Politica
di Emiliano Fumaneri
Legittima difesa: una legge inutile e dannosa
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Oggi la riforma della legittima difesa, uno dei “pezzi forti” del programma leghista, fa il suo ingresso alla Camera, dopo essere stata approvata in Senato lo scorso 24 ottobre.
Il ddl fortemente voluto dal Carroccio si compone di nove articoli. Si chiedono pene più severe per i reati che — come nel caso del furto, della rapina, della violazione di domicilio — attentano alla sicurezza
dei cittadini. Ma soprattutto ci si appresta a modificare profondamente due articoli del codice penale: l’articolo 52 (sulla legittima difesa) e l’articolo 55 (eccesso colposo).
La nuova riforma mira a concedere una integrale immunità a chi, trovandosi legittimamente all’interno del proprio o dell’altrui domicilio, dovesse reagire con violenza per respingere una intrusione. L’idea
sottostante è quella di una tutela automatica, senza alcun passaggio per l’accertamento giudiziario — allo stato attuale, invece, verificare se l’eventuale eccesso di difesa sia stato o meno intenzionale comporta già
l’indagine penale (obbligatoria, non discrezionale).
All’apparenza sembra un proposito ragionevole, perfino lodevole. Come vedremo però le cose non stanno proprio così.
Ma anzitutto, che cosa è la legittima difesa?
La legittima difesa è quella forma residuale, estrema, di autotutela che lo Stato riconosce al cittadino nel momento in cui l’intervento della pubblica autorità non può risultare tempestivo.
L’autodifesa del cittadino si fonda su un principio antico, già riconosciuto dalla giurisprudenza romana: “vim vi repellere licet” (è lecito reagire alla violenza con la violenza).
Ma questo principio presuppone alcune condizioni elencate dall’articolo 52 del nostro codice penale:
— stato di necessità;
— pericolo attuale: deve esserci cioè una minaccia di
lesione incombente, senza scampo, così che reagire all’aggressione sia l’unico
mezzo per mettere al riparo il bene minacciato;
— aggressione ingiusta;
— proporzionalità tra difesa e offesa.
Il disegno di legge della Lega si prefigge di agire sull’ultimo requisito (proporzione tra difesa e offesa). Lo scopo è introdurre una difesa “sempre legittima”, cioè una sorta di presunzione assoluta
di proporzionalità tra offesa e difesa in tutti i casi. Verrebbe così ammesso un generico diritto all’autodifesa privata (di dubbia costituzionalità).
Che questo sia lo scopo della riforma lo ha ribadito in mille occasioni Matteo Salvini con lo slogan “la difesa è sempre legittima” e con le manifestazioni di solidarietà a chiunque sia stato processato o
condannato per fatti legati alla legittima difesa.
L’estrema pericolosità di questi slogan demagogici è presto detta. Se la reazione difensiva va considerata sempre legittima — e dunque non punibile — si arriva direttamente alla conseguenza che la difesa di
un bene patrimoniale può giustificare la lesione di un bene personale come la vita o l’integrità fisica.
Sarebbe giustificato anche sparare a chi cerca senza motivo di ammazzarci il cane o al ladruncolo che cerca di rubare i frutti di un albero nel fondo di nostra proprietà.
Si può sparare a sangue freddo al ladro di frutta — magari pure in fuga — per impedirgli di rubare?
Se rispondiamo “sì” a questa domanda stiamo sovvertendo brutalmente la gerarchia dei valori recepita dal nostro ordinamento, dato che la nostra Costituzione all’articolo 2 «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo». Inoltre la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il trattato internazionale sottoscritto dall’Italia nel 1950, stabilisce all’art. 2 che «la morte non è considerata illecita» soltanto «quando è assolutamente imposta dalla necessità di difendersi da una violenza illegittima».
In sintesi, avremmo una inversione dei valori dove la vita umana vale meno di quella di una cosa o di un animale. Infatti se uccidete il cane del vicino è inevitabile che vengano svolti accertamenti penali per
verificare il delitto di uccisione di animali punito dall’articolo 544 bis del codice penale.
È pensabile allora che non ci siano accertamenti almeno equivalenti nel caso in cui dovessimo uccidere o ferire un essere umano?
È concepibile pensare a una autodifesa senza eccessi? Che è quanto dire una autodifesa senza limiti. Ogni eccesso presuppone infatti l’esistenza di un limite, cioè di una misura. La dismisura, ci insegnavano già gli Antichi, è quella forma di superbia nota come hybris.
