Chiesa
di Emilia Flocchini
Una nuova Beata e cinque Venerabili, volti lieti anche nella sofferenza
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Fece anche voto di non scrivere più nulla, lei che aveva collaborato a non poche riviste, se non per il Signore. Di fatto, lasciò ottantotto opuscoli, scritti interamente a mano e senza correzioni, indirizzati soprattutto alle monache e a quanti, compresi molti sacerdoti, ricorrevano ai suoi consigli.
Per sedici anni (ma nel triennio 1952-1955 non ebbe l’incarico), a partire dal 1936, fu badessa, ma ancora prima, da giovane professa, aveva compiuto con gioia i lavori più umili.
Negli anni ’50 del secolo scorso cominciò il suo declino fisico: prima una pleurite, poi una forma di artrite deformante la costrinsero a rallentare, quindi ad annullare i suoi impegni; dal 19 febbraio 1960 non si alzò più dal letto. Morì nel sonno, verso le 11 del 18 maggio 1963, unendo la propria agonia a quella del Papa san Giovanni XXIII.
Il decreto sull’eroicità delle sue virtù era stato promulgato il 10 ottobre 2016. A oggi le monache non abitano più il monastero di Fabriano, ma le sue spoglie sono ancora là.
Fu quindi trasferita all’ospedale Salesi di Ancona e posta in terapia intensiva. A quel punto intervennero i nonni materni, che, insieme alle Clarisse Cappuccine di Fabriano, iniziarono a ricorrere all’intercessione di madre Maria Costanza.
Il 29 novembre 1985 le condizioni migliorarono, tanto che il 7 dicembre successivo fu dichiarata risolta la principale sintomatologia che le era stata riscontrata. Negli anni successivi non si manifestarono neppure le temute sequele neurologiche, previste in caso fosse sopravvissuta.
Sotto lo sguardo della Madonna di Luján è vissuto il primo dei Venerabili, il cardinal Eduardo Francisco Pironio. Nato il 3 dicembre 1920 a Nueve de Julio in Argentina, ultimo dei ventitré figli di una coppia di emigrati friulani, ordinato sacerdote il 5 dicembre 1943 proprio nel santuario nazionale di Luján, lo stesso luogo dove ricevette l’ordinazione episcopale, il 31 maggio 1964.
Nella prima parte della sua esperienza sacerdotale si occupò a lungo della formazione dei futuri presbiteri, anche assumendo, nel 1960, l’incarico di rettore nel Seminario Metropolitano di Villa Devoto.
Vescovo ausiliare di La Plata dal 1964, dal 1967 amministratore apostolico di Avellaneda, e nel 1972 nominato vescovo residenziale di Mar del Plata, concentrò il suo impegno nel far recepire le indicazioni del Concilio Vaticano II. In particolare, lo fece all’interno della Conferenza Episcopale Latino-Americana (CELAM), prima come segretario, poi come presidente, specie nella II Conferenza di Medellín.
Una terza stagione della sua missione si aprì dopo che san Paolo VI, il quale aveva voluto che predicasse nel 1974 gli Esercizi Spirituali alla Curia Romana, lo nominò, il 18 settembre 1975, Pro-Prefetto della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari. A questa nomina seguì la porpora: il 24 maggio 1976, fu creato cardinale.
Proseguì quindi la recezione del Concilio Vaticano II seguendo numerosi capitoli generali, per il rinnovo delle Costituzioni e della vita religiosa. Sempre sulla scia conciliare si colloca la nomina, da parte di san Giovanni Paolo II, a presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, cui competeva il discernimento riguardo i nuovi Movimenti ecclesiali e l’organizzazione delle Giornate Mondiali della Gioventù. Incoraggiò anche la costituzione del Forum Internazionale di Azione Cattolica.
Proprio nel 1984, anno in cui cominciò a seguire quel Dicastero, al cardinale fu diagnosticato un tumore alla prostata; rinunciò alla carica il 6 agosto 1996. Le sue sofferenze si acuirono col passare del tempo, ma scrisse di volerle offrire «per la Chiesa, i sacerdoti, la vita consacrata, i laici, il Papa, la redenzione del mondo». È da poco caduto il ventiquattresimo anniversario della sua morte, avvenuta a Roma il 6 febbraio 1998.
