Politica
di Maria Rosaria Giorgi
La Chiesa che si immischia
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
Le reazioni in ambito ecclesiale al gesto di Salvini - che ha affidato i popoli europei, la propria vita e quella dei presenti, al Cuore Immacolato di Maria confidando che la Madre Celeste porterà il suo partito alla vittoria – sono state numerose e di vario tenore. Tra i cattolici è scattata l’indignazione, in molti hanno espresso il proprio sdegno: chi per l’uso strumentale di simboli della fede e della devozione mariana, chi per l’indignazione stessa di coloro che vogliono trovare a tutti i costi in questo gesto la malafede. Numerosi vescovi e sacerdoti hanno sentito il dovere di esprimersi, chiamati in causa dall’argomento “religioso”, suscitando la reazione di laici che hanno palesato la propria delusione nei confronti dei propri pastori perché, immischiandosi con la politica, “fomentano e dividono il loro popolo” e in tal modo “non fanno i padri”. Perragionarci su bisogna prima capire se si sta parlando di politica o di vita ecclesiale. In questo senso, occorre distinguere i due ambiti che nel discorso pronunciato da Salvini in piazza Duomo sono stati invece sovrapposti. Sul piano ecclesiale, i vescovi come padri e pastori hanno il compito, rispettoalla vita sociale e politica, della formazione delle coscienze dei fedeli laici affinché ciascuno operi rettamente secondo il giusto discernimento (in questo ci sono state paurose carenze da almeno 30 anni a questa parte). Non è loro compito scendere in campo né schierarsi. Una citazione, nel discorso del vicepremier, ha messo in luce un formidabile intervento di papa Giovanni Paolo II: il discorso pronunciato in occasione del V Simposio del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE). (In realtà è lecito dubitare che Salvini sia personalmente andato in cerca di fonti papali da citare, non si direbbe il suo genere: dunque, grazie al ghostwriter che ha arricchito il comizio con robuste citazioni, da Chesterton al cardinal Sarah e Benedetto XVI, e ha evidenziato una perla.) Merita di essere letto e meditato per intero, in questi giorni che ancora mancano al voto, per apprezzarne la visione di un’Europa non inaridita e per trarne spunti di approfondimento in merito al ruolo della Chiesa nella società europea. Qui il testo integrale http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1982/october/documents/hf_jp-ii_spe_19821005_conferenze-episcopali-europa.html
Nel 1982 il papa diceva ai confratelli convenuti da tutti i paesi europei, parlando del rapporto tra le Chiese locali e l’Europa: Il cristianesimo può scoprire nell’avventura dello spirito europeo le tentazioni, le infedeltà ed i rischi che sono propri dell’uomo nel suo rapporto essenziale con Dio in Cristo. Ancor più profondamente, possiamo affermare che queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il Cristianesimo e la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al Cristianesimo e alla Chiesa. La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide dell’uomo d’oggi. (Nota: impossibile non ravvisare la consonanza tra queste parole e quelle di Benedetto XVI e Francesco riguardo alla mondanità della Chiesa). La nostra responsabilità e la nostra missione nei riguardi dell’Europa sono quindi ben grandi, così come grande è la speranza di cui siamo portatori. Le nostre comunità, evangelizzate nella prima ora della storia della Chiesa, hanno ricevuto talenti preziosi da amministrare. … dobbiamo intraprendere, con rinnovata convinzione, la missione che Dio oggi ci affida in ordine all’Europa. Noi non abbiamo ricette economiche né programmi politici da proporre. Ma abbiamo un Messaggio e una Buona Novella da annunciare. Dipenderà anche da noise l’Europa si rinchiuderà nelle sue piccole ambizioni terrestri, nei suoi egoismi e soccomberà all’angoscia e all’insignificatezza (sic), rinunciando