Società

di Maria Rosaria Giorgi

Vecchie, nuove e nuovissime #dipendenze

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Venerdì 4 ottobre, a Roma presso l’Università gregoriana, si è svolto il convegno “SOS Giovani – Vecchie, nuove e nuovissime dipendenze: il ruolo del servizio pubblico”, organizzato dalla Fondazione Internazionale don Luigi Di Liegro con la collaborazione della Fondation d’Harcourt, dell’Associazione Osservatorio sulle dipendenze (ODDPSS), della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP) e le Facoltà di Scienze Sociali e di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana. Una giornata intensa, con relatori di livello internazionale che hanno affrontato il tema delle dipendenze da sostanze e dipendenze comportamentali patologiche nella loro complessità moderna: l’adolescenza e la prima giovinezza rappresentano la fase della vita nella quale viene generalmente collocato l’esordio o il primo episodio della maggior parte dei disturbi psichici.

Il tema è stato trattato con abbondanza di contenuti e informazioni nelle diverse discipline (neurobiologia, psichiatria, epidemiologia) e il pubblico di operatori del settore ha potuto apprendere le più recenti innovazioni introdotte a getto continuo sul mercato dello sballo. Dall’uso di energy drink a base di curcumina - perfettamente legale – per amplificare e “ottimizzare” la sbronza da alcol, all’introduzione a ritmi di una velocità impressionante di oppiacei di sintesi sempre nuovi per aggirare le misure repressive e i sequestri da parte delle forze dell’ordine (ricordate la simpatica trilogia di “Smetto quando voglio”? Ricercatori chimici da Nobel ma ovviamente disoccupati riescono a sbarcare il lunario sintetizzando un nuovo tipo di oppiaceo, che può essere venduto legalmente perché la polizia non ce la fa a classificare ogni nuova sostanza in tempo reale). Ci sono ragazzi che per sballare rapidamente e senza spendere per la dose si iniettano vodka di pessima qualità direttamente negli occhi: va in circolo subito ma brucia il nervo ottico; e al medico di pronto soccorso non rimane niente da curare, può solo prendere atto della cecità autoprocurata. Tutto questo a partire dagli undici, dodici anni, quando la scienza invece ci dice che la corteccia frontale e prefrontale, aree deputate alla razionalità, alla cognizione, alle funzioni sociali e al linguaggio, maturano intorno ai 25 anni. Praticamente, i ragazzi iniziano ad assumere sostanze in un’età in cui non c’è ragionamento logico né percezione del rischio. I servizi territoriali non hanno strumenti per la prevenzione, e i giovani vi arrivano quando sono già ormai cronicizzati.

Oltre 1200 sono i cannabinoidi sintetici, un dato allarmante; ma ancor più allarmante il dato sugli oppioidi di sintesi, 461, co-responsabili delle overdose. Di questi 461, 176 sono i pericolosi fentanili: se una persona assume eroina tagliata con queste sostanze va in overdose fatale perché i fentanili sono resistenti al Narcan, l’antidoto somministrato in Pronto soccorso. La policy della comunità europea per classificare le sostanze in circolazione si avvale tuttora della metodologia “analogica”, cioè basata sul sequestro su strada; ma i mezzi tradizionali non riescono a stare al passo con il mercato online. Un nuovo mezzo è “NPS finder” che spia in rete se ci sono sostanze nuove e le aggiunge ad un DataBase consultabile e condivisibile tra gli operatori sanitari.

Passando all’alcol, il quadro è anche più sconfortante. Ad esempio, prendiamo il binge drinking. Avete presente gli shottini a 1 euro? Pensate a 20 shottini comprati in un rapido giro tra i diversi locali. Il binge drinking è l’assunzione di più bevande alcoliche in un intervallo di tempo più o meno breve. Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità esso corrisponde all’assunzione in un’unica occasione di consumo in breve tempo di oltre 6 Unità Alcoliche (UA = 12 grammi di alcol puro) di una qualsiasi bevanda alcolica. In questa definizione non è importante il tipo di sostanza che viene ingerita né l’eventuale dipendenza alcolica: lo scopo principale di queste “abbuffate alcoliche” è l’ubriacatura immediata nonché la perdita di controllo. Con tutto ciò che questo può comportare, dallo stupro al furto, alle sfide senza alcuna sensazione del pericolo. Cinquecento milioni di euro l’anno vengono spesi in Italia per comprare alcol, un milione di euro è la cifra investita in prevenzione: praticamente Davide contro Golia. Le prime tre cause di decesso tra i ragazzi dai dieci (10!) ai diciannove anni sono: incidente stradale (la cui causa è quasi sempre connessa all’assunzione di sostanze), alcol e suicidio.

