Chiesa
di Claudia Cirami
Ladaria: l’obbedienza è ancora una virtù
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Obbedire è ancora possibile. L’ intervista a Monsignor Luis Ladaria Ferrer, che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha concesso a Vatican News in questi giorni, ha offerto due passaggi interessanti su un tema caro alla fede cristiana. Si tratta dell’obbedienza, uno dei tre consigli evangelici. Che sia un tema caro, tuttavia, non significa automaticamente di facile applicazione al quotidiano. Come capita anche per gli altri consigli evangelici, c’è spesso una discrasia tra teoria e prassi: un conto è riconoscerne la validità e l’importanza, altro è riuscire a mettere in pratica quanto riconosciuto come fondamentale. Ladaria, nel suo stile pacato, non ne ha dato soltanto una chiara esplicitazione verbale, ma, rischiarando la conversazione con un sorriso timido ma radioso, ha testimoniato quello che il sommo Poeta ha fissato esemplarmente nel verso «in sua voluntade è nostra pace».
Alla domanda del giornalista sul suo essere a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mons. Ladaria, dopo aver ringraziato per l’opportunità concessagli di parlare, ha risposto: «Per me è un affare molto semplice. È una questione di obbedienza. Il Papa Francesco mi ha chiamato, mi ha detto che aveva deciso questo ed io ho detto: “Santo Padre, se è lei che lo ha deciso, io accetto e non posso dire di più”. Dunque – ha continuato – questa è per me la prima cosa. Naturalmente è una responsabilità e devo dire che i primi giorni non ho dormito troppo bene, ma lentamente uno si fa un’idea e vede che si può andare avanti, soprattutto sapendo che è ciò che il Papa desidera e dunque non bisogna fare grandi pensieri. La questione è già risolta e decisa». Una dichiarazione che lascia quasi senza fiato in un momento di vivaci contestazioni – più o meno agguerrite – indirizzate al Santo Padre, ma, più in generale, in un’epoca in cui sembra facile, nel contesto ecclesiale, disobbedire piuttosto che accettare le disposizioni altrui.
Ladaria ci ha offerto, senza giri di parole, il senso dell’obbedienza. Questa significa affidarsi ad una volontà superiore, in un’adesione sincera e totale. Senza l’impasse di ragionamenti auto-riferiti, nell’obbedienza è possibile maturare anche la certezza che farsi carico di quanto chiesto è nelle nostre corde. Ma cosa significa questa adesione alla volontà altrui, rappresentata da un superiore, in questo caso il Papa? Non è in questione l’annullamento della propria personalità: questa permane. Nella nuova esperienza, accettata in obbedienza, la personalità può trovare altre modalità d’espressione. Il problema – invece – risiede nella rinuncia ad un cammino costellato di decisioni prese in totale autonomia e solitudine. La domanda principale, che è alla base del tema dell’obbedienza, investe le stesse fondamenta della fede cristiana. Se il cristianesimo è una proposta, un invito – «venite e vedrete» (Gv 1,39) – che si realizza nella massima libertà, come è possibile l’obbedienza?
Tornando a Ladaria, la tentazione sarebbe innanzitutto di pensare che la sua pronta adesione sia stata facilitata da due congiunture. La prima si riferisce al proseguo del suo lavoro: Ladaria è stato segretario della stessa Congregazione per dieci anni. La seconda concerne, invece, l’essere gesuita come Papa Francesco. Riguardo alla prima “obiezione”, però, Ladaria stesso ha palesemente evidenziato, quando ha parlato delle prime notti insonni, che il timore della responsabilità inizialmente si è fatto sentire, Del resto, chiunque sa che una cosa è essere Prefetto, altra è essere segretario: i “riflettori” – come il “dito accusatorio” – sono puntati sul primo, non sul secondo. Quando poi si tratta della Congregazione più importante, l’attenzione, benevola e malevola, aumenta (se aggiungiamo gli altri incarichi connessi al ruolo, il timore è più che fondato). Riguardo al secondo punto – la comune provenienza dalla Compagnia di Gesù – lo stesso Prefetto, nell’altro passaggio importante dell’intervista, ha precisato che, pur essendoci affinità, il Papa è il Papa ed è accidentale che sia gesuita. Questo ci offre un’altra lezione importante: non si obbedisce ad un Papa perché la sua sensibilità è affine alla nostra. Si obbedisce al Papa perché è il Papa. Cioè il Vicario di Cristo. Dunque, le domande sull’obbedienza rimangono sempre vive. Come conciliarla con la visione di una fede che nasce e si sviluppa nella libertà per la stessa volontà di Dio?