Una malattia invalidante, l’osteomielite deformante degli arti, bloccò il cammino fisico del secondo nuovo Venerabile, ma non ne frenò l’amore per Dio e il sogno di consacrarsi a Lui. Aldo Brienza, nato a Campobasso il 15 agosto di cent’anni fa esatti, si ammalò quando aveva quasi quindici anni, studente di Ragioneria.
Consolidò l’impegno di offrirsi come vittima per la santificazione dei sacerdoti aderendo, il 25 marzo 1943, all’Ordine Secolare del Carmelo, col nome di fra Giuseppe dell’Addolorata. Quando fu chiaro che non poteva più alzarsi dal letto, ma anche che la sua vocazione religiosa (inizialmente aveva pensato di farsi certosino, ma durante le prime fasi della malattia si era appassionato al Carmelo) non aveva cedimenti, la Santa Sede gli concesse il 2 marzo 1948, lo speciale privilegio di poter vivere da carmelitano scalzo, ma fuori dal convento: professò quindi i voti l’11 maggio 1948, diventando fra Immacolato Giuseppe di Gesù.
La sua casa di piazza Cuoco 2 a Campobasso divenne un punto di riferimento per quanti si sentivano smarriti. Anche a lui capitavano momenti di notte oscura, ma non si sentiva mai abbandonato da Dio; invitava quindi a fare altrettanto, donando insegnamenti solidi e contribuendo con una preghiera incessante. Uscì dalla sua abitazione solo poche volte: tre per essere portato a Loreto, più altre per visite specialistiche e per andare a votare. Morì il 13 aprile 1989, a sessantasette anni.
Anche nella missione di suor Benigna Vittima di Gesù sono visibili le tracce di una materna tenerezza per i malati e di una cura integrale nei loro riguardi. Prima di assumere quel nome, si chiamava Maria da Conceiçao Santos; era nata a Diamantina, nello Stato brasiliano del Minas Gerais, il 16 agosto 1907.
Impegnata nell’animazione della liturgia e nella preghiera comunitaria in parrocchia, non trovò alcun ostacolo da parte dei familiari, quando manifestò l’intenzione di entrare nella congregazione delle Suore Ausiliatrici di Nostra Signora della Pietà. Entrò quindi in noviziato l’11 febbraio 1935, professando i primi voti il 19 marzo dell’anno seguente e quelli perpetui il 6 gennaio 1941.
Nei suoi servizi a Itaúna, Caeté, Lambari e Lavras, si pose accanto ai malati, ai poveri, agli anziani. Lei stessa era afflitta da prove fisiche, incomprensioni, pregiudizi anche su base razziale e tra le consorelle, ma si difendeva armandosi di autoironia e senso dell’umorismo. Persino nel periodo in cui visse praticamente segregata nella casa madre della congregazione non smise di compiere il bene. Dopo la sua morte, avvenuta il 16 ottobre 1981 a Belo Horizonte, non si spense il suo ricordo, alimentato anche dai numerosi gruppi di preghiera a suo nome.
Infine, quasi similmente a fra Immacolato Giuseppe di Gesù, anche suor Juana Méndez Romero, nata il 9 gennaio 1937 a Villanueva de Córdoba in Spagna, visse la consacrazione religiosa senza muoversi praticamente mai dal letto dove giaceva paralizzata.
La malattia, precisamente il tifo, si manifestò il 30 ottobre 1950, dopo il suo ingresso nel collegio delle Suore Operaie del Cuore di Gesù, congregazione di cui facevano già parte due sue sorelle e a cui suo padre era legato, in quanto lavorava in una tenuta della fondatrice, madre Maria Jesús Herruzo.
Poteva solo muovere la testa e le mani, con le quali realizzava piccoli lavori di cucito. Anche per lei fu necessario un permesso speciale perché venisse accolta, il 29 settembre 1963, come postulante. Emise la professione temporanea il 9 marzo 1966 e quella perpetua il 19 marzo 1973.
Suor Juanita, come era più conosciuta, non si sentì mai un peso per la comunità di Villanueva de Córdoba, anzi, si rese disponibile ad aiutare le altre consorelle ammalate, ma anche a fare da catechista per i bambini della Prima Comunione. Ogni occasione era da lei colta per offrire qualcosa a Dio, a beneficio dei peccatori e di quanti la facevano soffrire.
Peggiorò rapidamente nell’ultimo mese di vita: il 30 marzo, dopo una trasfusione entrò in coma, ma sembrò riprendersi. Si spense il 5 aprile 1990 senz’aver perso coscienza.