Società

di Davide Vairani

LA FRANCIA MANIFESTA CONTRO IL DDL BIOETICO

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Sono quasi le 17.00 nella piazza del 18 giugno 1940, vicino alla stazione di Montparnasse di Parigi, quando l’apparizione su schermi giganti del numero di partecipanti provoca un clamore di gioia e una nuvola di bandiere verdi e arancioni si leva al cielo.

Il collettivo «Marchons enfants!» - guidato dalla “Manif Pour Tous” - afferma la presenza di 600 mila persone scese in campo domenica 06 ottobre nelle strade e nelle piazze di Parigi per manifestare contro la «PMA sans père» e la GPA (Gestation Pour Autrui).

L’eterna guerra dei numeri: la società privata di comunicazione, “Occurrence” (per conto di un collettivo di media francesi), ne conta 74.500, mentre la Prefettura di Parigi 42.000.

Un flop disastroso oppure un successo senza precedenti?

I media francesi si dividono, compresi i quotidiani cattolici. “Un percorso molto breve”, per il quotidiano Le Monde, “che ha permesso agli organizzatori di proclamare che la testa del corteo era arrivata quando la fine non aveva ancora lasciato il punto di partenza”. Per Le Figarò - al contrario - “l’ampleur de la manifestation remobilise les opposants”, l’entità della manifestazione rinvigorisce gli avversari.

I quotidiani d’ispirazione cattolica? Si va dall’entusiamo di Famille Chrétienne - con il titolo d’apertura “il grande successo della manifestazione” (“Le franc succès de la manifestation anti GPA et PMA pour toutes”) alla preoccupata reazione di La Vie per il rischio di un vento di integrismo divisivo tra le fila dei cattolici (“Les anti-PMA rejouent un air de ‘Manif pour tous’) per arrivare al prudente giudizio de “La Croix” che titola: “Manifester contre l’extension de la PMA, et après ?”, manifestare contro l’estensione della PMA, e dopo?

La guerra delle cifre sul popolo portato in piazza è da sempre il termometro con il quale viene tastato il polso in un braccio di ferro: gli organizzatori alzano il tiro e gli avversari si ingegnano a smontare gli entusiasmi.

In Francia come in Italia.

Il Family Day del Circo Massimo nel 2016? Mentre dal palco degli organizzatori Massimo Gandolfini esultava all’ora di pranzo con l’annuncio: “Siamo un milione!”, per poi correggere poco dopo al rialzo la sua stima: “Siamo due milioni!”, per converso i (tanti) detrattori si affannavano - piantina alla mano - a cercare di dimostrare che più di 500mila e rotti partecipanti non ci sarebbero potuti stare. Ça va sans dire, tutto il mondo è paese.

Sui numeri mi limito a riportare quanto scrive il quotidiano “Le Parisien” - sulla misurazione dei partecipanti ad una manifestazione pubblica qualche problemino ce l’hanno i cugini d’Oltralpe -:”malgré un comptage indépendant, l’écart des chiffres bat un record”: “le cifre mostrano uno scarto di 1 a 14, un divario che non si è mai visto in diversi decenni di manifestazioni. Il record precedente era dall’1 al 10,5, il 14 giugno 2016, durante una manifestazione contro la legge sul lavoro (1.300.000 manifestanti secondo gli organizzatori, 125.000 secondo la polizia)”.

Quello che mi pare essere dato evidente è che “gli anti-PMA” sono ancora in grado di mobilitarsi in Francia. Una scommessa che sembrava incerta: le autorità contavano tra le 10 e le 20.000 persone e molti cattolici (scesi in piazza numerosi nel 2012 contro “le mariage pour tous”) erano riluttanti a manifestare pubblicamente, scoraggiati dal rullo compressore del testo di riforma di legge sulla bioetica.

“Sono sorpreso - riconosce Guillaume de Prémare, ex presidente della Manif, su “La Vie”. “Negli ultimi tempi lo scoraggiamento si è sentito fortemente nelle discussioni. Penso che alcuni interventi nell’emiciclo durante il dibattito sulla PMA abbiano scioccato il senso comune di molti francesi”, ha aggiunto.

