Politica
di Lucia Scozzoli
Chi lavora non sia più una riga del bilancio
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Si è aperta ieri a Cagliari la 48esima settimana sociale dei cattolici italiani, dal tema: “Lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”.
I quattro aggettivi scelti per il titolo non sono a caso e rappresentano un obiettivi da raggiungere. Papa Francesco li ha utilizzati già nell’Evangelii Gaudium:
“191. In ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: «[…] ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco».
192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti». Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.”
Il Papa ha fatto pervenire dunque un video messaggio per la sessione di apertura dei lavori, nel quale ha richiamato l’attenzione sulla grave deprivazione di dignità che avviene nei confronti dei disoccupati: «Il mio pensiero - dice Francesco - va ai disoccupati che cercano lavoro e non lo trovano, agli scoraggiati che non hanno più la forza di cercarlo e ai sottoccupati che lavorano solo qualche ora al mese senza riuscire a superare la soglia di povertà. A loro dico: non perdete la fiducia! Lo dico anche a chi vive nelle aree del Sud d’Italia più in difficoltà”»
«Senza lavoro non c’è dignità», afferma Bergoglio: «Ma non tutti i lavori sono “lavori degni”. Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario – scandisce il Papa – uccidono. Rimane poi la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi».
Poi il Papa non ha mancato di sottolineare come la crisi del lavoro sia anche una crisi sociale ed ambientale insieme: il sistema economico «mira ai consumi, senza preoccuparsi della dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente. Ma cosi è un po’ come andare su una bicicletta con la ruota sgonfia: è pericoloso! La dignità e le tutele sono mortificate quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato». Una logica alla quale non sfuggono le pubbliche amministrazioni, «quando indicono appalti con il criterio del massimo ribasso senza tenere in conto la dignità del lavoro come pure la responsabilità ambientale e fiscale delle imprese», e che deve interessare anche l’imprenditore, chiamato ad «affidare i talenti ai suoi collaboratori, a loro volta chiamati non a sotterrare quanto ricevuto, ma a farlo fruttare al servizio degli altri. Nel mondo del lavoro, la comunione deve vincere sulla competizione!».
In poche frasi, il Papa ha messo molta carne al fuoco: il lavoratore è considerato solo una voce di bilancio, uno strumento, e non un soggetto la cui soddisfazione deve importare come i profitti aziendali, questo conflitto dato ormai per scontato tra diritti dei lavoratori e profitti degli imprenditori va smontato. Ciò che calpesta l’uomo, alla lunga si ritorce contro l’intero sistema. Il riferimento alle aste al ribasso della pubblica amministrazione ha sorpreso qualcuno, ma l’attenzione del pontefice a questo particolare meccanismo denota invece una grande attenzione al sistema Italia: il massimo ribasso, infatti, è un criterio di selezione che non tiene abbastanza in conto la qualità e la professionalità, finisce per favorire gli imprenditori più spregiudicati che si ritagliano un profitto erodendo i salari dei dipendenti, per non parlare dei casi di frode vera e propria in cui la cresta viene fatta sulla qualità di servizi e materiali, con grave danno per la collettività. Oppure capita spesso che un’impresa che ha vinto un appalto tirando all’osso i preventivi, poi non rientri nei costi e fallisca o abbandoni l’appalto, costringendo le pubbliche amministrazioni a spendere molto di più riaprendo gare e ripartendo daccapo con le selezioni.
Non mancano anche i segni di speranza, come le buone pratiche di gestione del lavoro e l’innovazione tecnologica, quando sia guidata «dai principi di sussidiarietà e di solidarietà». Due sono le virtù che dobbiamo perseguire: «servire le persone che hanno bisogno; e formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione». «Competizione: qui c’è la malattia della meritocrazia. Nel mondo del lavoro la comunione deve vincere sulla competizione. È bello vedere che l’innovazione sociale nasce anche dall’incontro e dalle relazioni e che non tutti i beni sono merci: ad esempio la fiducia, la stima, l’amicizia, l’amore».
Infatti il problema grande di un sistema strettamente meritocratico è il criterio con cui si misura tale merito: le prestazioni di un soggetto sono il risultato di tanti fattori, alcuni ponderabili ed altri meno. Gli obiettivi raggiunti dipendono dalle risorse materiali a disposizioni, ma anche da quelle umane relazionali: sappiamo bene che i team vincenti sono quelli affiatati, dove la fiducia è il collante principale e non la competizione, dove la condivisione dei successi e degli insuccessi crea sinergie, staffette, spazi per la realizzazione personale. Il clima umano di un ambiente ipercritico spesso rende gli individue stressati e meno efficienti, timorosi di sbagliare e quindi meno intraprendenti. Le organizzazioni del lavoro devono tenere conto della complessità umana e non cercare di forzarla dentro rigidi schemi teorici con la violenza di regolamenti disumanizzanti.
«Voglio augurarvi – conclude il Papa – di essere un “lievito sociale” per la società italiana e di vivere una forte esperienza sinodale. Vedo con interesse che toccherete problemi molto rilevanti, come il superamento della distanza tra sistema scolastico e mondo del lavoro, la questione del lavoro femminile, il cosiddetto lavoro di cura, il lavoro dei portatori di disabilità e il lavoro dei migranti, che saranno veramente accolti quando potranno integrarsi in attività lavorative. Le vostre riflessioni e il confronto possano tradursi in fatti e in un rinnovato impegno al servizio della società italiana».
Il cardinal Bassetti, presidente della CEI, ha anche affermato che sono i giovani il «principale comune denominatore delle disuguaglianze». «Reddito e occupazione non solo stanno favorendo le generazioni più vecchie, ma stanno incentivando una drammatica emigrazione di massa dei nostri giovani. È inaccettabile, un fenomeno ingiusto risultato di un quadro sociale ed economico dell’Italia estremamente preoccupante». E qui Bassetti si rifà ai dati ISTAT, quando descrive l’Italia come «un paese vecchio, rapidamente invecchiato, con livelli di povertà costantemente superiori alla media europea e tassi di disoccupazione estremamente alti, uno sviluppo economico che stenta a ripartire con decisione».
Insomma, non c’è stata traccia dell’ottimismo pre elettorale con cui il governo aveva interpretato a modo suo quegli stessi dati ISTAT, parlando di calo della disoccupazione giovanile e ripresa della fiducia.
La CEI dunque ha aperto i lavori calandosi subito nella realtà concreta del nostro paese e facendosi portavoce soprattutto dei disagi delle persone, alle prese con un mondo del lavoro sempre più disumano nelle sue modalità organizzative, avaro negli stipendi, crudele nella competizione, e non risparmiando le critiche né al pubblico né al privato.
Come sempre, la Chiesa propone riflessioni profonde, calate sull’uomo e i suoi bisogni, non accetta di restare in un angolo, muta, ad assistere al disfacimento della società. La speranza è sempre quella che qualche forza politica accolga le sollecitazioni e i suggerimenti ad affrontare le problematiche del mondo del lavoro con uno sguardo centrato sull’uomo, senza limitarsi a veloci manifestazioni di accondiscendenza senza conseguenze pratiche.