Storie
di Davide Vairani
Per Asia Bibi un futuro tutto da scoprire
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La vicenda di Asia Noreeen Bibi non si è ancora conclusa e - nell’orizzonte breve – non pare intravvedersi una soluzione: le verrà concesso di lasciare il Pakistan e venire accolta e protetta in un Paese estero?
I fatti in breve della vicenda.
Asia, 47 anni, cattolica, madre di 5 figli, arrestata nel giugno 2009 e condannata a morte nel novembre 2010 per una falsa accusa di blasfemia, viene riconosciuta innocente e assolta il 31 ottobre scorso dalla Corte Suprema pachistana; poi, scarcerata mercoledì scorso 7 novembre e trasferita, per motivi di sicurezza, in una località segreta a Islamabad.
L’ordine di rilascio dalla prigione di Multan - nel centro del Pakistan, dove era detenuta – viene vincolato dal governo: il portavoce del ministero degli Esteri, Muhammad Faisal, ha dichiarato che Asia Bibi “si trova in un luogo sicuro e che è ancora in Pakistan”, smentendo le notizie di una partenza della donna per l’estero. Nei giorni scorsi, dopo la notizia della sua assoluzione, in tutto il Pakistan si sono registrati disordini e proteste da parte dei gruppi islamisti. La donna era ancora in carcere, dopo la sentenza, mentre il governo negoziava con gli integralisti musulmani che chiedevano la sua immediata uccisione. A seguito delle proteste, il governo aveva accettato di negoziare con i religiosi radicali: imporre il divieto di uscire dal Paese alla donna e non opporsi a un ricorso alla Corte suprema. In cambio, la cessazione delle proteste di piazza. Alcuni governi europei si sono offerti di prestare aiuto, dopo che la famiglia della donna ha lanciato un appello per essere accolta all’estero e dopo che l’avvocato difensore è fuggito in Olanda, dicendo di temere per la propria vita. Tutto questo, perché il Tehreek-i-Labaik Pakistan - partito islamista che si oppone alla liberazione della donna – ha fomentato disordini e manifestazioni di protesta in tutto il Paese, al punto da costringere il governo di Imran Khan a trattare.
Se giudichiamo con gli occhi del mondo, Asia Bibi ha perso e hanno vinto (ancora una volta) i fondamentalisti. Se giudichiamo con gli occhi del mondo, ancora una volta le donne e gli uomini di buona volontà sono costretti a cedere, a subire la logica dello “scontro tra civiltà” tra quanti invocano la sharia contro gli infedeli ribelli ad Allah e quanti in nome della libertà e della separazione tra la città di Dio e degli uomini pretendono di imporre democrazia e libertà con la violenza di guerre sante nell’Oriente ribelle e minaccioso.
La realtà è più complessa di quanto la si voglia semplificare. Occorre uno sguardo più dilatato per leggere il misterioso andamento della storia in questa vicenda, come nelle vicende di ciascuno di noi.
“Grazie a Dio. Sia lode al Signore. Sono libera”, sono state le prime parole pronunciate da Asia Bibi appena uscita dal carcere, secondo quanto riferisce “Vatican Insider”. Dopo 3.422 giorni passati in prigionia con una condanna a morte sulla testa, Asia non ha avuto parole di risentimento e di rivalsa. Non ha giurato vendetta. Ci sono voluti dieci anni, ma quanto è accaduto in Pakistan è “rivoluzionario”.
E “rivoluzionario” è l’aggettivo che ha voluto usare Zarish Neno, trentunenne, freelance, cattolica e pakistana, che sta vivendo in prima persona questa difficile situazione nel suo Paese.
“Sì! Questa è stata una decisione rivoluzionaria. L’ho anche scritto sul mio profilo facebook – ci racconta -. Non è mai accaduto prima. Se guardi ai casi di blasfemia che si sono verificati nel corso degli anni, vedrai che nessun caso ha mai ricevuto giustizia, perché il sistema locale ha sempre fatto di tutto per insabbiare e non arrivare mai alla verità. Le vittime venivano per lo più uccise o subivano gravi ferite (come ustioni da acido o picchiate duramente, ecc.). Il caso di Asia è stato rivoluzionario. Lei è riuscita a sopravvivere in tutti questi anni. E - infine - un coraggioso avvocato e tre coraggiosi giudici hanno emesso questo verdetto rivoluzionario. Quando noi cristiani abbiamo ascoltato il verdetto, siamo rimasti sorpresi. Abbiamo avuto grande speranza nel giudizio del capo della giustizia, Mian Saqib Nasir. E poi le nostre speranze sono diventate realtà. Questo verdetto ci ha dato la speranza che le cose possano cambiare da ora in poi. Sicuramente ci vorrà molto tempo e molti sacrifici. Ma è così che è sempre stato anche nella storia. Come si dice: tutte le cose buone richiedono tempo”.
