Società
di Lucia Scozzoli
La morte vince sulla giustizia?
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
QUI http://www.lacrocequotidiano.it/abbonarsi-ora
La procura di Milano, anzi precisamente il pm Tiziana Siciliano ha chiesto l’assoluzione per Marco Cappato, alla sbarra con l’accusa di istigazione al suicidio di Fabiano Antoniani. «Mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa - ha affermato nella requisitoria - io rappresento lo Stato e lo Stato è anche Marco Cappato».
Non si è stupito nessuno: la Siciliano aveva già chiesto l’archiviazione a maggio scorso, affermando che «le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso», ma il GIP l’aveva respinta. Ora ci riprova, palesandosi apertamente a favore delle idee radicali e chiedendo di assolvere Cappato o di inviare addirittura gli atti del processo alla Corte Costituzionale per sollevare una questione di illegittimità sull’articolo 580 che prevede il reato di aiuto al suicidio.
Era esattamente quello che voleva Cappato: scardinare completamente l’idea che istigare al suicidio sia reato. In fondo, se la vita è un bene nella disponibilità della persona fino all’estrema conseguenza della morte, nessuno deve permettersi di fermare chi voglia suicidarsi e soprattutto la proposta di terminare prima del tempo la propria vita deve essere resa legale, lecita, possibile. Già Cappato si frega le mani, immaginandosi un fiorire di cliniche per la dolce morte, il lieve trapasso, l’allegra dipartita. Il business della morte, propinata soprattutto agli scarti della società, ai deboli, ai malati, ai depressi, alle persone sole, agli anziani. Il prezzo non sarà mai un problema: chi sta a lesinare per l’ultima spesa della sua vita?
Magari Cappato potrebbe pure proporre il reato di ostacolo al suicidio, giacché c’è: chiunque provi a frapporsi tra la sacra volontà della persona che vuole morire e lo scheletro con la falce in mano deve essere punito. L’idolo del libero arbitrio è issato su un dorato piedistallo di finta pietà.
Con il diritto alla vita, in tribunale è stato ieri sacrificato anche il diritto alla giustizia: un pm che si rifiuta di formulare un’accusa dopo che era stata respinta la richiesta di archiviazione dal GIP ha dell’incredibile.
Dopo l’udienza camerale, il GIP Luigi Gargiulo aveva addirittura imposto l’imputazione coatta di aiuto al suicidio, per avere accompagnato Antonioni alla clinica Svizzera, ma soprattutto per aver rafforzato il suo proposito al suicidio. E anche in questa occasione, Cappato aveva esultato, affermando: «Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono stati determinanti, vi dico che preferirei una condanna. Quella motivazione paradossalmente aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere. Se Fabiano fosse stato residente a Catania, non sarebbe potuto andare in Svizzera e nemmeno se non avesse avuto 12mila euro a sua disposizione».
Insomma, tutto si sta svolgendo come ha desiderato l’esponente radicale. Infatti le dichiarazioni della collega della Siciliano, Sara Arduini, sono passate sotto silenzio: «Cappato non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha nemmeno rafforzato la sua volontà di morire».
Non è quello che afferma Cappato e non è quello che auspica la Siciliano: questi puntano ad una modifica del codice penale per eliminare del tutto il reato di istigazione al suicidio, non vogliono affatto negare che l’istigazione ci sia stata.
La Siciliano, senza vergogna, ha chiuso la requisitoria citando Tommaso Moro «che per le sue idee, simili a quelle di Fabiani e di Cappato, venne giustiziato, 500 anni fa, per poi essere beatificato nel 1935. Speriamo che non si voglia far lo stesso per Cappato».
Povero Tommaso Moro! Si sarà rivoltato nella tomba a sentirsi citato tanto a sproposito! Forse la Siciliano ha fatto una ricerca su google un po’ troppo rapida ed è capitata su qualche passo di “Utopia”, che però – lo diciamo per la pm che fa la finta acculturata – è una finzione: l’isola in cui è ambientato il racconto si chiama Raphael Hythlodaeus, che significa “fornitore di sciocchezze”. E se è vero che Raffaele riporta l’eutanasia utopica, poi in un altro passo rifiuta il suicidio affermando: «Dio ci ha negato il diritto di prendere non solo la vita di un altro, ma anche la nostra».
Se alla Siciliano piace tanto l’utopia di Moro, in essa egli auspicava anche l’abolizione della proprietà privata: chissà se ne sarebbe altrettanto contenta. E pure l’assegnazione di cariche pubbliche solo alle persone religiose, perché gli atei sarebbero rozzi e volgari, tendenti all’immoralità.
Dire poi che Moro fu giustiziato per questo passaggio è a metà tra l’ignoranza abissale e la malafede senza vergogna.
Chissà poi perché mai la Siciliano abbia sentito la necessità di infilarci una citazione di Moro, anzi lo sappiamo perché: per chiamare in causa la Chiesa in un modo qualunque e sostenere implicitamente che essa, se già non è d’accordo con l’eutanasia, potrebbe comunque diventarlo. Francamente mi pare che il mondo sia cambiato assai negli ultimi 500 anni e si sia evoluto parecchio in termini di umanità, rifuggendo la guerra (almeno a parole), parlando di uguali diritti per tutti, indipendentemente da ceto sociale, sesso, religione, pensiero, razza, eccetera, cose che nel 1500 neanche si sognavano.
Forse che la Siciliano sogni un ritorno al medioevo? E dire che accusano sempre i cattolici, di essere medievali.
L’avevamo predetto, che questo processo sarebbe stata una passerella dei radicali, una loro vittoria mediatica e culturale, indipendentemente dalle decisioni del giudice: una grande farsa, per condurre gli italiani in tempi rapidi ad ambientarsi all’idea che l’eutanasia sia non solo il male minore, ma un’auspicabile destino per tutti.
Viva la morìa! Lo grideremo come monatti, scolando il fiasco sulla via, tra allegri festeggiamenti, mentre condurremo l’ennesimo malato all’esecuzione del destino che ha liberamente scelto, costretto dal dolore, dall’invito della società a levarsi di mezzo e dal coro di incitamento di chi lucrerà sulla sua dipartita.