Se l’argomento vi interessa, consiglio caldamente di andare a vedere il filmato dell’intero convegno (un girato totale di 7 ore: potete selezionare gli interventi salienti dai titoli riportati a fianco del video) sul sito di Radio Radicale https://www.radioradicale.it/scheda/586330/sos-giovani-vecchie-nuove-e-nuovissime-dipendenze-il-ruolo-del-servizio-pubblico

Quanta desolante devastazione nell’orizzonte dei nostri giovani, un orizzonte piatto quanto può esserlo quello di chi vive in un fossato. Chi segue regolarmente La Croce ricorderà certamente che il presidente Mario Adinolfi ha citato proprio le morti da Fentanyl negli USA: 70.000 ragazzi schiantati ogni anno da overdose di questo farmaco enormemente più potente della morfina, e sappiamo bene che tutto ciò che avviene negli States arriva dopo qualche anno anche qui da noi. C’è sempre una logica dietro a queste cifre, ed è la logica delle convenienze. Tutte le dipendenze maggiori (in Italia alcol e tabacco ma altrove anche le cosiddette droghe leggere, espressione che dopo gli illuminanti dati di questo convegno non useremo più perché è semplicemente falsa) sono “di Stato” benché comportino danni alle persone, in quanto ciò che ci si guadagna è enormemente maggiore della spesa riparativa. Una volta si poteva ancora far conto sul controllo informale della società, oggi siamo soggiogati a paura e isolamento e i nostri ragazzi mentre vanno a comprare alcol o si fanno pubblicamente una canna non subiscono nessun tipo di riprovazione sociale. I comportamenti di dipendenza abituale non sono soggetti a stigma sociale, l’alcol come stile di vita diventa un “gateway drug” per la ricerca affannosa di felicità artificiale.

Ormai è un mondo liquido, costruito da noi adulti quando poco alla volta abbiamo lasciato che l’industria ci portasse sulla strada del “loro” profitto. Questo è il mondo dove la libertà – autodeterminazione è diventata un diritto assoluto, cioè slegato da tutti gli altri diritti e soprattutto dai doveri. Conosciamo bene la logica alla Cappato, secondo cui l’individuo, nella sua solitudine, è unico metro del proprio personale e soggettivo progetto di felicità.

In questo convegno, tra le voci di specialisti ed operatori sul campo, emerge tutta la sofferenza del vivere e il bisogno disperato di senso, che i giovani cercano e gli adulti non sanno offrire in termini adeguati. Per un adulto schiavo di qualche sostanza che sta rischiando la salute o la vita, può sempre valere il richiamo ad un punto di riferimento: la famiglia, il lavoro, gli amici. Per un adolescente già preda della dipendenza questi discorsi non reggono, non c’è niente per cui valga la pena allontanarsi dall’automatismo mentale della ricerca compulsiva di fonti di gratificazione. Quando le problematiche dell’esistenza possono arrivare a sopraffare, è lo sforzo di trascendenza che tiene in vita. In un mondo in crisi di autorevolezza, i ragazzi si trovano invece in una tempesta emotiva fatta di ansia da prestazione, ipersensibilità al giudizio, ridotta tolleranza alle frustrazioni e al rifiuto, ed entrano in una dimensione di ricerca coatta di appagamento inarrivabile. L’ultimo porto, l’approdo di pace da cui non salpare mai più, non è all’orizzonte perché manca un vero orizzonte di senso.

Sono state presentate durante il convegno tre video testimonianze, storie vere: quella di un giovane adulto alcolizzato (sette TSO in pochi anni), un ragazzo con diagnosi di disturbo psicotico (attualmente recluso per reati di droga, ma in condizioni non adeguate al suo stato di patologia), un ventenne con sindrome di ritiro sociale (isolamento totale, vita da reclusi in casa; una forma di dipendenza comportamentale invece che da sostanze). Tre storie, le voci di tre madri che hanno raccontato il proprio dolore, che non hanno abbandonato il proprio figlio pur scorticandosi l’anima per i sensi di colpa. Sarà un caso, ma erano solo donne, madri: di padri nessuna traccia. Anzi, per dirla tutta non c’era traccia di famiglia. L’ambiente familiare è “soltanto” il contesto in cui si sviluppano le patologie, mai viene rappresentato come risorsa per il recupero. La relazione genitori-figli facilmente viene descritta come luogo da cui scaturiscono i germi di comportamenti antisociali. Ecco una visione ideologica, un approccio riparativo e non preventivo che non di rado invece di aiutare le persone nel proprio ambiente di vita, la famiglia, interviene senza recuperarne i naturali legami, anzi spesso contribuendo a indebolirli. La famiglia come problema, l’individuo come monade fragile curata da uno stato paternalista, servizi pubblici altamente (a volte) competenti ma poco capaci di empatia.

Eppure, in tre storie narrate ci sono tre donne che testimoniano la tenacia, l’indissolubilità del legame con un figlio anche quando è altamente problematico. E la famiglia, mai menzionata dai tecnici, ricompare nelle parole di una di queste madri. Quando risponde alla domanda “Che cosa avrebbe potuto funzionare con tuo figlio adolescente?”, Francesca la mamma del giovane alcolizzato dice: se io e il padre fossimo stati alleati nel condurlo in un percorso…l’accordo dei genitori per le decisioni, ritengo che la comunicazione di qualsiasi decisione riguardante un figlio abbia un’efficacia solo ed esclusivamente quando i genitori sanno usare il “noi”. Padre e madre, alleati. “L’alleanza tra uomo e donna è chiamata a prendere nelle mani la regia dell’intera società”: le parole del Santo Padre sono intrise di sano realismo, contro ogni visione ideologica. Poi veniteci a dire che siamo monotematici: in questa nostra società così liquida da aver perso la barra di navigazione insieme all’orizzonte, il “partito della famiglia” (come viene spesso appellato il PDF in senso denigratorio) è una necessità vitale ed è la risposta più razionale e concreta per offrire nel mare in tempesta la ragionevole speranza di un approdo.

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11/10/2019
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