alla sua vocazione e al suo ruolo storico, oppure ritroverà la sua anima nella civiltà della vita, dell’amore e della speranza. Qui il papa espone una visione prettamente spirituale. Bella responsabilità, per i vescovi. Bisogna riconoscere che non tutti, e non sempre, si sono ispirati nella propria azione pastorale a questa esortazione così lungimirante. Al fedele laico d’altronde compete, più che giudicare i pastori, raggiungere un necessario discernimento sulla realtà attuale della Chiesa e su quanto i Vescovi trasmettono: informandosi e formandosi alla fonte del Magistero ma soprattutto pregando per la fecondità della missione sacerdotale e affinché la Chiesa evangelizzi prima di tutto “con la santità di vita e con le virtù evangeliche, trasparenza di Cristo”, secondo le parole di GPII. Come guida morale del proprio gregge, i pastori hanno il compito di promuovere il discernimento anche nella vita pubblica; fare chiarezza su possibili strumentalizzazioni del fatto religioso presentato in chiave socio-politica è un dovere, non un’ingerenza nella politica. Dalla politica non viene la salvezza, si ama ripetere ultimamente: figuriamoci se possa essere salvifica una politica che adotta categorie religiose per attrarre elettori. Invocare la protezione del Cielo per la vittoria del proprio partito è cosa diversa dal perorare il bene comune, che per definizione è per tutti i cittadini, al di là degli schieramenti. Un paterno richiamo, il cardinale Parolin che ricorda “La politica partitica divide, Dio invece è per tutti”, come può suonare divisivo? La divisione non l’ha creata il cardinale segretario di Stato, l’ha soltanto constatata: prevale oggi un tipo di comunicazione sociale e politica che spinge ad una radicalizzazione, alla contrapposizione tra posizioni semplificate e inasprite, e infine alla demonizzazione dell’avversario. Questo può, anzi deve legittimamente essere oggetto di analisi, per comprendere ed evitare meccanismi che insidiano in primis non tanto la democrazia (tema politico) quanto la fraternità universale propria del messaggio cristiano (tema religioso e pastorale). Guardiamo ora al piano politico. Specialmente In Italia, la Chiesa è “anche” un’istituzione che contribuisce a determinare il tenore culturale e valoriale della nostra civile convivenza, più che in altri paesi europei. In questo senso, a proposito del Family day, non ha certo riscosso consensi il comportamento del segretario della CEI di allora, il quale non si limitò al silenzio omissivo ma attivamente tentò di impedire che un popolo di non convocati scendesse in piazza a san Giovanni. Fu una mossa politicamente sbagliata, secondo molti fedeli laici, e non è necessario che venga giustificata e “perdonata” in virtù del legame filiale basato sulla fede, perché si tratta di un giudizio su un’azione di tipo politico. Un clero che ha certamente ben chiari principi etici irrinunciabili (per noi italiani non si ritiene ci siano problemi in merito alla sana dottrina dei nostri pastori) può trovarsi ad agire in termini tattici di opportunità in modo ambiguo o addirittura controproducente per l’affermazione di quegli stessi principi. Insomma, nelle cose della politica i preti possono sbagliare tanto quanto i laici: la loro responsabilità è però maggiore e diversa proprio perché a loro è affidata la custodia e la guida morale delle anime, e dunque maggiore sia la cautela e l’attenzione nel pronunciarsi pubblicamente. Non vogliamo neanche pensare a modi di agire legati a mera gestione del potere, la mondanità fortemente stigmatizzata da papa Francesco, perché sono intrinsecamente erronei. Passando alla politica odierna, non suona autentico il leader della Lega quando pubblicamente offre ai sostenitori presenti in piazza e al popolo italiano una serie di citazioni che richiamano al senso di appartenenza ad una “identità cristiana”. Confonde il piano