Chiesa
di Emilia Flocchini
Beati Leonardo Melki e Tommaso Saleh, fratelli tra popoli in guerra
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
Oggi, nel convento della Croce a Bqennaya presso Beirut, in Libano, vengono beatificati i padri Leonardo Melki e Tommaso Saleh, Cappuccini, morti da martiri in un periodo di persecuzioni che colpivano, indiscriminatamente, tutti i cristiani residenti in Turchia. Erano missionari in quei luoghi che allora cominciavano a essere scristianizzati, per continuare a portare il Vangelo e la pace; lo fecero inizialmente insieme, poi separati, ma di certo uniti nello spirito.
Il loro cammino tra i frati Cappuccini è iniziato quando alcuni di essi, provenienti da Beirut, arrivarono a Baabdath, villaggio tra i monti del Libano, i cui abitanti erano prevalentemente cristiani maroniti. Non facevano eccezione le famiglie di Youssef Oueiss (i suoi familiari hanno cambiato legalmente il cognome nel 1974), ovvero il futuro padre Leonardo, nato lì il 17 novembre 1881, e di Géries Saleh, vale a dire padre Tommaso, nato il 3 maggio 1879.
L’arrivo dei frati era dovuto ad alcune questioni irrisolte tra le famiglie del villaggio, alcune delle quali avevano subito gravi torti. Non era servito appellarsi né alle autorità della Chiesa maronita, né a quelle civili: per questa ragione, alcuni nuclei familiari vollero aggregarsi alla comunità di quaccheri presente sul territorio anche con scuole e strutture per i ragazzi. Ebbero però qualche perplessità, quando capirono che, per farsi protestanti, avrebbero dovuto abbandonare i Sacramenti come li conoscevano loro e anche la devozione alla Vergine Maria.
La Santa Sede prese in mano la situazione, inviando i Cappuccini in missione di pace. Il loro compito riuscì a tal punto che, dopo che le famiglie in questione avevano accettato di entrare nella Chiesa latina, ben cinque ragazzi di Baabdath chiesero loro come poter diventare missionari. Tra di essi c’erano Youssef e Géries, che avevano ricevuto la Cresima secondo il rito latino il 19 novembre 1893.
La loro nuova vita iniziò il 28 aprile 1895, con l’arrivo al Seminario serafico di Santo Stefano a Istanbul, facente parte dell’Istituto Apostolico d’Oriente, organismo per la formazione dei futuri missionari in Turchia e nei Paesi vicini. Con l’ingresso in noviziato, il 2 luglio 1899, cambiarono nome come d’uso: Youssef in onore di san Leonardo da Porto Maurizio, Géries per omaggiare san Tommaso d’Aquino.
Insieme proseguirono la formazione nel convento di Bugià, nei pressi di Smirne, e vennero ordinati sacerdoti il 4 dicembre 1904. Il 23 aprile 1906, con l’esame finale, ottennero l’abilitazione alla missione. Prima della partenza, poterono visitare brevemente il loro villaggio natale.
La loro prima destinazione fu Mardin, nella Missione della Mesopotamia, affidata alla Provincia Cappuccina di Lione. La Missione gestiva una scuola, nella quale padre Leonardo fu direttore e padre Tommaso insegnante. Oltre a questo compito, erano molto impegnati nella predicazione, nella confessione e nella guida dei Terziari francescani. Padre Tommaso, in particolare, cercava di portare i protestanti e i siro-ortodossi nella Chiesa cattolica, come insegnava l’ecclesiologia del tempo. Tra i giovani e i ragazzi spendevano le loro migliori energie, inventandosi spettacoli teatrali, poesie, ma anche giochi attraverso i quali far conoscere loro la Bibbia.
Nelle loro lettere al Ministro Generale dei Cappuccini trasfusero tutto il loro entusiasmo per la vita missionaria. Il 12 dicembre 1906, ad esempio, padre Tommaso scrisse:
«Quando siamo arrivati alla Missione della Mesopotamia, che la Divina Provvidenza ha voluto donarci per la nostra felicità, abbiamo subito potuto dedicarci al Ministero, perché la lingua araba non ci era sconosciuta».
Gli faceva eco padre Leonardo, in un’analoga missiva:
«Sono molto impegnato, ma anche molto felice».
Si separarono per la prima volta nell’ottobre 1908, dopo tredici anni di vita comunitaria. Padre Leonardo rimase a Mardin, ma, a causa di frequenti emicranie, venne inviato a Mamuret-ul-Aziz in Armenia Minore, sperando che il clima gli facesse bene. Tornò a Baabdath nel 1911, quindi, sempre per ragioni di salute, fu destinato al convento di Orfa o Urfa, l’antica Edessa.
Padre Tommaso ebbe invece il trasferimento a Kharput, in Armenia Minore e, due anni dopo, fu inviato a Diarbekir, in Mesopotamia. Come sempre, continuò la predicazione della fede, l’insegnamento, la catechesi e l’animazione dei Terziari. Rientrò in Libano temporaneamente durante la prima guerra mondiale.
