Chiesa

di Emilia Flocchini

Beatificazione di Teresio Olivelli

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Testimone eroico, stella nella notte, modello di giovane. Tutto questo e molto altro è stato Teresio Olivelli, beatificato nel Palasport di Vigevano. Il suo è uno dei casi in cui l’esemplarità sancita dalle autorità ecclesiastiche risulta accompagnata dall’ammirazione da parte di esponenti della società, anche non credenti. Teresio, infatti, è stato uno dei protagonisti della Resistenza al nazifascismo, vissuta però senz’altre armi che quelle della preghiera e della carità.

È nato a Bellagio, in provincia e diocesi di Como, il 7 gennaio 1916. I suoi genitori, Domenico e Clelia Invernizzi, avevano avuto un altro figlio, Carlettore, venuto al mondo quattro anni prima. Viene battezzato nove giorni dopo, il 16 gennaio, dallo zio don Rocco Invernizzi: suo padre, infatti, è impegnato in guerra e deve aspettare una licenza per tornare a casa.

Dopo alcuni anni, nel 1921, si trasferisce con la famiglia a Carugo Brianza, dove il padre ha trovato lavoro come impiegato. Nel 1923, però, l’uomo sceglie di tornare nella nativa Zeme, in Lomellina, con moglie e figli. Qui Teresio frequenta le elementari dalla terza classe in poi e, il 29 aprile 1925, riceve la Prima Comunione. La Cresima, invece, gli è stata impartita nella chiesa di Tremezzo, dove lo zio è arciprete. Nel suo fisico minuto inizia a trasparire un carattere energico, forse troppo, tanto che la maestra, da lui coinvolta nel prendere le difese di qualche compagno in difficoltà, lo considera un attaccabrighe.

Nel settembre 1926 gli Olivelli traslocano ancora: la nuova casa è a Mortara, in provincia di Pavia e diocesi di Vigevano. Teresio comincia il ginnasio (i cui primi tre anni corrispondono alle scuole medie di adesso): si distingue sia per gli ottimi voti, sia per la generosità verso i compagni. Aver passato a uno di essi una traduzione di latino, però, gli fa ottenere il sette in condotta, col rischio di vedere compromesso il passaggio al liceo.

La parrocchia che frequenta è quella di San Lorenzo, attorno alla quale gravitano numerose realtà. Teresio le segue tutte: è membro del Circolo giovanile cattolico, dell’Azione Cattolica e delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Che la sua adesione non sia di facciata, lo dimostra la sua attenzione verso i ragazzi con problemi scolastici, che segue sia nel doposcuola, sia a casa propria, per quanto riguarda i suoi stessi compagni. Anche quando è in vacanza, ospite dello zio a Tremezzo, non resta senza far nulla: divide il suo tempo tra le visite agli ammalati, il catechismo ai bambini, la lettura di libri interessanti e la preghiera silenziosa.

Tuttavia, quelli sono gli anni in cui il regime fascista comincia a prendere di mira le aggregazioni cattoliche: lo stesso Circolo San Lorenzo, alla fine del maggio 1931, deve chiudere almeno in parte. Quando papa Pio XI ottiene che l’Azione Cattolica non venga smantellata, le attività riprendono e Teresio viene nominato consigliere delegato per gli studenti. Comincia a tenere qualche piccola e apprezzata conferenza su temi di attualità, mentre intensifica il dialogo col Signore tramite l’Eucaristia, ricevuta quotidianamente.

Nel settembre 1931 comincia il liceo a Vigevano, al “Benedetto Cairoli”. Anche qui, si fa apprezzare per il suo buon carattere e per gli ottimi voti: solo quello di condotta, ancora una volta, è il più basso, sempre per la sua disponibilità verso gli altri. L’esame di maturità classica, per lui, non è solo il termine del corso di studi, ma un’occasione pubblica di testimonianza: è deciso, infatti, a mettere all’occhiello il distintivo di Azione Cattolica. «Ho diritto e dovere di manifestare la mia fede, di fronte a tutti e contro tutti e così finora ho fatto: così, Dio lo voglia, farò». Mamma Clelia glielo nasconde, ma non sa che lui ne ha uno di scorta: lo indossa e supera gli esami.

Durante l’estate, Teresio s’interroga sulla facoltà da scegliere: medicina, per curare i corpi, o giurisprudenza, per difendere i deboli. Dopo un corso di Esercizi spirituali, propende per la seconda scelta. Tuttavia, deve ottenere un posto in uno dei collegi di Pavia, per non fare la spola da Mortara come per il liceo. Alla fine viene ammesso gratuitamente al “Ghislieri”, dove, ancora una volta, suscita ammirazione per come sa stare in mezzo ai compagni, condividendo le loro fatiche e i momenti di spensieratezza goliardica. Frequenta anche le riunioni della Fuci (Federazione Universitaria Cattolici Italiani), almeno finché non gli sembra che le discussioni scadano in chiacchiere improduttive.

