Chiesa

di Raffaele Dicembrino

PAPA FRANCESCO SANTA MESSA CONCLUSIVA DEL 52.mo CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE

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Il Papa parla dall’altare alla cristianità intera per rinnovare il discepolato attraverso tre momenti che vanno dall’annuncio di Gesù al discernimento fino al camminare dietro a Lui. E l’omelia inizia con una domanda diretta, la stessa che Gesù fa ai discepoli e che Francesco invita a porsi.

A Cesarea di Filippo Gesù chiede ai discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29). Questa domanda mette alle strette i discepoli e segna una svolta nel loro cammino dietro al Maestro. Essi conoscevano bene Gesù, non erano più dei principianti: avevano familiarità con Lui, erano stati testimoni di molti miracoli compiuti, rimanevano colpiti dal suo insegnamento, lo seguivano dovunque andava. Eppure, non pensavano ancora come Lui. Mancava il passaggio decisivo, quello dall’ammirazione per Gesù all’imitazione di Gesù. Anche oggi il Signore, fissando lo sguardo su ognuno di noi, ci interpella personalmente: “Ma io chi sono davvero per te?”. Chi sono per te? È una domanda che, rivolta a ciascuno di noi, non chiede solo una risposta esatta, da catechismo, ma una risposta personale, una risposta di vita.

Da questa risposta nasce il rinnovamento del discepolato. Esso avviene attraverso tre passaggi, che fecero i discepoli e possiamo compiere anche noi: l’annuncio di Gesù il primo, il discernimento con Gesù il secondo, il cammino dietro a Gesù il terzo.

1. L’annuncio di Gesù. A quel “Ma voi, chi dite che io sia?” rispose Pietro, come rappresentante dell’intero gruppo: «Tu sei il Cristo». Pietro dice tutto in poche parole, la risposta è giusta, ma sorprendentemente, dopo questo riconoscimento Gesù ordina «severamente di non parlare ad alcuno di lui» (v. 30). Ci domandiamo: perché un divieto così drastico? Per una ragione precisa: dire che Gesù è il Cristo, il Messia, è esatto ma incompleto. C’è sempre il rischio di annunciare una falsa messianicità, secondo gli uomini e non secondo Dio. Perciò, a partire da quel momento, Gesù comincia a rivelare la sua identità, quella pasquale, quella che troviamo nell’Eucaristia. Spiega che la sua missione sarebbe culminata, sì, nella gloria della risurrezione, ma passando attraverso l’umiliazione della croce. Si sarebbe cioè svolta secondo la sapienza di Dio, «che – dice San Paolo – non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo» (1 Cor 2,6). Gesù impone il silenzio sulla sua identità messianica, non però sulla croce che lo attende. Anzi – annota l’evangelista – Gesù comincia ad insegnare «apertamente» (Mc 8,32) che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (v. 31).

Di fronte a questo annuncio di Gesù, annuncio sconvolgente, possiamo rimanere anche noi esterrefatti. Anche noi vorremmo un messia potente anziché un servo crocifisso. L’Eucaristia sta davanti a noi per ricordarci chi è Dio. Non lo fa a parole, ma concretamente, mostrandoci Dio come Pane spezzato, come Amore crocifisso e donato. Possiamo aggiungere tanta cerimonia, ma il Signore rimane lì, nella semplicità di un Pane che si lascia spezzare, distribuire e mangiare. È lì: per salvarci si fa servo; per darci vita, muore. Ci fa bene lasciarci sconvolgere dall’annuncio di Gesù. E chi si apre a questo annuncio di Gesù, si apre al secondo passaggio.

2. Il discernimento con Gesù. Di fronte all’annuncio del Signore, la reazione di Pietro è tipicamente umana: quando si profila la croce, la prospettiva del dolore, l’uomo si ribella. E Pietro, dopo aver confessato la messianicità di Gesù, si scandalizza delle parole del Maestro e tenta di dissuaderlo dal procedere sulla sua via. La croce non è mai di moda. Cari fratelli e sorelle, la croce non è mai di moda: oggi come in passato. Ma guarisce dentro. È davanti al Crocifisso che sperimentiamo una benefica lotta interiore, l’aspro conflitto tra il “pensare secondo Dio” e il “pensare secondo gli uomini”. Da un lato, c’è la logica di Dio, che è quella dell’amore umile. La via di Dio rifugge da ogni imposizione, ostentazione, da ogni trionfalismo, è sempre protesa al bene altrui, fino al sacrificio di sé. Dall’altro lato c’è il “pensare secondo gli uomini”: è la logica del mondo, della mondanità, attaccata all’onore e ai privilegi, rivolta al prestigio e al successo. Qui contano la rilevanza e la forza, ciò che attira l’attenzione dei più e sa farsi valere di fronte agli altri.