spirituale con quello culturale, e ha la speciale capacità di adeguare dense e autorevoli fonti ad un uso che le appiattisce alla sola dimensione sociologica, a volte stravolgendone il senso. Ad esempio, quando dice che Giovanni Paolo II, guardando all’Europa, “dall’Atlantico agli Urali, parlava di nazioni, di popoli, di unità nelle differenze e non parlava della Turchia in Europa perché la Turchia non è e non sarà mai in Europa”: perché mai avrebbe dovuto papa Wojtyla parlare di Turchia in un simposio tra i vescovi europei, nel 1982 quando la ferita dell’Europa era la divisione dei blocchi Est e Ovest? Ecco l’effetto deleterio: un grande discorso che parla della fraternità nell’Europa dei popoli e delle nazioni, falsificato nella sostanza e facilmente riciclato ad uso sovranista e identitario, sempre “contro”. Da “prima la Padania” contro Roma ladrona, i terroni e il resto dell’Italia, a “prima gli italiani” contro l’Europa dei burocrati e contro gli immigrati, ecco gettate le basi per un futuro, ancora ipotetico, “prima gli europei” in caso dell’auspicata vittoria e leadership nel Parlamento europeo, a scapito di migranti, paesi in conflitto e magari anche del colonialismo americano o della neoglobalizzazione di marca cinese. Basta avere sempre a portata di mano un avversario su cui polarizzare la pubblica opinione. Una retorica basata sul “noi prima degli altri”, che in un attimo può trasformarsi in “contro”, chiunque sia l’altro di turno e chiunque sia il noi, purché voti a favore. Non sono i pastori che “stanno dividendo il loro popolo”: è una certa parte del popolo cristiano che ha preferito, per vari motivi anche comprensibili che non stiamo ad esaminare, dividersi e giudicare l’operato dei pastori, fino a rendere le critiche alla cosiddetta “Chiesa di Francesco” un passatempo da Bar dello Sport. Sicuramente ci sono problemi nel clero e nella comunità ecclesiale, ma non è nella cabina elettorale che si affrontano e risolvono i mali della Chiesa. Piani confusi e sovrapposti. E un politico abile nel seguire gli umori, qual è Salvini, ha approfittato di questa tendenza arruolando in un partito fondamentalmente pagano cattolici ancorati ad una visione identitaria della cristianità. I teorici della contaminazione dei partiti e del lavoro culturale prepolitico, si saranno sentiti un pochino in imbarazzo ascoltando Salvini nella frase finale del suo lungo comizio? Non hanno avvertito un che di artificioso, o forse ritengono di aver segnato un’importante meta nel loro operato di evangelizzazione della politica, un tempo definita Terra di Mordor? Il segretario della Lega ha detto testualmente: “Ci affidiamo ai sei patroni d’Europa; affidiamo a loro il destino, il futuro, la pace e la prosperità dei nostri popoli: io personalmente affido la mia e la vostra vita al Cuore Immacolato di Maria ché son sicuro ci porterà alla vittoria”. Intelligente trovata. Nessun politico potrebbe permettere irridere a queste parole o dargli del medioevale (cosa che invece succede continuamente con associazioni e gruppi ecclesiali), si darebbe la zappa sui piedi calpestando un certo sensus fidei che ancora non è morto nel nostro paese. Ma soprattutto nessuno può accusare Salvini di essere un bigotto semplicemente perché non lo è, ed è chiaro, viste le sue innumerevoli prese di posizione su eutanasia, prostituzione, triptorelina ai minorenni, aborto, unioni civili. Come tutti, predica bene solo sotto elezioni e non razzola granché. Eppure riesce – quanto efficacemente ce lo diranno lunedì i nudi numeri - nel suo intento di mettere insieme la capra di un certo elettorato cattolico, sempre più “antibergogliano”, con i cavoli della base leghista fatta di agnostici laicisti e modernisti: sono molte le persone favorevolmente colpite da quello che reputano “coraggio” dimostrato nell’affidarsi ai Santi patroni europei e alla Madonna, considerandolo una testimonianza