Mian Saqib Nasir, presidente della Corte suprema pakistana, è uno dei tanti “musulmani coraggiosi” che la vicenda di Asia Bibi ci ha permesso di conoscere. Non si è solo preso la responsabilità di assolvere Asia Bibi - ben sapendo che sarebbe poi diventato il bersaglio degli islamisti - ma ha voluto commentare la sentenza. “Io, come anche gli altri magistrati del collegio giudicante, amo il profeta Maometto e sono pronto a sacrificare la mia vita per difendere il suo onore”, ha dichiarato (in “If there is no proof against someone, how can we punish them: CJP”, di Haseeb Bhatti, “Dawn”, 01 novembre 2018).
“Ma noi non siamo giudici solo per i musulmani. Come possiamo condannare a morte qualcuno senza avere le prove?.Non amiamo il Profeta meno di chiunque altro e io, che non ho visto Allah, ho imparato a riconoscerLo attraverso la guida del Profeta. Forse che ora ognuno dovrà dimostrare la sua fede? Chi accusa una persona di un reato deve dimostrarlo portando le prove. E non dimentichiamoci dell’Hadith nel quale Maometto disse: ‘Fate attenzione! Chiunque si comporta in modo crudele e duro con una minoranza non musulmana o viola i suoi diritti, io lo accuserò nel Giorno del Giudizio’”.
La “legge sulla blasfemia” - introdotta in Pakistan nel 1986 - punisce con l’ergastolo o la pena di morte il vilipendio al Corano e a Maometto. Le minoranze religiose – indù e cristiani, che costituiscono nel complesso meno del 4% della popolazione pakistana – costituiscono il 50% degli accusati di blasfemia. I fanatici – come ci ha testimoniato anche Zarish Neno – usano violenza e terrore per impedire giustizia. In particolare contro i cristiani, minoranza delle minoranze in Pakistan (l’1,6% della popolazione).
La cronaca degli ultimi anni registra un numero impressionante ad attacchi mirati: dicembre 2017, chiesa a Quetta devastata, nove uccisi e 57 feriti; marzo 2016, attacco suicida a cristiani che stavano celebrando la Pasqua nel parco giochi di Lahore, 70 morti e oltre 340 feriti; due esplosioni di bombe alle chiese di Lahore nel marzo 2015, uccise 14 persone e ferite più di 70 persone; attentato suicida con due gemelli in una chiesa di Peshawar nel 2013, 80 morti; nel 2009, quasi 40 case e una chiesa sono state bruciate da una folla nella città di Gojra nel Punjab, con otto persone bruciate vive; nel 2005, centinaia di persone sono fuggite dalle loro case a Faisalabad quando chiese e scuole cristiane sono state date alle fiamme da una folla, dopo che un residente era stato accusato di aver bruciato pagine del Corano. Dagli anni ‘90, decine di cristiani sono stati condannati per “profanazione del Corano” o “bestemmiando contro il profeta Maometto”.
Sembrerebbe che il Pakistan sia un paese senza una vera leadership, mentre il caos e l’anarchia si diffondono ancora nelle strade.
In Pakistan i fondamentalisti islamici sono una maggioranza tale da potere mettere in scacco l’ordine pubblico e i tentativi di introdurre processi di democrazia nel sistema politico pubblico?
“Non sono una maggioranza, ma una minoranza – ci risponde Zarish Neno -. Ma sicuramente una minoranza che ha il potere di mettere l’intero paese in disordine. Comunque, voi tutti sapete delle proteste che si sono svolte dopo che il verdetto di assoluzione di Asia è stato reso pubblico. Avete visto la rabbia e la violenza dei fondamentalisti. Avete visto i loro volti e le cose che sono capaci di fare. Penso di non aver bisogno di aggiungere altro. I social media sono pieni di tutto ciò che è successo in questi pochi giorni. Quello che posso condividere sulla situazione attuale del mio paese al momento è che possiamo vedere i musulmani divisi in due. Ci sono quei fondamentalisti che vogliono Asia Bibi uccisa a tutti i costi, che si sentono sconfitti e a cui non importa se è innocente o no. Poi ci sono quelli che sanno che lei è innocente, che vogliono proteggerla, che vogliono liberarla e che non sono contenti della reazione dei fondamentalisti. E noi cristiani siamo grati a Dio che ci siano questi secondi che parlano a suo favore e la stanno proteggendo”.
