Chiesa
di Giuseppe Udinov
PAV: incoraggiare a togliersi la vita non è risposta alla sofferenza
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Non si può minimizzare in alcun modo la gravità della situazione ma resta da chiedersi se “la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita”. Parte da qui il rilievo che la Pontificia Accademia per la Vita, in una Nota, muove alla notizia di queste ore riguardante il primo malato ad aver ottenuto il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia, un uomo paralizzato dalle spalle ai piedi da 11 anni a causa di un incidente stradale in auto. Al termine di un lungo iter, è stato il parere del Comitato etico, a seguito di verifica delle sue condizioni tramite un gruppo di medici specialisti nominati dall’Azienda sanitaria delle Marche, a confermare che c’erano tutti i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito.
La materia è delicata e controversa premette la PAV e la sofferenza determinata da una patologia come la tetraplegia è certamente comprensibile. Ma ci si chiede: “la legittimazione ‘di principio’ del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, ed è pronta a battersi contro la pena di morte? Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il normale potere di sopprimere, non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità sofferente? Tutto quello che riusciamo ad esprimere è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?”.
Altre dovrebbero essere le strade da percorrere, secondo la PAV, per una comunità che si renda responsabile della vita dei suoi membri, favorendo la considerazione che la vita stessa ha valore. Innanzitutto “un accompagnamento - come accade per le cure palliative - che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili”, comprendendo anche la possibilità di “sospendere i trattamenti considerati sproporzionati dal paziente”.
La vicenda solleva inoltre una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali, difficile da chiarire. La PAV osserva infatti che il compito di verifica dei requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito spetterebbe ad un comitato tecnico, mentre il comitato etico “potrebbe essere più correttamente coinvolto in una consultazione previa alla decisione del paziente”.