In effetti, l’approvazione di un emendamento presentato dal deputato LREM, Jean-Louis Touraine (relatore per il governo francese del disegno di legge attualmente in discussione all’Assemblea Nazionale) ha convinto i più scettici ad unirsi al corteo di protesta dei manifestanti.

L’emendamento - aggiunto dopo l’articolo 4 sulla genitorialità di bambini nati da procreazione medicalmente assistita (PMA) con donatori di terze parti in coppie di donne - è stato approvato il 3 ottobre scorso in un emiciclo semi-deserto e prevede di “consentire il riconoscimento della filiazione di bambini nati da GPA a all’estero eseguendo una decisione del tribunale straniero che stabilisce la parentela”. Un testo che mira a semplificare giuridicamente la trascrizione nel diritto francese - in nome dell’interesse superiore del minore - della sentenza straniera, a condizione che la GPA - illegale in Francia - sia stata praticata “in uno Stato in cui questa pratica non è espressamente vietata”. Il ministro della Giustizia, Nicole Belloubet, ha cercato immediatamente di correre ai ripari, annunciando pubblicamente a nome del governo francese una seconda deliberazione sull’emendamento che si svolgerà al termine dell’esame del testo, ai sensi dell’articolo 101 degli ordini permanenti dell’Assemblea nazionale.

Altro fattore decisivo di spinta è accaduto il giorno successivo: la Corte di Cassazione francese ha convalidato in seduta plenaria la trascrizione della “mère d’intention” sullo stato civile francese nel caso Mennesson. Un affaire che si trascinava da 19 anni, la cui sentenza era molto attesa. “Solo la trascrizione di certificati di nascita stranieri consente - in questa particolare situazione - di riconoscere il legame di filiazione tra madre e figli nell’alveo del rispetto alla vita privata dei minori stessi”, hanno deciso i togati.

Pur ricordando che “en droit français, les conventions de GPA sont interdites”, è evidente che viene stabilito un pericoloso precedente per casi futuri.

“Penso che tutto questo abbia dimostrato il doppio linguaggio del governo in materia di GPA”, ha affermato Blanche Streb, direttore della formazione di Alliance Vita, una delle associazioni del collettivo “Marchons Enfants!”. “Da un lato ci viene detto ‘La GPA, jamais’ e dall’altra viene fatto di tutto per facilitare l’uso di questa pratica all’estero”, aggiunge.

“La marcia è stata organizzata da una ventina di associazioni per la maggior parte cattoliche, vicine all’estrema destra e legate a Manif pour tous, organizzazione che già era scesa in piazza contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2012 - si legge su “Il Post” -. Dal palco ha parlato anche Jacopo Coghe, portavoce in Italia di Pro Vita e Famiglia e vicepresidente del Congresso Mondiale delle Famiglie, gruppi ultraconservatori che hanno legami con organizzazioni della destra cristiana nel mondo e con i partiti dell’estrema destra italiana”.

Chi ha avuto la pazienza di seguire sui social network la manifestazione si sarà reso conto che la realtà dei fatti è più variegata e complessa di quanto si voglia pretendere di semplificare.

Pochi - ad esempio - gli esponenti politici della destra francese.

Come riporta Europe 1,”une manifestation anti-procréation médicale assistée se déroule dimanche à Paris”, “mais elle peine à mobiliser les responsables politiques”.

Contrariamente al 2013 e a quanto visto nelle manifestazioni contro il matrimonio alle coppie omosessuali, gli esponenti di primo piano della politica francese “ne devraient pas être très nombreux dans les cortèges”: “la plupart des personnalités politiques anti-PMA se contentent cette fois d’une opposition au sein de l’hémicycle”.

Tra le strade di Parigi sfilano cortei di colori differenti. A volte si incrociano, altre preferiscono mantenere le reciproche distanze. Senza rinunciare alla propria contrarietà a questa deriva antropologica innescata dal governo francese con la riforma della legge sulla bioetica.

