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di Roberto Signori
Amazon pagherà le donne che abortiscono
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Le accese polemiche suscitate dalla bozza della Corte Suprema americana in tema di aborto, e trapelata sui media grazia al sito Politico, sono destinate a durare settimane e forse l’intera estate. Anche perché rappresentano obiettivamente, al di là delle possibili (e auspicabili) conseguenze legali, una vittoria storica dei pro life.
La più alta e indipendente istanza giuridica degli Stati Uniti afferma, pur con mezzo secolo di ritardo, una fattuale verità: l’idea che l’aborto possa essere un diritto della donna – ignorando completamente la vita e la salute del bambino – è un’idea sbagliata. E dunque revocabile.
Nello stesso contesto esiste però un’altra America che si ostina a sostenere le vecchie posizioni pro choice. E che si sta manifestando, anche con violenza verbale non indifferente, in varie città degli Stati Uniti per protestare contro la possibile e ormai doverosa revoca della sentenza “Roe vs Wade”.
Contro questi progressi nella tutela della maternità e dell’infanzia, Jeff Bezos, il miliardario fondatore di Amazon, come riporta Famiglia Cristiana, «rimborserà le spese per tutti i dipendenti che decidono di interrompere la gravidanza per sé o per le loro mogli».
E questo sia, come detto, in rapporto al possibile annullamento della storica sentenza “Roe vs Wade” del 1973, sia a causa delle sacrosante limitazioni che molti Stati americani, solitamente a guida repubblicana, stanno introducendo alle leggi abortiste.
Leggi che i vari Stati avevano promulgato negli anni ’70 del secolo scorso, a seguito dell’iniqua sentenza che per la prima volta rendeva invisibile quel feto che tutti noi siamo stati. Ma quelle leggi non avevano nulla di scientifico ed erano palesemente il frutto di quella stagione trasgressiva e libertaria iniziata con il ’68.
Bezos quindi, per darsi le arie di buon progressista - e dopo che l’ormai ex moglie MacKanzie Scott ha finanziato a suon di milioni le famigerate associazioni pro aborto come Planned Parenthood - pagherà tutte le spese alle dipendenti dell’azienda (fino a 4000 dollari) le quali, per abortire - magari sino al nono mese di gravidanza - dovessero recarsi in uno Stato più permissivo di quello in cui abitualmente risiedono.