Per l’ennesima volta emerge la siderale distanza della Lega nei riguardi del personalismo cristiano. Un’ottica personalista riconosce alla persona umana una dignità trascendente e, di conseguenza, i diritti
dell’uomo come un bene universale per tutti e per ciascuno. Per usare la parole del filosofo personalista Jacques Maritain, «la persona umana ha dei diritti per il fatto stesso che è persona». Ci sono delle cose dovute all’uomo per il fatto di essere uomo, a prescindere se sia buono o cattivo.
Ma se non vogliamo ascoltare Maritain — che com’è noto non riscuote molto gradimento presso un certo pubblico conservatore — più difficile è dare torto al padre domenicano Angelo Belloni, apprezzato per la
sua rubrica “Un sacerdote risponde” sul sito amicidomenicani.it e poco sospettabile di “progressismo teologico”.
Bene, interpellato da un lettore circa la nuova legge sulla legittima difesa padre Angelo osserva che è «giusto e doveroso difendere i beni e soprattutto le persone», dato che «la morale cristiana ha sempre fatto
proprio il principio della giurisprudenza romana: vim vi repellere licet cum moderamine inculpatae tutalae (è lecito respingere la violenza con la violenza, tuttavia con la moderazione di una difesa non colpevole)». Tuttavia, prosegue il domenicano, «non è lecito sparare sulle persone per mettere in salvo i propri beni». Infatti in questo caso «la difesa sarebbe sproporzionata, in quanto la vita di una persona vale sempre immensamente di più di tutti i nostri beni».
Anche per il domenicano dunque il principio di proporzionalità tra offesa e difesa tutela il primato della persona sulla “roba”. In caso contrario avremmo una metafisica della “roba” che certo non dispiacerebbe a Mazzarò, l’avaro protagonista di una delle novelle rusticane di Giovanni Verga che sentendo approssimarsi la fine comincia ad ammazzare i propri animali al grido di “Roba mia, vientene con me!”.
Ricordiamo en passant che le maglie della legittima difesa erano già state “allargate” con la legge n. 59 del 13 febbraio 2006 - guarda caso grazie a un leghista: Roberto Castelli, allora ministro della giustizia — che aveva aggiunto due nuovi commi all’articolo 52 c.p. allo scopo di regolamentare l’esercizio del «diritto all’autotutela in un privato domicilio». La cosiddetta “legittima difesa domiciliare” si prefiggeva di
ampliare i presupposti della legittima difesa nel caso in cui l’aggressore avesse sorpreso sorprendere l’aggredito in casa o in un altro luogo chiuso assimilabile alla privata abitazione.
Già allora era chiara l’intenzione di minare il ìprincipio di proporzione tra aggressione e difesa, fatto che, come leggiamo nel famoso manuale di diritto penale curato da Giovanni Fiandaca e Enzo Musco, aveva sollevato «riserve critiche più che giustificate».
Secondo la prima di queste critiche, con simili innovazioni l’ordinamento avrebbe concesso una specie di «licenza di uccidere», subordinando il diritto alla vita delle persona al principio dell’inviolabilità
del domicilio (che evidentemente per i leghisti vale più della vita umana).
In secondo luogo dispensare i giudici dal compito di verificare se in concreto ci sia stata proporzione tra offesa e difesa avrebbe un «effetto criminogeno». Dando più aggressività difensiva alle potenziali
vittime si incentiva inevitabilmente l’aggressività offensiva dei delinquenti,che in questa maniera cercheranno di minimizzare il rischio. Otterremo solo ladri più attenti, lucidi e determinati, bande criminali meglio organizzate,più feroci e aggressive.
In conclusione, l’ostinato rifiuto di sottoporre l’autodifesa privata a qualsiasi forma di accertamento esterno ricorda paurosamente quel rifiuto di «riconoscere istanze superiori» in cui Ortega y Gasset aveva individuato una delle caratteristiche principali dell’uomo-massa, l’uomo «soddisfatto così come si trova». Abituato com’è «a non appellarsi a nessuna istanza fuori di se stesso», l’uomo-massa è insofferente a ogni
limitazione.
Mai dimenticarlo: il target del populismo non è il popolo con una storia e degli ideali, ma la massa che sguazza nel materialismo aggrappandosi alla propria “roba” con ferocia. E che al governo della legge
antepone la giustizia fai-da-te del far west. O, se preferite, la furia della faida mediterranea con la sua sete di vendetta.