Chiesa
di Tommaso Ciccotti
Papa Pio XII e l’olocausto
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Il capo archivista del Bundestag, lo storico tedesco Michael Feldkamp, si occupa da parecchi anni della ricerca su Papa Pio XII. Feldkamp che ha firmato pubblicazioni su diversi argomenti tra cui la nunziatura di Colonia e la diplomazia papale, così come articoli sul rapporto tra la Chiesa cattolica e il nazionalsocialismo, ha dedicato la sua opera del Duemila a “Pio XII e la Germania”. In questo suo lavoro lo storico mirava a portare il complesso stato della ricerca sul Pontefice al tempo dell’Olocausto ad un pubblico più ampio ed era anche intesa come una risposta al libro di John Cornwell Pio XII – “The Pope Who Remained Silent”.
Dottor Feldkamp, lei è stato nei giorni scorsi negli archivi vaticani e ha visto alcuni documenti finora sconosciuti su Pacelli/Pio XII. Cosa pensa che ci sia di nuovo nella ricerca su di lui che il grande pubblico non conosce ancora?
Innanzitutto c’è da sottolineare che noi in Germania non siamo gli unici a fare ricerche su Pio XII. Non ci sono solo storici in questo campo, ma anche giornalisti - di cui abbiamo bisogno anche come moltiplicatori. Ciò che è nuovo ora, anche se noi lo abbiamo sempre saputo, è che Pio XII sapeva dell’Olocausto da subito. Per quanto riguarda lo sterminio sistematico degli ebrei europei, Papa Pacelli inviò un messaggio al presidente americano Roosevelt nel marzo 1942 - due mesi dopo la conferenza di Wannsee. In esso lo avvertiva che qualcosa stava accadendo in Europa nelle zone di guerra. Questi messaggi non erano considerati credibili dagli americani. Oggi sappiamo (...) che Pio XII si occupava della persecuzione degli ebrei quasi quotidianamente. Gli erano stati presentati tutti i rapporti e aveva creato un proprio ufficio all’interno della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, dove il personale doveva occuparsi esclusivamente di tali questioni. C’era monsignor Domenico Tardini - che poi divenne un importante cardinale al Concilio Vaticano II - e c’era monsignor Dell’Acqua, anche lui più tardi cardinale. È anche considerato uno dei principali autori della Costituzione del Concilio Vaticano II sulla riconciliazione con gli ebrei la Nostra Aetate. Durante la Seconda Guerra mondiale, questi responsabili erano in strettissimo contatto con Pio XII: gli riferivano quotidianamente delle persecuzioni e delle deportazioni di massa, così come dei destini individuali di quanti si rivolgevano a loro. E la cosa straordinaria ora è che possiamo stimare che Pio XII salvò personalmente circa 15 mila ebrei attraverso i suoi sforzi personali: aprendo i monasteri e i chiostri in modo che le persone potessero essere nascoste lì. Questo fa un grande effetto! I reperti d’archivio che ho trovato ora in Vaticano mi mostrano con quanta precisione Pacelli fosse informato.
Lei ha detto che ciò che Papa Pacelli riferì sul destino degli ebrei non era considerato credibile, per così dire, dagli americani. Come reagirono la Santa Sede ma anche Papa Pio XII?
Come vede la storiografia di oggi e la sua rivalutazione dei dossier di Pio XII? I risultati sono presentati correttamente o teme che ci siano alcune riserve?
La rivalutazione di oggi può aiutare a chiarirlo. Ma ho anche paura che certi ambienti cercheranno ancora di ritrarlo negativamente. Credo che questo accadrà. Ma è certamente difficile accusare o voler accusare qualcuno di questo in dettaglio. Vedo anche nella mia ricerca e nelle pubblicazioni in Germania quanto sia difficile trasmettere questi nuovi risultati come credibili. Quindi, ci sono ancora persone che dicono che non possono immaginare che per 70 anni abbiamo creduto il falso e ora si suppone che sia diverso. Questo scetticismo lo incontro spesso, sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Quello a cui dobbiamo prestare attenzione, e che io ho sempre fatto, è di tenere presente che i risultati e i dossier sono tutti scritti in francese e soprattutto in italiano. E che la maggior parte dei miei colleghi, che sono storici e che sanno anche molto sulla seconda guerra mondiale, spesso non capiscono l’italiano. Ciò significa che ora dipendono dai colleghi che traducono, o dipendono da ciò che io poi presento e traduco. Naturalmente, cerco di tradurre in modo molto preciso e poi riporto le citazioni italiane in modo che la gente possa capire meglio, se necessario. Penso che si possa fare molto in questo campo… Abbiamo già avuto storie in cui le persone hanno semplicemente tradotto in modo errato o sono passate da una traduzione all’altra in modo altrettanto errato.