Storie
di Ilaria Sorrentino
A Ravanusa “tutto è compiuto”
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
“Fratelli, se Dio è per noi, chi può essere contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme a lui?” le parole della seconda lettura dei funerali di Stato a Ravanusa sono consolazione. Consolazione come momento per ripartire da Dio. Ed è questo il momento di puntare all’eternità. Sperare contro ogni speranza è il segreto per poter trovare un senso dove un senso non c’è.
Un funerale amaro. Un funerale difficile. Un funerale partecipato. Un funerale per chi spera nonostante tutto perché la morte improvvisa di dieci persone colpisce tutta la comunità: ognuno viene toccato nell’affetto, nel senso di impotenza, nel dolore in quanto umani in grado di entrare in sintonia con il dolore altrui, e ci spinge a riflettere, a interrogarci, a ricercare un senso nella perdita. Ogni parola del vescovo Alessandro Damiano sono un momento di riflessione perché la “morte” in questi casi non riuscirà mai ad essere naturale, mai. È vero con lei, prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti. Ma quando entra così prepotente da distruggere il nostro sereno, il nostro quotidiano, la nostra storia, tutto appare incomprensibile. Tutto porta alla disperazione. Le parole del vescovo arrivano dritte e tuonano nel silenzio di Ravanusa, sono parole forti, una denuncia chiara che abbraccia una comunità ferita: “L’esplosione non ha dato scampo. Si è fatto buio nella vita di Samuele, che pur non avendo fatto in tempo a nascere era già uno di noi. Un grembo è diventato tomba. Si è fatto buio nelle famiglie che hanno sperato fino all’ultimo nel miracolo e si è fatto buio nella comunità di Ravanusa che ha perso un pezzo di sé e ha perso anche la possibilità di sentirsi al sicuro, con un sottosuolo che si è rivelato pericoloso, con strutture precarie. Si è fatto buio nell’intero paese che ha seguito le fasi di una tragedia che una maggiore responsabilità e un controllo più attento avrebbero forse potuto evitare”. La conclusione è un invito a metterci in cammino, un invito a ricominciare: “Ci chiediamo, che senso ha tutto questo. Come voi non ho una risposta ma voglio cercarla nella fede”.
A Ravanusa in una frazione di secondo, di quel terribile sabato, abbiamo imparato che non sempre le cose vanno come vorremmo ma quello che appare come la fine, spesso è solo un nuovo inizio per ripartire puntando al cambiamento. È necessario cambiare rotta. È necessario puntare lo sguardo a “chi tutto può”. È necessario che la politica punti il suo “fare” al bene, operando con realismo e prudenza, senza fare promesse che non si possono mantenere. Occorre un cambio di passo molto più radicale rimettendo a tema il significato dell’azione pubblica avendo a cuore l’umanità di una comunità che vuole chiarezza e SICUREZZA. È necessario che la politica diventi terreno del possibile, non del frastuono e dell’irrazionale.
È necessario che non cali il sipario su Ravanusa perché quelle macerie, quei volti non devono essere dimenticati. La vera testimonianza è quella di Eliana, moglie di Giuseppe Carmina. Le sue parole sono entrate come una spada nel cuore di tutti. Parole semplici che tolgono il fiato: “Guardiamo alle cose che durano per sempre. In un attimo tutto è andato via. Giuseppe era il mio tutto. Ma è arrivata una forza sovrumana, una serenità interiore che solo Dio può dare. La casa è vuota, le nostre bambine chiedono e piangono, il letto è diventato grande. La croce è pesante. I miei suoceri per me erano altri genitori. Ma non maledico Dio, continuo a ringraziarlo. Ho la certezza che Giuseppe e i miei suoceri sono in un posto migliore. Siamo nati e non moriremo mai. Per tutti noi questa sia una certezza”. Il suo è un invito all’amore, all’amore eterno, all’amore cristiano, quello che non delude. Un invito a spostare la nostra bussola, il nostro sguardo al vero bene. In questo tempo di angoscia, di disperazione, di lutto, di lacrime, la fede è quella consolazione che ti fa ripartire e ti mette in cammino.
Un invito che mi riporta alle parole di Papa Francesco: “si tratta di non scappare dalla Croce, ma di rimanere lì, come fece la Vergine Madre, che soffrendo insieme a Gesù ricevette la grazia di sperare contro ogni speranza”. Grazie Eliana. Grazie perché ci ricordi che la fede è dialogo, è riprendere quel cammino che può sembrare amaro ma che profuma di speranza.
Oggi Ravanusa è un cuore che batte all’unisono, un abbraccio pieno d’amore per Selene, Giuseppe e il loro bimbo, per Angelo ed Enza, per Liliana e Calogero, per Giuseppe, per il professore Carmina e per la moglie Carmela ma soprattutto per le loro famiglie. “Non è qui, è Risorto”, un invito a riprendere la nostra vita puntando alla speranza. Un invito ad uscire dai sepolcri del dolore avendo e portando nel cuore il vero amore.