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di Claudia Cirami
Giorgio Ponte torna con il terzo capitolo della sua trilogia Sotto il cielo della Palestina
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Giorgio Ponte torna con il terzo capitolo della sua trilogia Sotto il cielo della Palestina dedicata ai personaggi minori dei Vangeli. Dopo Levi e Giairo, è la volta di Yocabe, che è, al tempo stesso, la protagonista della narrazione e il titolo del libro, acquistabile anche su Amazon e Ibs. Sulle storie di questi personaggi evangelici, prima dell’incontro con Cristo, si posa il silenzio degli evangelisti. Questo vuoto di informazioni viene colmato dalla fantasia di Ponte che si muove con l’abilità che lo contraddistingue. Con questo ultimo libro, lo scrittore si incammina, ancora una volta, per le strade della Palestina e noi lettori con lui, avvinti dalla bellezza del suo racconto.
La perizia di Ponte nel riuscire a dare carne e anima ai personaggi che descrive è ormai nota. La protagonista del suo ultimo lavoro, Yocabe, è perfettamente tratteggiata nella sua fragilità. È una donna che vive un dolore capace di divorare l’amore che le è stato donato, giorno dopo giorno, morso dopo morso. Con la determinazione di chi pensa di non aver diritto ad essere felice, Yocabe scende i gradini della sofferenza e dell’abiezione: il suo inferno non conosce fiamme, ma scelte rovinose. Ponte è in grado di seguirla nel suo lento scivolare in una vita che lei contempla da alienata, ma che continua a trascinare con sé perché sente di meritare tutta la sofferenza autoinflittasi. Yocabe è una dei tanti vinti della storia: è una creatura il cui sogno di felicità è appassito, permettendo che l’amarezza fluisse come colata lavica, depositandosi sul cuore. In lei ogni sconfitto della vita potrebbe riconoscersi, perché il dialetto del senso di fallimento è universale.
Accanto a Yocabe sono presenti altri personaggi, altrettanto ben costruiti, che sono perfettamente inseriti nella storia. Essi ci consegnano, ognuno in modo differente, un frammento di riflessione sull’umanità che, sottomessa al dolore fin dal primo peccato, attende con ansia la parola di guarigione e salvezza. Un merito particolare ascritto a Ponte è aver dato vita a Yohanna, uno dei personaggi più apprezzabili: la sua docile fermezza di fronte alla sofferenza travolgente della protagonista è una lezione per tutti. Sappiamo che ci sono diversi modi di reagire al male, ma da Yohanna impariamo che uno solo è quello vincente, alla fine della storia, ed è lo stesso che ci richiede il Vangelo: amare il prossimo come noi stessi. Nel racconto di Yocabe ogni personaggio ci offre uno spaccato del mondo palestinese di due mila anni fa: eppure, dietro il vetro di un tempo e di un luogo che non ci appartengono, è possibile scorgere il nostro tempo, che poi è il tempo dell’uomo di ogni epoca, con le sue gioie e i suoi drammi, i suoi pregiudizi e le sue speranze. Yocabe diviene la punta dell’iceberg, visibile sulla superfice del mare, di un dolore oscuro, sordo, nato nel peccato, che, in modi e per vie differenti, non è comune solo agli altri personaggi della storia narrata dallo scrittore, ma a tutti noi.
Solo Lui, solo Gesù di Nazareth – Yeshua nel racconto di Ponte – troverà le parole giuste per spezzare questa catena interiore di dolore. Lui che, nelle pagine di Ponte, compare e sparisce come una meteora, ma lascia una scia di luce che rischiara l’oscurità. Nessuna notte è più tale nell’incontro con il Nazareno, portando già in sé già le promesse di un’alba di risurrezione. L’umanità, qui rappresentata egregiamente da Yocabe, si scopre in attesa della Parola che salva, che libera, anche quando pensava di non aver più nulla da aspettare. Nella vicenda di questa fragile protagonista, Gesù di Nazareth non si discosta dall’immagine che ci lasciano i Vangeli: lo scrittore non si lascia condurre dal desiderio di “vestirlo a suo piacere”. Ponte che, nelle sue storie sui personaggi minori, esercita al massimo grado l’immaginazione, è intensamente rispettoso del dettato evangelico. Il risultato è un Gesù che, prima ancora di appartenere alla penna dello scrittore, appartiene al lettore, perché è lo stesso che è abituato a frequentare nella pagina scritturistica.
L’idea di Ponte di farsi domande e darsi risposte in forma narrativa sui personaggi minori dei Vangeli si caratterizza come un ulteriore approfondimento di quanto ci riferiscono gli evangelisti. Quello che – come credenti – sappiamo fare è riportare ogni parola della Sacra Scrittura alla nostra vita. Così i personaggi minori raramente sono considerati in sé: più spesso, invece, ci “servono” perché, attraverso il loro incontro con Cristo, possiamo illuminare una zona d’ombra della nostra vita spirituale. Eppure questi uomini e donne, di cui il Vangelo ci dice poco o nulla, prima di essere strumenti per noi di meditazione e di preghiera, hanno avuto una vita, hanno provato un dolore, ne sono stati guariti.
È vero: Ponte filtra le loro esistenze attraverso la propria immaginazione, avendo anche lui, come noi, carenza di elementi per ricostruire le loro reali vicende. Eppure, il suo lavoro appare prezioso per restituire, almeno in parte, una storia a chi ne è stato privato, seppure per una causa più grande come quella del Vangelo. Riflettere su queste narrazioni non è, per altro, un ostacolo al nostro cammino di fede. Entrare nelle profondità dell’incontro di questi personaggi minori con il Nazareno ci apre una nuova prospettiva. Attraverso il racconto di Ponte, scopriamo che, in qualsiasi modo sia andata la storia antecedente, la loro pena è stata reale, la loro fatica per arrivare all’incontro che cambia la vita è stata immane, i loro passi sono stati autentici sia nella via impervia del dolore che in quella fiorita della speranza e della gioia interiore. Siamo grati all’autore di Io e Marta – il suo libro-rivelazione, il primo successo di Ponte – di averci portato con sé in una Palestina rivisitata dalla sua immaginazione, ma vicina al nostro cuore, perché estremamente simile ai tanti luoghi di sofferenza che ben conosciamo. Dove è facile smarrirsi, abbruttirsi, incancrenirsi. Soprattutto, però, gli siamo grati di averci indicato ancora una volta che nell’incontro con Lui c’è la possibilità – se la Grazia è accolta – di uscire dai nostri inferni.