Essere cristiani in Pakistan: che cosa significa? - domandiamo a Zarish.
“Non è facile essere cristiani in un posto come il Pakistan, dove siamo trattati come cittadini di seconda classe. Immaginate di vivere nella costante paura di perdere la vita in qualsiasi momento; immaginate di camminare su un campo in cui sono state seminate bombe e solo un passo sbagliato potrebbe far esplodere una bomba e morire. Ecco cosa significa essere cristiani in Pakistan. Ricordo quante volte il rumore dei fuochi d’artificio mi ha spaventato a morte. Non sai mai quando qualcosa può accadere a te o a qualcuno che ami in questo Paese. Puoi anche trovarti in situazioni gravi e non poter fare nulla, tutto grazie alla legge sulla blasfemia che viene spesso usata per accusare falsamente i cristiani di qualcosa non commesso come è successo anche nel caso di Asia Bibi”.
Eppure nelle parole di Zarish – come in quelle di Asia Bibi – non c’è spazio per l’odio e il risentimento.
“Ma indipendentemente dalle discriminazioni e dalle persecuzioni che affrontiamo, non ci vergogniamo della nostra identità cristiana – aggiunge subito Zarish -. Ci sentiamo orgogliosi di essere seguaci di Cristo e siamo disposti ad affrontare ogni sorta di discriminazione, perché Cristo stesso disse ‘Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia’ (Giovanni 15,18). Allora, nulla ci impedisce di vivere la nostra fede cristiana e anche se il rischio di perdere la nostra vita in qualsiasi momento è sempre nella nostra mente, noi continuiamo a chiamare Cristo nostro Signore e Salvatore e testimoniare la nostra fede in lui. La persecuzione - anche con i suoi effetti negativi - continua a rafforzarci nella nostra fede e siamo sicuri che Dio ci ricompenserà. Crediamo fortemente nella promessa che Gesù ha fatto durante il suo sermone sul Monte Tabor a coloro che soffriranno le persecuzioni dicendo: ‘beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli’ (Matteo 5, 11-12)”.
Zarish è una ragazza cattolica come tante altre in Pakistan, vive in una piccola comunità e lavora in un centro educativo per bambini poveri cristiani a Faisalabad, il “Jeremiah Education Centre”.
In ogni post sul suo profilo facebook e in ogni intervista rilasciata non troverete altro che parole di speranza. Come per Asia Bibi.
Sono andato a riprendermi una breve lettera che scrisse nel 2012, pubblicata da “Avvenire” in Italia.
“Mi chiamo Asia Noreen Bibi. Scrivo agli uomini e alle donne di buona volontà dalla mia cella senza finestre, nel modulo di isolamento della prigione di Sheikhupura, in Pakistan, e non so se leggerete mai questa lettera – iniziava così -. Sono rinchiusa qui dal giugno del 2009. Sono stata condannata a morte mediante impiccagione per blasfemia contro il profeta Maometto. Dio sa che è una sentenza ingiusta e che il mio unico delitto, in questo mio grande Paese che amo tanto, è di essere cattolica. Sono sposata con un uomo buono che si chiama Ashiq Masih. Abbiamo cinque figli, benedizione del cielo: un maschio, Imran, e quattro ragazze, Nasima, Isha, Sidra e la piccola Isham. Voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Stanno soffrendo a causa mia, perché sanno che sono in prigione senza giustizia. E temono per la mia vita. Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. ‘Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui’. Due uomini giusti sono stati assassinati per aver chiesto per me giustizia e libertà. Il loro destino mi tormenta il cuore. Salman Taseer, governatore della mia regione, il Punjab, venne assassinato il 4 gennaio 2011 da un membro della sua scorta, semplicemente perché aveva chiesto al governo che fossi rilasciata e perché si era opposto alla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan. Due mesi dopo un ministro del governo nazionale, Shahbaz Bhatti, cristiano come me, fu ucciso per lo stesso motivo. Circondarono la sua auto e gli spararono con ferocia. Mi chiedo quante altre persone debbano morire a causa della giustizia. Prego in ogni momento perché Dio misericordioso illumini il giudizio delle nostre autorità e le leggi ristabiliscano l’antica armonia che ha sempre regnato fra persone di differenti religioni nel mio grande Paese. Gesù, nostro Signore e Salvatore, ci ama come esseri liberi e credo che la libertà di coscienza sia uno dei tesori più preziosi che il nostro Creatore ci ha dato, un tesoro che dobbiamo proteggere. Ho provato una grande emozione quando ho saputo che il Santo Padre Benedetto XVI era intervenuto a mio favore. Dio mi permetta di vivere abbastanza per andare in pellegrinaggio fino a Roma e, se possibile, ringraziarlo personalmente. Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento. Vivo con il ricordo di mio marito e dei miei figli e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro. Amico o amica a cui scrivo, non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone nel mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e – se puoi – prega il Signore per noi e scrivi al presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari. Se leggi questa lettera, è perché Dio lo avrà reso possibile. Lui, che è buono e giusto, ti colmi con la sua Grazia” (“Se mi convertissi sarei libera, preferisco morire cristiana”, di Asia Bibi, prigione di Sheikhupura, Pakistan, 8 dicembre 2012, pubblicata su “Avvenire”).
