Società
di Lucia Scozzoli
Come cambia il volantone di Comunione e Liberazione
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All’ultima scuola di comunità, Julian Carron ha presentato il volantone di Natale di CL: si tratta di una foto molto suggestiva, in bianco e nero, di una tenda in un campo profughi. All’interno ci sorprende lo sguardo stanco di una giovane donna, davanti ad una lampada ad olio, unica luce dell’imbrunire.
L’immagine è ovviamente evocativa della nascita di Gesù nella povertà di una stalla, con la chiara intenzione di sottolineare un parallelo tra i poveri derelitti di oggi e la Sacra Famiglia di allora.
La didascalia recita: “Una storia particolare è la chiave di volta della concezione cristiana dell’uomo, della sua moralità, nel suo rapporto con Dio, con la vita, con il mondo. La nostra speranza è in Cristo, in quella Presenza che, per quanto distratti e smemorati, non riusciamo più a togliere – non fino all’ultimo briciolo, almeno – dalla terra del nostro cuore per tutta la tradizione dentro la quale Egli è giunto fino a noi” (Giussani).
A qualcuno il volantone non è piaciuto: in particolare Socci sulle pagine di Libero ha tuonato contro l’ideologia della sostituzione e «l’insistenza ossessiva con cui papa Bergoglio ripropone continuamente i migranti (e l’ecologia) a tutte le ore, tutti i giorni, per Natale, per l’Assunta e per Pasqua», tempi liturgici forti che dovrebbero riguardare l’annuncio di Cristo, la vita eterna e la dottrina cattolica.
E poi ha proseguito: «Chi ha interpretato perfettamente il nuovo verbo bergogliano è l’attuale capo di Comunione e Liberazione, Julian Carron, che, buttando alle ortiche l’insegnamento di don Giussani (e buttando alle ortiche pure CL che ormai è ridotta ai minimi termini), ha lanciato per il Natale 2017 un “volantone” in cui non c’è più Gesù bambino, ma un campo profughi. È una bella foto artistica, ma Gesù è del tutto assente, dunque rappresenta il Natale bergogliano, non il Natale cristiano».
È arcinoto l’astio violento di Socci verso papa Francesco, da lui a tratti non riconosciuto nemmeno come pontefice, e la furia con cui tende ad etichettare come “bergogliani” in senso spregiativo tutti coloro che non si pongono in aperto contrasto con le indicazioni papali, però la sua requisitoria contro la teologia dei poveri che, a suo dire, il volantone interpreterebbe è a mio parere un po’ eccessiva.
Io non sono una teologa e non mi azzardo nemmeno a proporre citazioni evangeliche o bibliche colte qua e là con una rapida ricerca col CTRL+F, come sono soliti fare i giornalisti al giorno d’oggi quando devono manipolare alla bisogna qualche messaggio caro al mainstream e tirare per la giacchetta i cattolici. Non voglio assolutamente entrare nel merito di cosa significhino i poveri per il cattolicesimo e di quale posto debbano occupare nel cuore dei fedeli: queste sono faccende che ciascuno dovrà chiarire coi propri pastori di riferimento, non certo leggendo i giornali.
Mi preme invece analizzare il costume e il clima culturale che respiriamo ormai in Italia: in molti posti del Belpaese scoppiettano mini scandali, con dirigenti scolastici che requisiscono i simboli religiosi dagli edifici, per puro scrupolo preventivo (come in Sicilia), senza che nessuno abbia formalmente domandato nulla, mentre abbiamo politici che si benedicono da soli le sedi di partito se non si presenta il parroco precettato (vedi Fioroni), e poi inveiscono contro il vescovo che non sarebbe abbastanza cristiano; abbiamo Renzi che parla dall’altare a Paestum, senza preavviso, e sommosse di cattolici a Modena perché il vescovo ha disposto che non si lascino parlare nei luoghi parrocchiali persone che non sono in linea col magistero; abbiamo gite scolastiche a mostre d’arte soppresse perché il soggetto è religioso (in Toscana), nel timore che qualche non cattolico si offenda, e poi abbiamo la meditazione yoga propinata senza consenso nelle classi.
Insomma, la religione è un tema caldissimo, di cui tutti vogliono appropriarsi a vario titolo, diffondendo l’unica chiave di lettura giusta del mondo e tacciando tutti gli altri di eresia/fondamentalismo/apostasia/lassismo eccetera.
L’asprezza dei toni è un tratto caratteristico di questo confronto tra molti contendenti, ed è a volte inaspettata, sicuramente ingiustificata, soprattutto quando le posizioni non sono affatto agli antipodi, come tra cattolici di diversi orientamenti politici o culturali.
