritto «a essere in condizione di rimanere nella propria terra» (Giornata Mondiale del Migrante 2013). Le persone che arrivano nelle nostre coste scappano dai loro paesi perché questo diritto non è più garantito: fuggono da situazioni disperate che hanno reso invivibili i paesi d’origine. Inoltre, se l’accoglienza per un cristiano fa parte del dna e per gli altri è un dovere umano, politiche di accoglienza insufficienti o incapaci di una progettazione di lungo corso, come quella che abbiamo visto realizzata da alcuni Stati Europei negli ultimi anni, significano per lo più contribuire alla sottrazione di forze giovani ai paesi poveri o in guerra. Che futuro avranno questi paesi, con un presente già drammatico, se si toglie loro la parte di umanità più adatta a costruire e produrre? «In Italia è difficile che incontriamo un migrante brasiliano o russo o indiano. Lo incontriamo nigeriano, congolese, della Sierra Leone: giovane, maschio, forte. Sapete chi è? Semplicemente è l’occasione di futuro che la Nigeria, il Congo, la Sierra Leone hanno. E che non hanno più se migra qui da noi» (pp. 109-110). Attento alle situazione degli altri paesi com’è sempre stato, il leader del Pdf propone delle soluzioni.
Sul tema della difesa dalla vita dal concepimento fino alla sua fine naturale, emoziona il capitolo in cui Adinolfi, riflettendo sulla tentazione eutanasica, omnidirezionale ormai, parla del padre scomparso da non molto. Chiunque abbia avuto un familiare che, per malattie considerate inguaribili ma non incurabili, si è spento pian piano, sa come l’amore e l’attenzione abbiano fatto la differenza. A tutti loro dà voce l’autore del libro: «Accanto a papà malato ho capito il valore fondamentale del matrimonio che dura una vita, con l’assoluta dedizione di mia madre ai suoi bisogni. Quell’amore non l’ha guarito, ma l’ha curato anche dalle nuvole di disperazione che si affacciavano di tanto in tanto nel suo cielo» (p.72). Questa società sembra in debito d’ossigeno d’amore nei riguardi dei più deboli. Inevitabile, nel libro, anche il richiamo alla vicenda, che ha suscitato un clamore internazionale, del piccolo Charlie Gard, altro malato inguaribile ma non incurabile, soppresso perché la sua vita non ottemperava agli standard richiesti oggi da chi parla di “vita degna” o altre espressioni similari.
Non manca, in chiusura, il riferimento al partito fondato insieme a Gianfranco Amato l’11 marzo 2016: «Questo non è un libro di propaganda politica, i dubbi e le questioni che abbiamo posto interrogano pienamente tutti, qualsiasi sia il colore della propria fede politica, così come tutti sono chiamati a dare risposte. Sarei reticente però se non provassi a spiegare le mie, anche perché sono costruite in un complesso percorso da una comunità composta da decine di migliaia di persone…» (p.165). Ecco dunque lo spazio per i 26 punti programmatici del Pdf, ispirati alla Dottrina Sociale della Chiesa, presentati in breve e senza inutili orpelli. Quella del Pdf è una realtà politica che, nonostante le derisioni di alcuni e gli attacchi di altri, appare ancora piuttosto vitale. Per questo Adinolfi la presenta come un’alternativa politica credibile. In questi 26 punti, disposti in ordine alfabetico, non c’è solo attenzione alle questioni “sensibili” quali difesa della vita, famiglia, educazione, ma anche alla giustizia sociale, al bene comune, all’ecologia, con proposte concrete di intervento politico per tutelare lavoratori, donne, fasce più povere, ecc.
Ogni capitolo del libro è corredato da riquadri interessanti che offrono dati, ma soprattutto link per approfondire gli argomenti trattati. Lo scrittore sa che è anche facendo una contro-informazione – e i riquadri ce lo ricordano – che è possibile sconfiggere questa cultura della morte che, in vari modi, sembra possederci. Informarsi è già un primo passo per rispondere adeguatamente: ma fondamentale è anche il momento della riflessione sulle informazioni ricevute prima che sia troppo tardi (e non si tratta certo, in questo caso, di catastrofismo ambientale). “O capiamo o moriamo”, dunque, non è solo uno slogan ma anche una sintesi efficace del libro di Adinolfi. Sui contenuti e i modi di questa presa di coscienza sarà sempre – ed è persino auspicabile – dialogare e cercare dei punti di contatto, tra laici e credenti, tra esponenti di diversi partiti, tra uomini di differente matrice culturale. Ma su alcuni punti si dovrà essere d’accordo, soprattutto per quanto riguarda quelli che interessano la questione antropologica e la difesa della vita. L’obiettivo è rilevante: serve «una forma di recupero della nostra radicale identità, unico preludio possibile a una forma pienamente fraterna di cristiana accoglienza dell’altro da sé» (p.102). Dunque o ci diamo la sveglia o ci inabissiamo. Se ci accadesse di finire nell’abisso, considerato come l’Occidente si sta allontanando rapidamente dal progetto di Dio sull’uomo, il resto del mondo potrebbe non sentire affatto la nostra mancanza. E non avrebbe torto.