Società
di Lucia Scozzoli
Adesso puntano al poliamore
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Ieri è comparso sullo spazio rubrica di Repubblica D.it un articolo di Eleonora Giovinazzo dal titolo “Cos’è il poliamore e perché può renderci felici”.
Una psicosessuologa ci spiega cosa significa vivere in una coppia aperta, perché è così bello e sempre più scelto, e soprattutto ci invita a osservare questi fenomeni con fiducia e senza pregiudizio.
Naturalmente non è che in Italia sono pochi a praticare questo stile relazionale originale, semplicemente chi lo fa non lo dice, per colpa dei soliti pregiudizi bigotti. Il poliamore è pratica antichissima, ma il termine è stato incluso nell’Oxford English Dictionary solo nel 2006, perché pare che prima non se ne fosse sentita minimamente la necessità. Sempre per colpa dei pregiudizi di una società bigotta.
Il poliamore è la soluzione ai tradimenti: formalmente tradisci il partner solo perché l’altro si aspetta la tua fedeltà. Basta chiarire da subito che non si intende concedere l’esclusiva ed ecco che il tradimento scompare dal linguaggio, con un abile gioco di prestigio.
Poi l’amore non dura, ci si disinnamora presto di un unico noioso compagno/a: ecco che la varietà dell’offerta poliamorosa consente di allontanare il rischio di inflazionare la relazione e lascia le persone più soddisfatte del proprio tran tran quotidiano.
Naturalmente non esiste uno schema prefissato nelle gerarchie che compongono questi raggruppamenti amorosi vari: regna sovrana la libertà di relazionarsi con originalità e fluidità, per permettere a ciascuno di esprimere le proprie peculiari esigenze. Una specie di giungla casalinga, dove il soggetto più fragile è costretto ad adattarsi allo spazio che gli viene lasciato dagli altri, magari autoconvincendosi pure che gli sta bene così.
Da respingere con piccato disgusto l’associazione tra poliamore e scambismo: il poliamore riguarda i sentimenti, mentre gli scambisti sono interessati solo ad esperienze sessuali innovative con soggetti terzi alla coppia, senza però mettere in dubbio (almeno nelle intenzioni) l’esclusività della relazione.
Le persone sono mondi complessi, ciascuno può avere esigenze diversificate e anche mutevoli nel tempo: non esiste la mezza mela che ci completa. Più probabilità di successo si hanno cercando ciò che ci serve in una molteplicità di soggetti, come se i partner fossero distributori di soddisfazioni e elargitori di benefici per noi.
Certo una relazione poliamorosa richiede approfondimenti nelle tecniche relazionali: non esiste che ci si capisca al volo, come dopo vent’anni di matrimonio, in una molteplicità fluida. Qui ogni giorno è una lotta per farsi capire. Ma basta dire che questo spinge a potenziare la comunicazione per trovare subito il lato glamour del problema.
Esiste addirittura un sito italiano sul poliamore, da aprile 2012: www.poliamore.org (http://www.poliamore.org/). Qui troviamo tanti articoli a tema, che elogiano la meravigliosa pratica, sostengono che pure i bambini sono contenti, tutto un tripudio di felicità, e organizzano eventi a tema. Per chi fosse interessato, ad esempio a Roma il 16 febbraio ci sarà il Poliaperitivo di San Valentino. Fatevi sotto!
Dal sito leggiamo: «Poliamore è vivere senza segreti e consensualmente relazioni sentimentali con più di una persona; ma è anche, semplicemente, vivere le relazioni con la consapevolezza che l’amore, il sesso e i legami affettivi possono svilupparsi secondo modalità diverse da quelle che ci hanno insegnato a considerare “sane”, “giuste”, “normali” o “socialmente accettabili”.[…]La necessità di inventare una nuova parola per parlare di amore, poliamore, nasce in contrasto con quei modelli culturali che non riconoscono valore alla varietà dei legami affettivi che una persona può coltivare nel corso della propria vita, e in particolare (ma non solo) a quelli che connettono indissolubilmente l’amore romantico all’esclusività sessuale o ad altre forme di esclusività. Il poliamore è un modo di vivere le relazioni che intende salvaguardare e onorare la ricchezza della vita affettiva, tutelando al tempo stesso l’integrità degli individui».
La definizione è illuminante: è chiaro che il busillis sta tutto qui, in cosa si intende per amore effettivamente.
L’amore è tema antico quanto l’uomo e civiltà di fini pensatori, come quella greca, hanno già detto quasi tutto quello che c’era da dire a riguardo, con un’onestà intellettuale che noi abbiamo evidentemente perduto. Non si capisce se è per sola ignoranza che ci siamo ridotti così, a cambiare nome alle cose di cui non riconosciamo la sostanza, o se è per malafede, per adesione ad un non chiaro progetto di destrutturazione e distruzione dell’uomo.
L’amore non è un sentimento universale che tutto giustifica e confonde, ma una molteplicità di moti emotivi estremamente diversificati per natura e scopo. Abbiamo l’agápe, che è un amore oblativo e incondizionato, di ragione, spesso utilizzato per indicare l’amore di Dio e che a Dio si deve; c’è la philía, che è un affetto, o un piacere atteso, come tra amici; c’è il famoso éros, che indica l’amore sessuale ma anche la brama ardente e la passione in generale, non necessariamente per una persona; esiste l’antéros, che è l’amore relazionale corrisposto (l’associazione LGBT di Padova si chiama proprio antéros); poi c’è l’himéros, che è il desiderio irrefrenabile, fisico impellente, che pretende immediata soddisfazione; esiste il phótos, termine che indica il desiderio verso cui tendiamo, ciò che sogniamo, alla base della nostra intenzionalità; abbiamo lo storgé, l’amore parentale e filiale, carico di tenerezza e con senso di appartenenza; infine il thélema, cioè il piacere per ciò che si fa, il desiderio di voler fare.
Insomma, l’uomo vive tutte queste forme di amore nella propria vita, le sperimenta una ad una e in ciascuna trova la sua consolazione. Di tutte ha bisogno, soprattutto di un antéros esclusivo, da colorare di éros a momenti, da sublimare in agápe in altri, nella complicità serena della philía, per farsi nido accogliente in cui coltivare storgé, anche nella condivisione attiva della vita pratica, nutrita di thélema, per realizzare un progetto di vita desiderato con phótos. Non so come si possa temere di annoiarsi in una relazione a due così condotta.
Scriveva Bauman nel suo libro “Amore liquido”: «uomini e donne disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare relazioni” [sono] al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni “stabili”, per non dire definitive, poiché paventano che tale relazione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di … sì, avete indovinato, di instaurare relazioni».
In fondo in fondo, ci guida la paura, il terrore quasi, di restare desolatamente soli. E per questo non osiamo, non investiamo noi stessi per davvero, non ci lasciamo scavare dall’amore vero, quello con tutti quei nomi e quei significati, concentrandolo su un unico eterno partner. Più desideriamo l’esclusività e più teorizziamo la bellezza del poliamore, nella segreta convinzione di non meritarci qualcuno che ami solo noi o nel timore di non saper dare ad un altro ciò che vorremmo per noi.
Siamo superficiali desiderando la profondità; abbandoniamo per non essere abbandonati; accettiamo tanti amori per averne almeno uno.
L’uomo ha sempre più bisogno di essere sanato, di fare pace con se stesso e con la propria intima elevata ed esigente natura. Grande e drammatico è il divario tra il nostro anelito e la stima delle nostre forze. Eppure la felicità è premio solo per gli audaci che hanno il coraggio di inseguire il sogno di un amore vero ed estremo: esclusivo ed indissolubile.