Chiesa
di Raffaele Dicembrino
Sarà beata l’italiana Maria Carola Cecchin
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
Diventerà beata l’italiana Maria Carola Cecchin, al secolo Fiorina, religiosa professa della Congregazione delle Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Nata il 3 aprile 1877 a Cittadella, in provincia di Padova, emette la professione religiosa il 6 gennaio 1899, dopo essere entrata nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino. Nel 1905 viene inviata in Kenya, insieme a quattro suore cottolenghine e a due missionari della Consolata. Catechista instancabile in tanti villaggi, dalle foreste alle aride steppe del Kikuyo, dalla savana alle brughiere del Meru, Maria Carola è sempre pronta ad aprire varchi per nuove missioni. Vede ogni tipo di miseria e sofferenza, si sottopone a grandi fatiche, ma sopporta tutto, con infinito amore, animata dallo zelo missionario. Nel frattempo, viene nominata superiora e destinata a varie comunità, l’ultima delle quali è quella di Tigania, dove si ammala gravemente. Si decide di farla rientrare in Italia, ma Maria Carola muore durante il viaggio in piroscafo, il 13 novembre 1925, all’età di 48 anni. Le normative igieniche di quegli anni prevedono che il suo corpo venga consegnato alle acque del Mar Rosso. Il miracolo riconosciuto per la sua prossima beatificazione e attribuito alla sua intercessione riguarda la ripresa vitale di un bambino nato in “assenza prolungata di attività cardiaca, respiratoria, neurologica”. L’evento è accaduto a Meru, in Kenya, nel 2013.
Tra i decreti promulgati oggi dalla Congregazione delle cause dei santi, dopo l’udienza di Papa Francesco con il cardinale prefetto, Marcello Semeraro, ci sono anche quelli riguardanti tre sacerdoti e una religiosa, che diventano Venerabili con il riconoscimento delle virtù eroiche. Risalta, in particolare, la testimonianza di Bernardo Sartori, sacerdote professo dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. Una vita fortemente improntata alla missione, la sua: nato il 20 maggio 1897 a Falzé di Trevignano, in provincia di Treviso, nel 1921 entra nella Congregazione comboniana. Ordinato sacerdote nel 1923, dopo alcune attività di animazione missionaria nel sud Italia, nel 1934 viene inviato nel West Nile, nel nord-ovest dell’Uganda, ambiente prevalentemente musulmano. Negli anni successivi, fonda nuove missioni e scuole, mentre nel 1962 promuove la consacrazione di tutti i missionari e missionarie comboniani d’Africa alla Vergine Maria. Vive le vicende turbolente che seguono la caduta del dittatore ugandese Amin e nel 1979 segue la sua gente in Zaire, divenendo profugo tra i profughi. Dopo un breve soggiorno in Italia, nel 1982, all’età di 85 anni, torna nuovamente in Zaire, per restare accanto alla sua gente. Instancabile nel lavoro apostolico e nell’aiuto assistenziale al prossimo, muore il 3 aprile 1983, giorno di Pasqua, ad Ombaci, in Uganda. Il suo corpo viene ritrovato senza vita in chiesa, davanti al tabernacolo.
Peculiare anche la vicenda di Maria Margherita del Cuore di Gesù agonizzante nell’orto del Getsemani (al secolo: Ludovica Banaś), religiosa professa della Congregazione delle suore della Sacra Famiglia di Nazareth. Nata il 10 aprile 1896 a Klecza Dolna, in Polonia, il 15 febbraio 1917 entra nella Congregazione e il 31 luglio 1926 emette la professione perpetua. Nel 1937 viene trasferita a Nowogródek (oggi Bielorussia), dove lavora presso l’ospedale. Grande il suo impegno nell’apostolato verso i poveri, i bisognosi, gli orfani, i prigionieri. Dopo l’occupazione della città da parte delle truppe sovietiche nel 1939, le suore vengono espulse dal loro convento e allontanate dal nosocomio. Costrette a indossare abiti laici, devono cercare alloggio presso famiglie amiche. Nel 1941, Nowogródek passa sotto la Germania; due anni dopo, dodici suore vengono convocate dai tedeschi presso il commissariato e fucilate nel bosco adiacente. Ferma e salda nella fede, Maria Margherita riesce a salvarsi e, dopo la ritirata dei tedeschi nel 1944, fa riesumare i corpi delle undici consorelle uccise e dà loro degna sepoltura in chiesa. San Giovanni Paolo II le beatificherà, poi, nel 2000. Finita la Guerra, i territori della Polonia dell’est vengono incorporati all’Unione Sovietica. Maria Margherita non torna nel suo Paese natale, come fanno tanti altri, ma rimane a Nowogródek per continuare la sua missione, come unica guardiana della chiesa e della tomba delle sue consorelle. E qui muore il 26 aprile 1966, all’età di 70 anni, dopo lunga malattia, sopportata con pazienza e serenità.
Anche la vita di dell’italiano Carlo da Abbiategrasso (al secolo: Gaetano Antonio Vigevano), sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, è esemplare: nato il 30 agosto 1825 ad Abbiategrasso, fin da piccolo si distingue per la sua religiosità e per lo zelo con il quale insegna il catechismo ai suoi coetanei. Avverte subito la vocazione alla vita consacrata, ma la sua costituzione fragile e la tubercolosi rallentano il suo percorso. La professione solenne nell’Ordine dei Frati Cappuccini arriva solo il 30 marzo 1855. Il 26 dicembre dello stesso anno viene ordinato sacerdote e di dedica in particolare all’esercizio della carità. Negli anni in cui a Milano dilaga il colera, pur essendo malata con la febbre, Carlo chiede in ginocchio che gli venga concesso il permesso di andare in ospedale ad assistere i sofferenti. Nel 1858 viene trasferito al Santuario della Madonna dei Cappuccini di Casalpusterlengo, dove si distingue per la straordinaria pietà, per l’umiltà e per la carità, acquistando anche fama di taumaturgo. Vista la sua fama di santità, il governo austriaco ne chiede l’allontanamento, ma il vescovo di Lodi, monsignor Gaetano Benaglio, rifiuta categoricamente. Ammalatosi di broncopolmonite e di tisi, muore il 21 febbraio 1859.
Infine, diventa venerabile anche lo spagnolo Andrea Garrido Perales, sacerdote professo dell’Ordine della Beata Maria Vergine della Mercede. Nato il 29 novembre 1663 a Vallada, esperto teologo, dedica la sua vita alla predicazione, all’amministrazione del sacramento della riconciliazione e all’assistenza di emarginati, orfani, poveri, malati, carcerati, zingari e senza fissa dimora. Colpito da una grave forma di artrite che gli deforma il corpo, mostra una fortezza d’animo esemplare, alimentata dalla preghiera costante. Fedele al carisma mercedario, diffonde tra i carcerati il Vangelo come strumento di liberazione dalla prigionia dell’emarginazione sociale e del disprezzo, favorendo il loro reinserimento nella società e il loro cammino di fede. Muore a Xátiva il 23 febbraio 1728, all’età di 65 anni.