Storie

di Ilaria Sorrentino

PER NON DIMENTICARE RAVANUSA

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“Credo che ogni evento lasci dentro ad ognuno una piccola essenza, diventando parte di noi, rendendo vano il tentativo di dimenticare perché non possiamo dimenticare, ma ricordare per divenir più forti”. È ancora vivo il ricordo a un mese di distanza. Non si può e non si deve dimenticare: quel boato, quelle volanti, quei nomi, quelle ambulanze, quella speranza e poi il silenzio. Il silenzio che sta accompagnando Ravanusa da un mese. Quel silenzio che fa rumore, che vuole risposte, che vuole che la giustizia faccia il suo corso nella verità. Un mese dove tutto è cambiato. Una comunità che si stringe attorno a un quartiere fatto di volti, di storie, di vita, impossibile da dimenticare.

La tragedia di Ravanusa è stata sviscerata, raccontata, ammessa, descritta da ogni possibile punto di vista. Ma la verità, almeno quella che ci è data conoscere, è solo una: 10 persone, 10 storie, 10 vite sono finite per sempre sotto quei detriti, dopo quella terribile esplosione. Una strage che in pochi attimi ha spezzato via tutto. Una comunità impregnata del ricordo di quel preciso 11 dicembre. Un ricordo che avvolge e avvolgerà le nostre esistenze. “E’ trascorso un mese dalla terribile tragedia dell’11 dicembre e ci ritroviamo di nuovo in preghiera convocati alla mensa della Parola e dell’Eucarestia. Il Signore ci ha convocati perché ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di nutrirci, perché siamo consapevoli del fatto che come dice un canto “se il vigore del cammino si svilisce solo la sua mano dona la speranza” e siamo qui perché nella nostra preghiera desideriamo ricordare” le parole di don Giuseppe Cumbo, sono un invito alla speranza cristiana. Un invito a non sprecare il ricordo, a non cancellarlo dal nostro orizzonte. Impossibile dimenticare quegli attimi, quelle sensazioni, quel dolore, quelle fiamme, la distruzione. Impossibile dimenticare le forze dell’ordine, le squadre di soccorso, la protezione civile, il 118 che hanno lavorato senza mai perdere la speranza, senza sosta. Impossibile dimenticare la gioia del salvataggio delle uniche due superstiti.

Ogni frame dei video che continuamente vediamo di quella terribile sera ci sbattono in faccia una realtà che fa paura, ci restituiscono uno scenario visto solamente nei film, in contesti di guerra. Una strage che vuole essere una domanda da cui ripartire. E si riparte da uno squarcio di venti centimetri nel tubo del metano che passa sotto via Trilussa causa del grande accumulo di gas. Ora, bisognerà capire cosa ha causato la rottura. Rete vecchia? Mancata manutenzione? O, forse, più probabilmente, uno spostamento del terreno, in una zona ad alto rischio idrogeologico, tanto che il Comune doveva far partire un maxi intervento per frenare la frana che interessa la zona. Chi pagherà? Verrà detta la verità? Ad oggi gli indagati sono dieci, si tratta di dirigenti e tecnici di Italgas Reti, che risultano iscritti nel registro della procura per i reati di disastro colposo ed omicidio colposo plurimo. Se l’ipotesi dello spostamento del terreno verrà confermata, allora lo scenario dell’indagine potrebbe anche cambiare. Bisogna continuare a chiedere la verità. Bisogna continuare a parlarne. Bisogna evitare che si ripetano questi eventi tragici. Ripartire è la nostra chance. Bisogna ricordare che ogni vita, in quanto storia, appartiene ad una comunità che si abbraccia, in silenzio, con dolore in questo triste momento. Un mese dato per metterci di fronte alla fragilità della vita: un modo per capire che la nostra esistenza non dipende da ciò che possediamo e che la vita è fatta di affetti, di rapporti personali e dal cristiano altruismo fatto di condivisione.

Bisogna ripartire da tutte quelle famiglie che hanno perso la casa, i loro ricordi, come affermato dal sindaco Carmelo D’Angelo: “Adesso è il tempo di pensare a restituire ai miei concittadini, provati da questi eventi, la serenità e la forza di andare avanti. In primis la dignità di potere avere una casa dove vivere e crescere i loro figli”. Ad un mese di distanza a Ravanusa una Santa Messa in suffragio per i nostri fratelli Carmela, Pietro, Giuseppe, Liliana, Calogero, Giuseppe, Selene, il piccolo Samuele, Angelo e Crescenza. Una Santa Messa per volgere il nostro sguardo, il nostro cuore alle vittime e ai loro familiari. Una messa intima senza istituzioni. Una comunità unita nel dolore e nella speranza. “Continuiamo a sperare perché il Signore ci chiama nonostante tutto e il Signore ci vuole prendere per mano per farci rialzare” parole quelle di don Giuseppe Cumbo che sono un invito alla speranza, alla speranza eterna, alla speranza cristiana, quella che non delude. Quella speranza che non è ottimismo, che promette alle persone giorni migliori ma è un invito a spostare il nostro sguardo al vero bene. Un invito a riavvicinarci a Dio e alla sua parola. Un invito che ci rimanda all’essenzialità dell’esistenza, a ciò che dà senso alla quotidianità, alla bellezza della vita familiare, alla qualità delle relazioni, alla capacità di accogliere Cristo nel nostro cuore.

È necessario che rimanga viva l’attenzione su Ravanusa, su quei volti, su quel quartiere, su quelle case. Ricordiamo per costruire il futuro di questo paese nella verità. Ricordiamo con le parole del professore Carmina, citato in un passaggio del messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricordando la strage: “…sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare…”.

Ricordiamo per rimetterci in cammino per risanare una ferita immensa perché “dopo la tempesta la luce in testa resta. La speranza di un domani migliore come duole il mio e il tuo cuore. Voglio il sole. Ci sarà un calore delle persone a riesca dare questo paese pieno di macerie ma il bene? Vede, provvede e vince sempre” (Giuseppe Rago).

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13/01/2022
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