Nella sua ultima lettera ai familiari, manifestò di condividere in pieno i loro timori, ma anche di fidarsi pienamente di Dio:
«La paura riguarda tutti, voi e me. Ma a che serve preoccuparci dal momento che neppure un capello cade dalla nostra testa senza che la volontà divina lo voglia?».
Quindi:
«La mia vita viene da Dio. Può prenderla quando vuole».
Anche padre Leonardo viveva costantemente nella fiducia in Dio e pregava per la pace:
«Voglia Dio por fine a questo stato di cose e faccia finire al più presto questa guerra, causa di molti mali»,
scrisse al Ministro Generale il 20 marzo 1912.
Oltre alla guerra c’erano altri motivi di preoccupazione per i cristiani che vivevano in Turchia, particolarmente per gli armeni. Dopo secoli di convivenza pacifica, già nel dicembre 1894 si erano verificati episodi di ostilità nei loro confronti, in tutto l’Impero Ottomano, ma con una particolare concentrazione proprio in Mesopotamia.
Padre Leonardo subì direttamente le conseguenze di quella persecuzione che si faceva sempre più sistematica. Il 5 dicembre 1914 mise in salvo il Santissimo Sacramento dalla chiesa dei Cappuccini, profanata da alcuni soldati, e pensò di portare al sicuro alcune suore, ma, ripensando all’anziano confratello con cui viveva, padre Daniele da Manoppello, decise di non abbandonarlo.
Il 9 febbraio 1915 ai frati rimase solo una stanza per ciascuno: ormai il convento era del tutto occupato. Pochi mesi dopo, cominciarono gli arresti in massa dei cristiani: tra il 23 e il 24 aprile 1915 a Costantinopoli cominciarono i massacri di quello che gli armeni ricordano come “Medz Yeghern” (“il grande male” o “il grande crimine”). Il 3 giugno, tra i primi esponenti ecclesiali, fu catturato monsignor Ignazio Maloyan, arcivescovo armeno cattolico. Due giorni dopo, fu la volta di padre Leonardo.
Fu interrogato, invitato a convertirsi all’Islam per avere salva la vita e, ogni volta che si rifiutava, gli inviti si trasformavano in percosse. Anche gli altri sacerdoti prigionieri con lui subivano lo stesso trattamento, ma non smettevano di pregare e, quando possibile, di celebrare l’Eucaristia. Invece padre Daniele, dopo alterne vicissitudini, venne deportato in Siria.
Insieme ai quattrocentosedici prigionieri che, il 10 giugno 1915, vennero fatti uscire dal carcere e avviati verso Diarbekir, c’era anche padre Leonardo, anzi, era in testa al gruppo. Come tutti gli altri, ancora una volta, affermò di non voler rinnegare la propria fede. I corpi dei condannati, uccisi a colpi di pietre e di armi da taglio, vennero gettati nelle caverne e nei pozzi vicini. L’indomani vennero assassinati gli altri duecentocinque prigionieri; l’ultimo fu monsignor Maloyan, che è stato beatificato nel 2001.
Intanto, padre Tommaso aveva accolto nel convento di Orfa un sacerdote cattolico armeno, rimasto privo della sua comunità; il tutto d’accordo con il padre guardiano, ovvero il suo immediato superiore. Il 24 settembre 1916, però, il convento venne perquisito in seguito all’arresto di quel sacerdote. Padre Tommaso venne accusato di averlo nascosto e di essere in possesso di una pistola di piccolo calibro; molto sicuramente, però, era stata posta tra gli oggetti sospetti da parte dei perquisitori.
Tre mesi dopo, in pieno inverno, i frati vennero chiamati a comparire in tribunale a Marasc. Dopo giorni di prigionia, torture e privazioni, padre Tommaso contrasse il tifo. I confratelli tentarono di fargli arrivare un medico: quando questi giunse, solo dopo che un sacerdote olandese aveva amministrato al malato gli ultimi Sacramenti, era troppo tardi. Dopo tre giorni di sofferenze, il 18 gennaio 1917, padre Tommaso morì.
La Custodia Generale Cappuccina del Vicino Oriente ha chiesto la formale apertura della loro causa congiunta, svolta, dopo il trasferimento del Tribunale di competenza, nel Vicariato Apostolico di Beirut dal 28 ottobre 2011 al 15 dicembre 2011. Il decreto sul martirio, invece, è stato promulgato il 27 ottobre 2020.
Nella sua lettera per l’occasione, fra Roberto Genuin, Ministro Generale dell’Ordine Cappuccino, sottolinea come i nuovi Beati richiamino i confratelli di oggi a tre aspetti: la formazione, per presentare al meglio la vocazione cappuccina; la totale dedizione alla missione, che ai loro tempi comportava un distacco davvero radicale; la fiducia in Dio anche in tempi di guerra e di persecuzione.