Dai gruppi anarcoidi, come gli “Anarchistes contre la PMA. Non au capitalisme transhumaniste”, ai “Les Poissons Roses”, piattaforma di riflessione dei cristiani di sinistra che si preoccupano del silenzio della sinistra umanista di fronte alla deriva antropologica in atto, fino ad arrivare ai membri del Corp (Le Collectif Pour Le Respect de la Personne), collettivo di donne e uomini, accademici, scienziati, filosofi, con l’obiettivo di promuovere l’abolizione universale della mères porteuses o “maternità surrogata” (GPA), tra le cui fila militano gli scrittori Eliette Abécassis e Alice Ferney, la filosofa Sylviane Agacinski, la storica Marie-Josèphe Bonnet, l’etnologa Martine Segalen e ha numerosi gruppi femministi e per i diritti umani.

“Troppo è troppo”, esclama Ana Deram, sociologa che fa parte del Corp. “Il modo di agire del legislatore e il giudizio della corte di cassazione, tutto questo in meno di 24 ore, ci hanno disgustato. Dieci giorni fa’, una donna che era una madre surrogata è morta in India, questo non è accettabile. È giunto il momento di dire che non abbiamo paura di denunciare la mercificazione di donne e bambini”.

Maire-Jo Bonnet, femminista lesbica, anche lei membro del Corp, co-fondatrice delle ‘gouines rouges’, ci tiene a specificare di non condividere appieno lo slogan degli organizzatori della manifestazione, Liberté, égalité, paternité: “Non vogliamo tornare al patriarcato”, insiste. “Ma sono scesa in piazza con la Corp, perché assistiamo alla volontà di tante donne di rirpendersi in mano la propria capacità procreativa. Sono qui anche per dire che non tutte le lesbiche sono favorevoli alla PMA e all’anonimato della donazione di sperma”, conclude in una intervista a “La Vie”.

“Ieri è stato solo il calcio d’inizio della mobilitazione e condurremo questa lotta per lungo tempo, se sarà necessario”, dichiara l’indomani Albéric Dumont, vice-presidente della Manif, a FranceInfo.

Secondo lui, “l’83% dei francesi afferma che lo Stato deve garantire ai bambini nati con la PMA il diritto di conoscere il padre e, se possibile, di essere cresciuto da lui”.

Contesta l’emendamento adottato il 3 ottobre in seno all’Assemblea nazionale, che riconosce automaticamente la genitorialità in Francia di bambini nati da GPA all’estero: “È ipocrita affermare che la GPA debba essere vietata in Francia quando - se essa viene praticata all’estero - deve essere sistematicamente regolarizzata. Per noi la dignità delle donne non ha confini e l’utero di una donna, sia che si trovi in Nigeria, in Grecia, in India o Francia, ha lo stesso valore”.

“O il governo inizia ad ascoltare i francesi, oppure sceglie la strategia di François Hollande, vale a dire disprezzare i manifestanti, disprezzare i francesi”, sottolinea prima di invitare tutti i manifestanti a prenotarsi domenica 1 dicembre 2019, data della successiva protesta pubblica.

Altre potrebbero seguire, “a seconda dell’atteggiamento del governo”: “Nous vous invitons d’ores et déjà à réserver sur votre agenda les dimanches 1er décembre, 19 janvier, 8 mars, 17 mai et 14 juin !”, aveva scandito dal palco il giorno prima, insieme ai referenti delle 21 associazioni e gruppi organizzatori.

“Il calendario degli eventi che abbiamo annunciato ieri segue il calendario del dibattito parlamentare - ha sottolineato -. Il Ministro della Salute e della solidarietà, Agnès Buzyn, ha annunciato un voto di legge per l’estate del 2020. Se non cambieranno radicalmente direzione, ci mobiliteremo fino alla fine”.

Nelle prossime settimane diverse associazioni intendono proseguire le loro azioni con i parlamentari. È il caso dei membri delle Associazioni familiari cattoliche, il cui presidente, Pascale Morinière, afferma che quasi quattro quinti dei deputati sono stati incontrati, secondo quanto riportato dal quotidiano cattolico “La Croix”.

“Continueremo a farlo, prima di parlare con i senatori”, afferma. Pressing sostenuto anche da Franck Meyer, primo cittadino di Sotteville-sous-le-Val, paesino vicino a Rouen, che guida il collettivo “Sindaci per l’infanzia” («Maires pour l’enfance»), creato dopo le manifestazioni contro il matrimonio per tutti.