controcorrente in un mondo dove manifestare pubblicamente la propria fede sembra richiedere gradi elevati di eroismo. Credenti che non si capisce come non abbiano riprovato i fischi in piazza Duomo contro il pontefice, anzi ormai si aggrappano ad un leader Salvini-quasi-papa in avversione al Papa che ritengono stia portando la Chiesa alla dissoluzione. I vescovi non stanno facendo i padri? Certamente ci sono religiosi che smaccatamente si schierano con una parte, e i loro discorsi suonano ipocriti: buonismo, immigrazionismo, mai una parola spesa per la vita dei bambini non nati, né per i bambini condannati a tavolino a crescere senza una mamma o un papà. Sono francamente irritanti, a volte. Ma non è il massimo del senso ecclesiale dedicare il proprio tempo e le proprie capacità argomentative a pesarne ogni giorno le parole per trovarne i difetti. Il vecchio adagio grillino “E allora il PD?” ha trovato una nuova veste chiesastica nell’esclamazione, un po’ indignata un po’ annoiata di dover ricordare l’ovvio, “Eh, ma questi preti di sinistra!” Non sia un tale atteggiamento, pur errato, a giustificare un uso strumentale dei temi della fede in una competizione elettorale, in un agone pubblico fatto solo di parole in libertà.I temi della libertà di parola e di testimonianza pubblica della fede cristiana sono tragicamente attuali altrove, dove si arriva al martirio, non in Italia. Il coraggio di mostrarsi cristiano, per un politico, si mette alla prova non durante un comizio elettorale leggendo un foglietto denso di citazioni preparate da altri ma con fatti misurabili, in aula, agendo con misure e proposte di legge “per”: per l’equità verso la famiglia, per la centralità della persona, per il rispetto della casa comune, per la vita e non per la morte. Prima gli altri, parafrasando. C’è chi dice: la politica non mi interessa, non ne capisco, mi interessa la fede. Per poter davvero disinteressarsi di politica occorre almeno evitare di dar seguito a polemiche non disinteressate: non è l’immischiarsi con la politica il vero problema della Chiesa, ovvero lo diventa se questo coinvolgimento avviene su criteri legati alla mondanità e al clericalismo che tanto sta cercando di combattere papa Francesco. La Chiesa è super partes, nel senso che non può essere legata ad un partito o avversa ad un altro; ma non lo è, anzi è chiamata a orientare e chiarire, laddove si creano ambiguità e sovrapposizioni tra le scelte politiche fortemente radicalizzanti e la vita secondo la fede, che ha come unico obiettivo la vita eterna. Si apra dunque nella Chiesa italiana (ed europea) un percorso nuovo, dove i rapporti tra la Chiesa e lo Stato non siano dettati da reciproche convenienze né da inutili prove di forza. L’evangelizzazione non sia terreno di scontro, la preoccupazione per il bene comune prevalga su forme di autoaffermazione e schieramenti. Cardinali e vescovi abbiano nel cuore il proprio gregge, le persone nelle loro situazioni di vita, e conservino come monito le parole di san Giovanni Paolo II: La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide dell’uomo d’oggi… Far appello alla fede e alla santità della Chiesa per rispondere a questi problemi e a queste sfide non è una volontà di conquista o di restaurazione, ma è il cammino obbligato che va fino in fondo alle sfide e ai problemi. Infine, pensando all’affidamento al Cuore Immacolato di Maria: la Madonna è capace di prendere sul serio anche parole pronunciate con altra finalità. Un simpatico post su Facebook osserva acutamente: “E non me ne frega niente che stia mentendo o ne stia approfittando, o non prenda sul serio quello che dice. Mi basta che a Lei importa (e come!) che lui si sia consacrato a Lei. Mi basta che Lei non menta e che lo stia prendendo incredibilmente sul serio. Mi basta che se ne approfitti Lei.” Maria, madre che ascolta le preghiere di ogni figlio, saprà sorprenderci.