Vorrebbe addirittura partire volontario per sostenere i cattolici spagnoli nella persecuzione della guerra civile, della quale s’informa leggendo i giornali. Tuttavia, appena torna a casa per manifestare quella decisione ai suoi, sente di non doverli abbandonare e desiste dal suo proposito. Gli costa parecchio, perché, come scrive allo zio don Rocco, pensa che «O la fede è vissuta come conquista, ed essa opera con dedizione e si sostituisce alla nostra meschinità riluttante. O la fede è massima per chi in essa s’adagia, rifiutandola di farne ragione di vita, e allora è anemia, acquiescenza di elastica, amorfa, invertebrata coscienza».

Con il raggiungimento della maggiore età, che all’epoca era fissata ai ventun anni, Teresio riceve la tessera del partito fascista. Già negli anni precedenti si era ritrovato inserito nei vari livelli delle organizzazioni di regime, senza possibilità di chiamarsene fuori. Negli anni universitari, però, trova una scappatoia: segue la sezione sportiva del Guf (Gruppo universitario fascista), quella meno politicizzata. Per lui è occasione per vivere la sua passione per gli sport alpini, a cui si unisce quella per il calcio: è membro della squadra del “Ghislieri”.

Inizia quindi a pensare di poter permeare il fascismo dei valori cristiani, ma il suo primo tentativo, un’esposizione alle gare di eloquenza dei Prelittoriali, non viene apprezzato. Si rifà nei Littoriali del 1939, quando espone la sua tesi in cui dà al concetto di “razza” un’interpretazione ben diversa da quella imposta a partire dalla promulgazione delle leggi razziali, avvenuta l’anno prima. Un compagno di collegio, Giovanni Ceriotti, sostiene che la sua adesione non fosse altro che espressione del «suo desiderio di cercare di far del bene là dove riteneva meglio si potesse farne, senza paura di compromessi». Tuttavia, nell’anno in cui è in servizio all’Istituto di cultura fascista di Roma, comincia a riconoscere che il suo desiderio non può realizzarsi.

Il 20 febbraio 1941 viene chiamato alle armi: dopo gli appositi esami, diventa sottotenente tra gli Alpini. L’anno dopo chiede e ottiene di partire volontario per la Russia: non sopporta il lavoro d’ufficio mentre tanti soldati, specie delle classi sociali più umili, sono al fronte. Non accetta privilegi e condivide tutto con i suoi uomini, compresa la disastrosa ritirata di Russia. In assenza del cappellano, svolge una vera e propria “supplenza sacerdotale”: guida la preghiera comune, legge e spiega il Vangelo, conforta i moribondi. Per lui è una vera gioia quando riesce, dopo mesi, a confessarsi e comunicarsi.

Al rientro in Italia, lo attende una sorpresa piacevole: è stato nominato rettore del “Ghislieri”. Nei tre mesi seguenti, tra una licenza e l’altra, attende pienamente al suo compito. Potrebbe ottenere l’esonero dal servizio militare, ma l’evolversi dei fatti della guerra gli fa decidere di tornare nella Divisione Tridentina. Il 9 settembre 1943, il giorno dopo l’armistizio, viene fatto prigioniero con il suo battaglione e deportato in Germania. I suoi tentativi di fuga, dopo i quali viene puntualmente arrestato, culminano con il rientro in Italia, il 27 ottobre 1943.

Decide allora di andare a Brescia, sede della resistenza cattolica, e di lì a Milano. Collabora in particolare con i partigiani delle «Fiamme Verdi» e con altri gruppi antifascisti. È anche tra i redattori del giornale clandestino «Il Ribelle», erede della lotta portata avanti da «Brescia Libera», che ha cessato le pubblicazioni. Proprio a Milano compone, nel marzo 1944, una preghiera destinata ai partigiani, quasi un regalo da parte sua per l’imminente Pasqua. «Signore facci liberi» è il titolo che lui stesso le dà, ma è ormai nota come la «Preghiera del ribelle», per via della sua conclusione: «Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore».

La soffiata di un traditore gli causa l’arresto e la detenzione nel carcere di San Vittore, a partire dal 27 aprile 1944, insieme a Carlo Bianchi. Viene torturato, picchiato, umiliato per essere costretto a rivelare dove sia stampato «Il Ribelle» e quali siano i suoi redattori. Riesce ugualmente a far avere notizie di sé agli altri partigiani grazie all’apporto di suor Enrichetta Alfieri, superiora della comunità delle Suore di Carità di Santa Giovanna Antida Thouret in servizio tra i carcerati (beatificata nel 2011). San Vittore è però solo una tappa del percorso che lo porta dapprima al campo di smistamento di Fossoli, poi a quello di Gries presso Bolzano. I prigionieri vengono poi tradotti a quello di concentramento di Flossenbürg e, dal 29 settembre 1947, a quello di Hersbruck.