Occorre uno sguardo davvero dilatato per non cedere alla disperazione. Nelle parole di Asia - come di Zarish – si avverte con netta chiarezza la consapevolezza che nulla è perso.
Vivere appieno la fede in Cristo non significa affatto subire senza dire nulla.
Al contrario. Non manca certamente il giudizio su quanto accade intorno.
“So che i leader religiosi fanno riunioni e cercano di dialogare – ci racconta Zarish -, ma tali dialoghi ignorano le realtà di base della vita quotidiana e sono per lo più tenuti su iniziativa della Chiesa cattolica. Il dialogo è una conversazione o una discussione tra le persone per risolvere un problema. Ma quando gli altri non pensano che ci siano problemi per cominciare, mi domando come possiamo dialogare? Inoltre, il dialogo si svolge su basi uguali. Ma quando gli altri non ci trattano da pari a pari, come lo facciamo? Vogliamo costruire ponti e non muri. Ma quando quelli che ci circondano non vogliono demolire i muri, come è possibile essere un ponte? Condivido un semplice esempio. In Europa, negli Stati Uniti e in tutto il mondo, ai musulmani è permesso costruire moschee e vivere la loro fede liberamente. I cristiani, al contrario, non sono autorizzati a costruire una chiesa in Arabia Saudita. Ci può essere un sindaco musulmano a Londra, ma in Pakistan non possiamo arrivare a titoli così alti. Invece, gli annunci di lavoro vengono stampati dicendo “richiesto personale sanitario cristiano”. Ti mostrano ripetutamente che il tuo posto è comunque e sempre sotto di loro. Recentemente, il quotidiano ‘Dawn’ ha pubblicato delle vignette blasfeme contro Gesù Cristo, eppure nessuna azione è stata intrapresa. In uno show televisivo ci viene mostrata una ragazza cristiana convertita all’Islam, e questo fatto non fa che rinforzare lo stato di potere che viene esercitato verso di noi. Allora, ditemi per favore, come possiamo dialogare in queste circostanze? Certo, la Chiesa continua a sforzarsi per il dialogo, ma sono costretta a chiedere (guardando a cosa succede nella vita di tutti i giorni): che cambiamento hanno portato questi dialoghi nella vita di ogni giorno? Dopo i dialoghi interreligiosi, vengono fatte delle affermazioni e risoluzioni vengono approvate: ma poi? Quelle dichiarazioni e risoluzioni sono lasciate nelle cartelle per catturare la polvere. Chiedo quindi: questi dialoghi influenzano le realtà quotidiane delle persone? I problemi restano sempre e ogni volta che si verifica un conflitto religioso, gli educati rimangono nelle case mentre gli analfabeti escono per le strade e mostrano il loro potere di strada. Preghiamo per la pace nelle nostre Chiese, offriamo preghiere per i nostri fratelli e sorelle musulmani, mentre loro predicano l’odio contro i non musulmani e pregano per la nostra distruzione. Quando gli atteggiamenti sono così contrari, chiedo come dialoghiamo? Come interpretiamo il ruolo del ponte? A mio modesto parere, sembra molto difficile!”.