Molti i sacerdoti presenti, alcuni in tonaca, spesso accanto ai loro parrocchiani. Più rari i vescovi di Francia durante la manifestazione. Presenti i vescovi di Tolone, Avignone e Rouen, che deplorano (come tanti altri prelati francesi) una “assenza di dibattito” su questi temi della società.

“Siamo sempre insultati da coloro che non sono d’accordo con noi”, dichiara a “La Croix” Mons. Pascal Gollnisch, direttore de l’Œuvre d’Orient e invita i fedeli a non disertare in questo momento storico.

“Penso che ci siano delle battaglie che devono essere combattute, anche se a breve termine le perderemo. A lungo termine, ci renderemo conto che siamo andati troppo rapidamente oltre su argomenti troppo seri”, aggiunge. “Diremo a noi stessi che gli unici a dire di no siamo stati noi”, conclude.

Parole che sembrano riecheggiare le espressioni di Mons. Michel Aupetit, Arcivescovo di Parigi, pochi giorni prima in una tribune su “Le Figarò”:

“Io saluto il coraggio di quanti resistono alle false evidenze di un apparente progressismo che costituisce una profonda regressione della nostra umanità - scriveva -.

No, la legge non è cosa già fatta e finita.

Una parola che si appoggi sulla verità della nostra condizione umana non si ferma all’immediatezza del suo effetto: essa s’iscrive nell’avvenire, quando la coscienza comune saprà valutarne le più spaventose conseguenze, che sono del medesimo ordine di quelle che l’ecologia ci mostra oggi.

C’è un intimo legame tra il delirio tecnologico che conduce a distruggere il nostro pianeta in nome del progresso e la follia dei tecnici del desiderio che sconvolge l’antropologia e la natura profonda della nostra umanità.

Non importa che io ottenga il consenso di tutti. Quel che è certo è che devo dirlo”.

Si può dire tutto ed il contrario di tutto, si può essere sempre in accordo o totalmente disaccordi, ma occorre riconoscere che la Chiesa cattolica di Francia è rimasta - oggi - l’unico baluardo a difesa della ragione nella terra dei lùmi.

A causa della fede, non per fede. Dunque, per l’umano.

Pochi giorni prima dell’esame del testo di riforma della legge sulla bioetica all’Assemblea Nazionale, l’episcopato cattolico di Francia alzava di nuovo la voce, sottolineando la “gravità della posta in gioco” e sostenendo i cittadini “preoccupati” a manifestare pubblicamente il 6 ottobre sotto le insegne de “La Manif Pour Tous”.

Era il 16 settembre 2019, quando al Collège des Bernardins di Parigi, i pezzi da novanta dell’episcopato francese di nuovo pubblicamente mettevano in guardia i francesi rispetto ad una “procreazione consegnata alla manipolazione medica”, che porta ad una “filiazione del fai-da-te che la raffinatezza della nostra società è in grado di immaginare”.

Mons. Eric de Moulins-Beaufort, Arcivescovo di Reims e Presidente della Conferenza dei Vescovi Francesi, non esitava a denunciare il rischio di una deriva verso un “eugenetica liberale”, un “mercato” della procreazione: “Gli esseri umani non sono cavalli da corsa, il genitore non è solo un fornitore di geni, trasmette, che gli piaccia o no, una storia”.

“Dal momento che lo stesso Presidente ci ha incoraggiato a parlare, specialmente su questi temi che riguardano l’intera società”, dichiarava il giorno dopo Mons. Aupetit in una intervista rilasciata a Famille Chrétienne:

“Anche se siamo stati interpellati, sentiamo di non essere stati ascoltati. Gli Stati Generali, che hanno dimostrato l’ostilità dei partecipanti alla procreazione artificiale per le persone che non sono sterili e che hanno deliberatamente dato alla luce bambini senza padre, non sono stati assolutamente presi in considerazione. A cosa serve quindi consultare persone la cui opinione è così disprezzata? Alle domande che abbiamo posto non è stata data risposta, mentre molti francesi sono contrari all’istituzione legale della filiazione senza padre. Ma ciò non provoca alcuna reazione da parte dei decisori”.

Arriverà alla mente e ai cuori dei francesi, questa volta, la parola di verità della Chiesa di Francia?

C’è di che sperare.

No, la legge non è cosa già fatta e finita.

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07/10/2019
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