Se nel carcere milanese la cella numero 15, che occupava con altri partigiani, era diventata quasi come quella di un monaco, a Flossenbürg e a Hersbruck Teresio non viene meno al suo spirito caritativo e all’assistenza religiosa. Si priva del rancio, esorta alla preghiera, sostiene fisicamente e moralmente gli altri, riceve le percosse destinate a qualche altro internato ancora più provato di lui senza mai emettere un solo gemito. A ridosso del Natale del 1947, raccoglie le ultime parole di Odoardo Focherini, presidente dell’Azione Cattolica di Carpi, che aveva salvato numerosi ebrei dalla deportazione (anche lui è Beato, dal 2013): erano diventati amici a Fossoli, scoprendo di avere molto in comune.

Anche a lui, però, non resta molto da vivere. Il lavoro nelle miniere di Hersbruck, a cui, di nuovo, si è sottoposto per compiere «tutto il bene possibile», ha fiaccato il suo corpo, anche se non si può dire lo stesso dell’anima. Il colpo di grazia, per così dire, gli viene sferrato il 31 dicembre, poco dopo la morte di Focherini. Un prigioniero ucraino viene accusato ingiustamente di aver sottratto un pezzo di pane a un compagno. Il capo blocco, o kapò, comincia a picchiarlo, ma Teresio gli si para davanti. Contrariamente al suo solito, gli altri lo sentono lamentarsi: ha ricevuto un calcio al basso ventre. Muore la notte tra il 16 e il 17 gennaio 1948: ha ventinove anni e dieci giorni. Prima di andarsene, ha compiuto il suo ultimo atto di carità, donando i suoi vestiti al maresciallo Salvatore Becciu. Il suo corpo, come d’uso, è stato bruciato nel forno crematorio.

Gli fu attribuita, nel 1953, la medaglia d’oro al valore militare. La fama di santità e di martirio di Teresio si è diffusa praticamente subito negli ambienti della Resistenza cattolica e non solo. Se la sua vita ha avuto un percorso tortuoso, non di meno lo ha avuto anche il suo cammino verso gli altari.

L’inchiesta diocesana si è svolta non a Bamberga (Hersbruck ricade sotto quella giurisdizione), ma a Vigevano, dove lui aveva trascorso gran parte della sua vita: è durata dal 29 marzo 1987 al 16 settembre 1989. Nella “Positio”, la parte dell’“Informatio”, ovvero l’esposizione ragionata della sua vita e non solo, è stata impostata su una duplice linea: sia per accertare l’esercizio eroico delle virtù cristiane, sia per verificare l’effettivo martirio in odio alla fede. Gli elementi probatori erano maggiori per il primo indirizzo: così, nel 2011, fu data alle stampe la “Positio”, sia “super virtutibus” che “super martyrio”.

Il Congresso dei teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, il 17 dicembre 2013, si è espresso circa l’opportunità di verificare l’eroicità delle virtù, ma il postulatore dovette presentare una serie di Chiarimenti circa alcuni aspetti che ai periti teologi apparivano controversi. Dopo un secondo Congresso, nel dicembre 2014 con esito positivo, l’esame della causa è passato ai cardinali e vescovi membri del medesimo Dicastero vaticano: il loro voto positivo arrivò il 1° dicembre 2015. Il decreto sulle virtù eroiche è quindi stato promulgato da papa Francesco due settimane dopo, il 14 dicembre.

Tuttavia, il 14 settembre 2012, il postulatore aveva fatto domanda per cambiare l’indirizzo della causa: fu quindi presentata, il 21 luglio 2013, una “Nova Positio super martyrio”. Nel 2016, anno centenario della nascita di Teresio, la postulazione ha ripreso l’indagine sul martirio, rispondendo agli interrogativi fatti emergere dai Consultori teologi. Le nuove prove addotte sono state esaminate da questi il 7 marzo 2017, mentre i cardinali e i vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi le hanno valutate positivamente il 6 giugno seguente. Il decreto che riconosceva martire Teresio Olivelli è stato promulgato il 16 giugno 2017. Almeno in un altro caso recente è stato seguito questo iter “a doppio binario”: quello di padre Engelmar Unzeitig, dei Missionari di Mariannhill: anche lui è morto in un campo di concentramento, a Dachau, ed è stato beatificato nel 2016 come martire, ma nel 2009 erano state riconosciute anche le sue virtù eroiche.

«Non oscuriamo sotto il pesante moggio degli interessi conservatori la luce dei fermenti evangelici. Il nostro tempo attende un arricchimento di umanità e un approfondimento di cristianità», scriveva il nuovo Beato allo zio sacerdote. Quello che lui ha cercato di vivere, riuscendoci, vale anche per i nostri giorni.

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05/02/2018
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