Ma poi Zarish aggiunge:
“In Pakistan, i cristiani sono una piccola minoranza. La nostra visione della Chiesa cattolica è quella di essere il sale della terra e la luce del mondo. Per noi, la Chiesa primitiva che ha sofferto per la loro fede è un grande esempio da seguire. Vediamo le realtà della vita intorno a noi come quella dei primi cristiani che hanno affrontato difficoltà e persecuzioni per vivere la loro fede. La Chiesa cattolica in Pakistan insegna lo stesso ai suoi membri, cioè continuare a vivere i valori del Vangelo nelle situazioni difficili in cui ci troviamo”.
Che cosa vorresti dire ad un giovane occidentale come te che, imbevuto di una cultura relativista ed individualista, non riesce a trovare uno scopo nella propria vita? – proviamo a chiederle.
“Voglio dire ai miei cari giovani fratelli e sorelle: tenete sempre in mente la vostra chiamata battesimale – ci tiene a dirci Zarish -. Ricordate che al battesimo, siamo reclamati per Cristo. Siamo unti come Sacerdoti, Profeti e Re. Ciò significa che siamo chiamati a raggiungere e servire gli altri. Siamo chiamati a diffondere la Buona Novella. Siamo chiamati ad essere sia leader che servi. Come sapete, il simbolo principale del battesimo è l’acqua – la vita stessa. L’acqua per sua stessa natura deve fluire. Attraverso i doni che abbiamo ricevuto al battesimo, dobbiamo lasciare che l’amore di Cristo fluisca attraverso di noi per servire gli altri. So che non è facile perché il mondo ci distrae e ci allontana dall’amore di Cristo. Continua a metterci in testa idee distorte e tante confusioni, così da allontanarci dalla Verità. Ma non dimentichiamo che sta a noi decidere. Se decidiamo di dare a Cristo il primo posto nella nostra vita, tutto il resto va a posto nell’ordine giusto. Perciò, fate cose che vi permettono sempre di pensare al Suo Amore, pregate frequentemente, partecipate ai sacramenti, andate alla Messa e passate spesso un po’ di tempo da soli con il Santissimo Sacramento. Quando farete tutto questo, vedrete che i vostri cuori saranno pieni dell’amore di Cristo. E quando sarete pieno del Suo Amore, sarà impossibile per voi non condividere questo amore con gli altri. Questa è la cosa bella dell’amore di Cristo, non vogliamo tenerlo nascosto. Vogliamo condividerlo con gli altri. Così, vi chiedo anche di prendere un po’ di tempo dalla vostra vita quotidiana, solo un’ora, e fate qualcosa di buono per gli altri. Non deve essere una cosa molto grande. Anche un piccolo atto d’amore può fare un’enorme differenza. Come dice Madre Teresa: ‘Fate piccole cose con amore’. Il mondo si fa sempre più oscuro e, come i discepoli di Cristo, spetta a noi essere la luce. Lasciamoci ad essere la luce del mondo!”.
Zarish (come Asia) non chiede ai cristiani d’Occidente una guerra santa contro gli infedeli.
Ci chiede di non dimenticare la nostra storia. Ci chiede di tornare a Cristo. Ce lo chiede lei, minoranza delle minoranze in un Paese nel quale essere cristiani può portare a perdere la vita. Ce lo chiede Asia Bibi, dopo 3.422 giorni di prigionia e dopo una sentenza “rivoluzionaria” che potrebbe innescare finalmente un processo di depenalizzazione del reato di blasfemia.
“Signore risorto, permetti a tua figlia Asia di risorgere con te. Spezza le mie catene, fa’ che il mio cuore sia libero e possa oltrepassare queste sbarre, e accompagna la mia anima perché sia vicina a chi mi è caro e rimanga sempre accanto a te.
Non abbandonarmi nel momento del bisogno, non privarmi della tua presenza. Tu che hai subito la tortura e la croce, allevia la mia sofferenza. Tienimi accanto a te, Signore Gesù.
Nel giorno della tua resurrezione, Gesù, voglio pregare per i miei nemici, per chi mi ha fatto del male. Prego per loro e ti supplico di perdonarli per il male che mi hanno inflitto.
Signore, ti chiedo di rimuovere ogni ostacolo perché possa ottenere la benedizione della libertà. Ti chiedo di proteggere me e la mia famiglia”.
[preghiera scritta da Asia Bibi, traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]