Procediamo per gradi. Il tempo che abitiamo particolarmente sente la difficoltà dell’obbedienza. Non si tratta soltanto del luciferino richiamo alla ribellione, che è valido per ogni generazione e ogni persona: sappiamo già che il cristiano è costantemente chiamato a non cedere. Si tratta invece di un supplemento di difficoltà, nato con l’affermazione pervasiva della critica al principio di autorità. Una maggior assunzione di responsabilità personale è da considerarsi legittima, per una più adeguata crescita umana e spirituale. Eppure gli effetti di questa critica sono stati incontenibili e, alla lunga, deleteri. La rivoluzione culturale sessantottina ha raccolto inevitabilmente altre eredità pregresse, da quella della Riforma a quella della Rivoluzione francese: tuttavia, dal 68 in poi, ogni autorità è stata messa in questione. I frutti amari, di cui siamo costretti a cibarci oggi – dalla crisi delle istituzioni a quella della famiglia, dalla crisi del padre a quella di figure un tempo rappresentative quali l’insegnante, il medico e, non ultima, il parroco – sono un retaggio di quanto dalla metà degli anni 60 in poi è diventato di comune consenso. Quindi obbedire oggi è doppiamente complicato, sempre meno accettato, ancora più difficile da mettere in pratica. Persino da chi, in apparenza, si dice favorevole alla perenne validità di questo consiglio evangelico. Il fenomeno di suppliche, più o meno filiali, e appelli, all’interno del mondo cattolico – notevolmente accresciuto con il pontificato di Papa Francesco (ma ricordiamo che c’erano appelli collettivi, di entrambe le tendenze, conservatrice e progressista, anche nei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) –è un’altra delle manifestazioni della crisi del principio di autorità.
Per il cristiano (in particolare se sacerdote o religioso), poi, si pone un ulteriore problema, sorto con il Concilio Vaticano II, di cui già Paolo VI, ad un anno dalla chiusura dell’evento, aveva avuto sentore e, per questo, proponeva una soluzione: «L’obbedienza interpreta lo spirito del Concilio? Non ha parlato il Concilio dei diritti della personalità, della coscienza, della libertà? Sì, ha parlato di questi temi, ma non ha certo taciuto quello dell’obbedienza […] vogliamo semplicemente ricordare come queste prerogative dell’anima cristiana non siano offese, sì bene tutelate e moderate dall’obbedienza vigente nel tessuto comunitario della Chiesa, quando si rifletta che l’ordine, cioè la perfezione, la pienezza, a cui mira l’economia della salvezza cristiana, non sono propriamente antropocentriche (come la mentalità moderna è tentata di credere), ma teocentriche. “In Deo salutari meo”, in Dio è la mia salvezza (Luc. 1, 47), diremo con la Madonna; e aggiungeremo col Concilio, che noi dobbiamo cercare non tanto la soddisfazione dei nostri desideri, quanto il compimento della volontà divina (cfr. Presbyt. Ord. 15)». Per Papa Montini, la costatazione del radicamento in Dio era la chiave per uscire da una mentalità antropocentrica che rischiava di leggere le pur importanti acquisizioni conciliari in una chiave non soltanto errata, ma anche riduttiva e – ancor di più – pericolosa. L’obbedienza, esercitata nella e con la mediazione ecclesiale, significa riconoscere nelle pieghe della vita di tutti i giorni la voce di Dio.
È Papa Francesco che ci offre proprio lo spunto per riflettere sulla perniciosità per il credente della mancata obbedienza: «obbedire viene dal latino, e significa ascoltare, sentire l’altro. Obbedire a Dio è ascoltare Dio, avere il cuore aperto per andare sulla strada che Dio ci indica. L’obbedienza a Dio è ascoltare Dio. E questo ci fa liberi» (11 Aprile 2013). Obbedire non è, dunque, arrendersi alla volontà umana altrui – fosse anche quella del Papa – ma riconoscere, nelle scelte di un superiore o, se si è laici, nelle indicazioni di un direttore spirituale o degli accadimenti stessi, quella strada che Dio non si stanca di indicarci perché la nostra gioia «sia piena» (Gv 15,11). Contemplando il sorriso luminoso di Ladaria, la disobbedienza sembra davvero la via per l’infelicità.