C’è una gran smania di potersi affiggere al petto la medaglia di buon cattolico, quello giusto, l’unico DOP, mentre tutti gli altri sono lasche imitazioni, o caricature estremiste. Su tutti i temi toccati da papa Francesco assistiamo allo stesso scontro a fuoco: la misericordia è stata oggetto del contendere per tutto l’anno scorso, creando correnti fittizie che se le sono cantate di santa ragione. Ora il ring è occupato dal tema dell’accoglienza ai migranti, per cui tra accuse di pauperismo e immigrazia da una parte, e di razzismo ed egoismo dall’altra, ancora una volta si consumano fratture dentro il già fragile e tormentato mondo cattolico, che pare sempre più incapace di ritrovare un’armonia o almeno la serenità di affrontare questi importanti temi senza le pregiudiziali di categorie mentali già consolidate.
Stiamo dimenticando che ogni problema umano ha due punti di vista correlati e allo stesso tempo indipendenti: lo sguardo singolare sull’uomo e l’analisi globale sui fenomeni massivi. Si fa una grande fatica a scindere i due piani, per la tendenza innata alla semplificazione manichea, per cui vogliamo solo appiccicare un bollino buono/cattivo sulla fronte delle persone o addirittura a categorie umane intere.
CL è cattivo, i neocat sono buoni (o viceversa); gli immigrati sono tutti furbi, o stupratori, o violenti, oppure sono tutti vittime, buoni, innocenti; i poveri sono sfaticati fannulloni oppure sono perseguitati senza colpa.
In realtà nemmeno in ogni singolo uomo o donna possiamo trovare solo bene o solo male, questa commistione complessa di grano e zizzania ci è profondamente connaturale; pretendere dunque di classificare con una pennellata rapida questi movimenti massivi, epocali, transnazionali così vasti come i fenomeni migratori, con tutto il loro carico di schiavitù, sfruttamento, motivazioni, sogni, obiettivi leciti e illeciti, è paradossale.
E se è odiosa la strumentalizzazione che i politici cercano sempre di fare della religione, a volte cavalcandone alcuni slogan, altre volte osteggiandola in modo pretestuoso, è perché i cattolici non hanno più sufficiente spessore teologico per assorbire i colpi e neutralizzarli in un discernimento attivo e consapevole. Siamo convinti (almeno chi cerca di strumentalizzare lo è) che i cattolici siano molli banderuole facilmente abbindolabili con due paroline dolci e qualche citazione ad hoc. Per questo sorgono ogni giorno nuovi prodi difensori della fede, depositari unici e solitari della vera verità, contro i falsi profeti di turno, che siano essi vescovi, preti, movimenti religiosi o addirittura il Papa.
Contemporaneamente c’è chi vive nella soggezione psicologica al politically correct e ai nuovi miti, di cui l’ateismo iconoclasta pare una manifestazione primaria, quasi vergognandosi dei baluardi culturali che il cristianesimo ha saputo costruirsi nei secoli attraverso l’opera libera e coinvolgente dei suoi seguaci: le chiese maestose e piene di opere d’arte non sono state rubate a nessuno, non sono state nemmeno erette da squadre di schiavi del faraone, ma sono il risultato del lavoro artigiano e artistico di maestranze pagate; i milioni di volumi di letteratura e filosofia di ispirazione cristiana non sono stati commissionati da nessun despota con manie di assolutismo mediatico; i quadri, le sculture, i bassorilievi, le miniature; l’idea stessa di dignità umana come bene supremo; tutto questo è frutto spontaneo di un cristianesimo fatto di uomini orgogliosi della propria appartenenza ad una fede totalizzante, come di fatto è il messaggio di Cristo crocifisso.
Ora subiamo la paura di ostentare simbolismi che possano essere tacciati di tradizionalismo (nuova parolaccia), oppure siamo avvinti dalla smania di modernismo, e così anche certa pastorale interpreta l’imperativo all’adattamento alla realtà concreta come un invito a uniformarsi alle mode. Il volantone di CL pare più questo tentativo goffo di riempire di nuove immagini il vecchio significato del Natale, per suscitare emozioni fresche e riagganciare l’attenzione dell’uomo distratto, che non trova più nel solito Natale col bue e l’asinello un messaggio che valga per sé. Solo che ogni istantanea contemporanea riaccende l’astio che accompagna ormai la nostra quotidiana lettura dei giornali e ci manda di traverso la commozione infantile di fronte alla mangiatoia di Betlemme.
Se lo sforzo modernista di CL non è il massimo, di sicuro la furia da sacro zelo di Socci non è meglio. La tragedia è che “modernizzare” ha sempre la marcescente radice di “modus”, da cui “moda”, una cosa di un istante che fugge veloce tra due non-entità, mentre il “nunc” dell’Evangelo - «oggi è nato per voi…» – sarebbe lo specchio dell’eternità.
Non c’è niente da modernizzare, c’è solo da aprire gli occhi: è Cristo che si riverbera nei profughi, ma a partire da nessuna realtà si ascende alla stella dei magi. E scusatemi le citazioni che avevo dichiarato di non voler fare, ma non sono mie. Le ho prese in prestito da qualcuno che ne sa più di me.