Politica
di Lucia Scozzoli
Su Gerusalemme tutti contro Trump e Putin
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Tre giorni fa gli Stati Uniti hanno bloccato con il veto la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu proposta dall’Egitto per invalidare la decisione del presidente Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Il testo, che avrebbe imposto alle nazioni di non spostare la propria ambasciata a Gerusalemme, ha ottenuto 14 voti a favore su 15. Si è trattato del primo veto dell’ambasciatore alle Nazioni Unite degli Usa, Nikki Haley. Le reazioni sono state molto forti: l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Matthew Rycroft, ha affermato che il documento è «in linea con le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza» e l’ambasciatrice americana ha risposto piccata che «quello che abbiamo visto oggi in Consiglio di Sicurezza Onu è un insulto, non lo dimenticheremo». L’altro giorno nel Messaggio di Natale i 13 patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno chiesto di mantenere lo status quo nella Città Santa fino a quando non sarà raggiunto un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. «Qualsiasi approccio esclusivamente politico a Gerusalemme – scrivono gli esponenti religiosi – priverà la città della sua vera essenza e delle sue caratteristiche e calpesterà il meccanismo che ha mantenuto la pace attraverso i secoli. Gerusalemme è un dono sacro; un tabernacolo; terra sacra per il mondo intero. Tentare di possedere la Città Santa Gerusalemme o confinarla con criteri di esclusività porterà ad una realtà molto oscura».Tra i 13 leader cristiani, c’è anche Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico di Gerusalemme dei Latini, il quale già una settimana fa si era espresso su Tg2000 in termini chiari sulla questione: «Niente impedisce che Gerusalemme diventi il simbolo nazionale di due Paesi e popoli come Israele e Palestina che la proclamano come Capitale ma la città è molto di più. Non può essere ridotta ad una disputa territoriale o sovranità politica. Gerusalemme è anche la patria di cristiani, ebrei e musulmani. È la patria culturale di miliardi di credenti e non credenti nel mondo. È la Capitale spirituale di tantissime altre persone. La sua vocazione è universale».E sulla mossa di Trump aveva affermato che faticava a comprenderne il senso, di certo in questo momento storico di forti tensioni è stata una mossa incauta, che ha chiuso ogni forma di dialogo irrigidendo le posizioni. Anche nel messaggio di Natale, Pizzaballa ha ribadito però che «dal punto di vista della vita ordinaria non è cambiato nulla a Gerusalemme: è rimasto tutto come prima, per cui le celebrazioni per il Natale non subiranno variazioni. Faremo tutte le cose previste. Vogliamo le luci accese, gli scout, la confusione, la festa insomma! Dobbiamo esprimere sul territorio il nostro esserci». Infatti il problema è anche organizzativo ed economico: le tensioni politiche intorno a Gerusalemme dopo il discorso di Trump hanno portato come conseguenza molte cancellazioni sul fronte dei pellegrinaggi, che sono una voce non piccola del bilancio della Terra Santa. Insomma, i cristiani a Gerusalemme non sono affatto contenti della situazione che si è venuta a creare, per tanti motivi di ordine politico, culturale ed economico. Con Pizzaballa, ci domandiamo un po’ tutti il perché di una simile decisione di Trump: non si è trovato nemmeno un capo di stato che lo abbia appoggiato. Lo scenario del Medio Oriente è più che mai intricato e si iocano partite sottobanco oltre che guerre aperte, e questo non aiuta a districare la matassa. Qualcuno ha ipotizzato che servisse un nuovo focolaio di destabilizzazione dell’area, ora che la guerra in Siria è quasi finita e Assad vincitore, in modo da diminuire l’influenza di Iran e Russia. Certo che non ci si può fidare delle apparenze:il controverso attacco missilistico in Siria il 7 aprile da parte degli USA è sembrato presto una mossa di facciata per recitare la parte di un contrasto con la Russia. Ora invece assistiamo a pubblici ringraziamenti di Putin all’intelligence statunitense, che ha aiutato la Russia a sventare un attacco terroristico, con annessa offerta di analoga collaborazione: Trump e Putin due piccioncini. In effetti forse i contrasti sono finzioni: proprio nel giorno in cui Washington dichiarava Gerusalemme capitale di Israele, Putin a seguito di una visita lampo in Siria, annunciava il ritiro delle truppe russe dal Paese arabo. Da una parte i russi sbandierano l’incontestabile.vittoria militare e politica in Siria; dall’altra Washington cerca di porre l’ultima e più delicata tessera del mosaico mediorientale, cioè la soddisfazione, per quanto simbolica, di Israele.Con Obama, Netanyahu aveva avuto più di una tensione, a partire dalle elezioni di marzo 2015, nelle quali Obama aveva sostenuto i laburisti di Herzog. Per questo Israele aveva tentato i canali diplomatici con Mosca, nel tentativo di avere assicurazioni circa la messa sotto controllo degli Hezbollah e delle milizie oltranziste sciite filoiraniane, in cambio della permanenza di Assad. Poi però c’è stato il mezzo colpo di stato in Turchia, che ha provocato uno spostamento dell’asse diplomatico ed un peggioramento dei rapporti anche con Israele; pure l’Egitto ha marcato la sua distanza. Contemporaneamente si è rafforzato l’asse Libano e Iran. Quindi Israele ha domandato un segnale forte di appoggio da parte degli alleati storici, ora che non c’è più l’ostile Obama sul seggio presidenziale statunitense. Ma Trump cosa ci ha guadagnato? Prima di tutto non è da trascurare il fatto che il genero di Trump, nonché consigliere, Jared Kushner, sia un ebreo, per cui i consigli diplomatici propendono in una direzione chiara. Inoltre la lobby ebraica è molto forte negli USA e sempre decisiva negli equilibri della politica americana. Infine la mossa lo ha fatto apparire agli occhi dell’opinione pubblica interna assai meno filorusso, in virtù anche delle affermazioni di condanna che pure Putin non ha mancato di esternare sullo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme.D’altro canto anche a Putin sta bene la manovra: egli è il deus ex machina del Medio Oriente, un trionfatore, il che non guasta mai prima delle elezioni politiche interne. In questo sommovimento, la Turchia si è allontanata assai dagli USA e si è avvicinata alla Russia, a tutto vantaggio di Putin. E in ultimo, l’Europa si trova raccolta, questa volta con la Russia, a bacchettare Trump con le sue risoluzioni e si può quindi sperare in un rilassamento dei rapporti e magari anche in un alleggerimento delle sanzioni commerciali. In sostanza, la mossa di Trump è un atto di intricata politica internazionale, che smuove tutte le carte sul banco, forse per non cambiare nulla Dall’alto della sua millenaria esperienza, solo la Chiesa in effetti sta appellandosi a qualcosa che sia superiore alle motivazioni politiche e militari: il conflitto tra palestinesi e israeliani vede grosse responsabilità dell’establishment inglese (anzi, ne è proprio il fautore primo) e americano, e senz’altro ripercorrere la storia, ancora recente e bruciante, di un’invasione pianificata potrebbe essere di relativa utilità. Però quella terra respira una storia assai più profonda e antica, che dovrebbe annullare in un soffio la rilevanza del presente e permettere di ricollocare tutti gli interlocutori ad un piano di dialogo che tenga conto della grandiosità culturale e religiosa di Gerusalemme. Eppure continua ad essere più importante dove avrà il suo ufficetto l’ambasciatore USA piuttosto che dove sta la tomba di Cristo. Se solo sapessimo alzare lo sguardo!