Abbagliato da questa prospettiva, Pietro prende in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo (cfr v. 32). Prima lo aveva confessato, adesso lo rimprovera. Può capitare anche a noi di mettere il Signore “in disparte”, di metterlo in un angolo del cuore, continuando a ritenerci religiosi e per bene e ad andare avanti per la nostra strada senza lasciarci conquistare dalla logica di Gesù. Ma c’è una verità: Egli però ci accompagna, ci accompagna in questa lotta interiore, perché desidera che, come gli Apostoli, scegliamo la sua parte. C’è la parte di Dio e c’è la parte del mondo. La differenza non è tra chi è religioso e chi no. La differenza cruciale è tra il vero Dio e il dio del nostro io. Quanto è distante Colui che regna in silenzio sulla croce dal falso dio che vorremmo regnasse con la forza e riducesse al silenzio i nostri nemici! Quanto è diverso Cristo, che si propone solo con amore, dai messia potenti e vincenti adulati dal mondo! Gesù ci scuote, non si accontenta delle dichiarazioni di fede, ci chiede di purificare la nostra religiosità davanti alla sua croce, davanti all’Eucaristia. Ci fa bene stare in adorazione davanti all’Eucaristia per contemplare la fragilità di Dio. Dedichiamo tempo all’adorazione. È un modo di pregare che si dimentica troppo. Dedichiamo tempo all’adorazione. Lasciamo che Gesù Pane vivo risani le nostre chiusure e ci apra alla condivisione, ci guarisca dalle nostre rigidità e dal ripiegamento su noi stessi; ci liberi dalla schiavitù paralizzante del difendere la nostra immagine, ci ispiri a seguirlo dove Lui vuole condurci. Non dove voglio io. Eccoci così giunti al terzo passaggio.

3. Il cammino dietro a Gesù, anche il cammino con Gesù. «Va’ dietro a me, Satana» (v. 33). Così Gesù riconduce Pietro a sé, con un comando accorato, forte. Ma il Signore, quando comanda qualcosa, in realtà è lì, pronto a donarla. E Pietro accoglie la grazia di fare “un passo indietro”. Il cammino cristiano non è una rincorsa al successo, ma comincia con un passo indietro – ricordate questo: il cammino cristiano comincia con un passo indietro –, con un decentramento liberatorio, con il togliersi dal centro della vita. Allora Pietro riconosce che il centro non è il suo Gesù, ma il vero Gesù. Cadrà ancora, ma di perdono in perdono riconoscerà sempre meglio il volto di Dio. E passerà dall’ammirazione sterile per Cristo all’imitazione concreta di Cristo.

Che cosa vuol dire camminare dietro a Gesù? È andare avanti nella vita con la sua stessa fiducia, quella di essere figli amati di Dio. È percorrere la stessa via del Maestro, venuto per servire e non per essere servito (cfr Mc 10,45). Camminare dietro a Gesù è muovere ogni giorno i nostri passi incontro al fratello. Lì ci spinge l’Eucaristia: a sentirci un solo Corpo, a spezzarci per gli altri. Cari fratelli e sorelle, lasciamo che l’incontro con Gesù nell’Eucaristia ci trasformi, come ha trasformato i Santi grandi e coraggiosi che onorate, penso a Santo Stefano e Santa Elisabetta. Come loro, non accontentiamoci di poco; non rassegniamoci a una fede che vive di riti e di ripetizioni, apriamoci alla novità scandalosa del Dio crocifisso e risorto, Pane spezzato per dare vita al mondo. Saremo nella gioia; e porteremo gioia.

Questo Congresso Eucaristico Internazionale è un punto di arrivo di un percorso, ma sia soprattutto un punto di partenza. Perché il cammino dietro a Gesù invita a guardare avanti, ad accogliere la svolta della grazia, a far rivivere ogni giorno in noi quell’interrogativo che, come a Cesarea di Filippo, il Signore rivolge a ognuno di noi suoi discepoli: Ma voi, chi dite che io sia?

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13/09/2021
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