Storie
di Mario Adinolfi
NEL NOME DI MINO
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Dicemmo addio a Mino Martinazzoli dieci anni fa, il 4 settembre 2011, due mesi dopo sarebbe diventato ottantenne. Sono stato martinazzoliano, gli devo la nomina a “più giovane padre costituente” del Partito popolare italiano ricostituito nel 1993 e poi a presidente nazionale dei Giovani Popolari fino alla fine del Novecento. Quel che Mino ha significato per me è però nulla rispetto a quello che ha significato per tutti i cristiani impegnati in politica. Perché aveva capito tutto e ci annunciò quel che sarebbe accaduto con decenni di anticipo.
La summa del pensiero martinazzoliano è il discorso del febbraio 1989 a quello che nessuno avrebbe mai immaginato essere l’ultimo congresso della Democrazia Cristiana. Prendetevi mezz’ora di tempo e ascoltatelo tutto: è il discorso di uno sconfitto, parla da capo dell’area Zac (ex morotei) che ha appena perso la segreteria nazionale del partito, ceduta proprio a quel congresso da De Mita a Forlani. Eppure il catino del Palaeur acclama il suo nome, non lo fa cominciare a parlare, lui che è febbricitante e non ha davanti neanche un appunto. Seguiranno trenta minuti di analisi politica affilata come una lama, interamente a braccio e molto complessi, ma di una chiarezza che non ho mai più ascoltato. Sì perché c’ero, da giovanissimo dirigente del Mgdc, al Palaeur quel giorno. E capii la lezione fondamentale. Profetica allora, verissima oggi.
Ascoltatelo scandire queste decisive parole: “La storia politica è la storia di un’idea che si incarna, si confronta, combatte, è sconfitta, riprende: questa era la grande idea sturziana della libertà. Se non offriamo questo terreno allora davvero si perderà il grande giacimento morale, lungo gli schemi di un radicalismo di massa che insegue mode e movimenti quasi in una sindrome di Stoccolma. Si coglie qui la nostra grande questione: fare politica da parte di un cristiano assomiglia a un paradosso. Fare politica per un cristiano è insieme impossibile e doveroso. E’ sul crinale di questo paradosso che si svolge la nostra vita, se volete la nostra inquietudine. Sturzo l’ha insegnato una volta per tutte: la religione è universale, la politica è parziale, non vi è compromissione, chi sta in politica sceglie il dato della laicità. Ma questa è una condizione non è la positività di un contenuto e di una ispirazione. Oggi il nostro problema è capire come facciamo a fondare per noi rispetto a una laicità laicista quella che chiamerei una laicità cattolica. Questo in un tempo, quella della modernità, che non esige da parte nostra maledizioni o ostilità, ma piuttosto una lettura critica”.
Tutto chiaro? In sostanza: o da cristiani accettiamo la sfida laica della politica o vinceranno “gli schemi di un radicalismo di massa che insegue mode”. Esattamente quel che stiamo vivendo oggi. Io ho accettato di “vivere sul crinale del paradosso” per poter dire, con la frase di chiusura del discorso martinazzoliano del 1989, che “alla fine di questo nostro impegno non c’è una soddisfazione personale che valga l’idea di avere servito senza inganni e senza rimorsi, questa grandezza, questa ragionevole speranza, questa splendida intuizione che è una idea democratica e cristiana”.
I quindici minuti di applausi fragorosi e ininterrotti che seguirono il discorso, testimoniati dal video che potete vedere qui sotto, sono giunti fino a noi. Non solo perché nessun politico italiano mai più ha ricevuto un applauso così incredibilmente appassionato e lungo, cui peraltro Martinazzoli reagì infastidito andandosene dal Palaeur che lo acclamava “segretario, segretario”. Sono in realtà anche i nostri applausi. Se Martinazzoli fosse stato eletto segretario della Dc in quel congresso del 1989, la storia sarebbe stata diversa. Li aveva avvertiti nel discorso che il rischio era quello di sparire e, citando il suo amato don Primo Mazzolari, chiedeva ai democristiani incancreniti da decenni di governo di mettersi “un poco all’opposizione, all’opposizione di noi stessi: delle nostre grettezze e delle nostre paure, se vogliamo anche delle nostre ambizioni”. Il congresso elesse Forlani e fu il disastro. Chiamarono in fretta e furia Martinazzoli alla segreteria solo nel 1992, la Dc era ormai colpita a morte e Mino la sciolse facendo rinascere il Ppi di Sturzo e prese il 10% da solo alle elezioni del 1994, stando fuori dalle coalizioni. Oggi quel 10% sarebbe oro puro per contrastare la “laicità laicista” e dare forza decisiva a una “laicità cattolica”. Dedico la vita a dare caccia a quell’oro necessario. Me l’ha insegnato Mino Martinazzoli con la sua vita e in un discorso di oltre trenta anni fa. Aiutaci da lassù, ne abbiamo bisogno perché non ci siamo arresi.