Storie

di Roberto Signori

Cristiani perseguitati nel mondo

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La persecuzione contro i cristiani non avviene solo nei loro Paesi, ma rischi di perpetuarsi anche tra coloro che si sono visti costretti ad abbandonare tutto per mettersi in salvo. Lo rivela un nuovo rapporto diffuso oggi da Open Doors, ong internazionale che attraverso la sua World Watch List tiene costantemente monitorate le situazioni di più grave persecuzione contro i cristiani nel mondo. Lo studio - intitolato “Chiesa profuga. Report 2022 su sfollati interni e rifugiati” e diffuso in vista della Giornata mondiale dei rifugiati che si celebra il 20 giugno - incrocia i dati sulla libertà religiosa a quelli che hanno portato recentemente l’Unhcr a indicare in 100 milioni il numero delle persone che nel mondo di oggi sono state costrette a fuggire dalle proprie comunità.

Il risultato che emerge è che in 58 dei primi 76 Paesi della World Watch List di Open Doors (vedi grafico qui sopra), sono presenti cristiani che dichiarano di essere stati forzatamente sfollati dalle proprie case a causa della propria identità religiosa. Tra gli sfollati interni - cioè coloro che sono stati costretti a lasciare le proprie case ma rimanendo entro i confini della propria nazione - quasi la metà (46%) proviene da 5 Paesi che sono presenti anche nella lista di quelli dove maggiormente i cristiani subiscono persecuzioni: Siria, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Colombia e Yemen. Anche il 68% dei rifugiati - cioè coloro che a causa di guerre e violenze si trovano a dover lasciare la propria nazione - proviene da 5 Paesi in cui si sperimenta un livello alto di discriminazione e persecuzione religiosa: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar.
Proprio questa forte sovrapposizione tra i Paesi di provenienza dei rifugiati e i Paesi noti come peggiori violatori della libertà religiosa al mondo, porta Open Doors a dire che una migliore comprensione del ruolo dell’identità religiosa sarebbe di vitale importanza per venire incontro alle necessità di chi fugge e in particolare delle minoranze cristiane. “Per avere un quadro completo sulla persecuzione religiosa, dobbiamo guardare sia alla Chiesa in patria che a quella in fuga”, commenta Helene Fisher, esperta del team che ha curato la ricerca. “Dividere le comunità religiose è parte di una strategia deliberata. Lo sfollamento non è solo un sottoprodotto della persecuzione, ma in molti casi è una parte intenzionale di una strategia più ampia per sradicare il cristianesimo dalla comunità o dal Paese”.

In Medio Oriente è emblematico il caso dell’Iraq dove secondo Open Doors sarebbero rimasti appena 166mila cristiani, contro il milione di ormai vent’anni fa. E anche dopo la sconfitta militare dell’Isis nel 2017 il ritorno degli sfollati resta tuttora ostacolato dalla mancanza di sicurezza e lo scarso sostegno da parte delle autorità nell’operazione di recupero delle proprietà perse negli ultimi dieci anni a causa del conflitto.

Per quanto riguarda la situazione del resto dell’Asia i principali fattori che portano le persone ad abbandonare le proprie case sono la famiglia e la comunità locale, con una forte pressione su chi si converte al cristianesimo da un’altra religione. Particolarmente grave il caso del Pakistan, dove le minoranze religiose vivono sotto l’ombra di leggi contro l’apostasia e la blasfemia che fanno sì che persino all’interno delle stesse famiglie una conversione possa essere vista come una minaccia al proprio onore.

L’instabilità politica e l’ascesa di gruppi religiosi estremisti sono altri fattori che alimentano lo sfollamento nella regione, come sta accadendo ad esempio in Myanmar, in particolare negli Stati Karen, Chin, Kayah and Kachin. In Corea del Nord, dove non viene consentita nessuna religione, chi fugge cerca maggiore libertà oltre confine, per esempio in Cina. Ma secondo un esperto regionale il Covid-19 ha complicato ulteriormente la situazione con la conseguenza che gli uomini nordcoreani sono ancora più esposti alle minacce di denunce da parte dei datori di lavoro cinesi, mentre le donne corrono il rischio di finire vittime della tratta.

Far crescere la consapevolezza sulla presenza di tanti cristiani tra gli sfollati interni e i richiedenti asilo – conclude Open Doors - è un modo anche per proteggerli nella loro fuga. Vi sono infatti situazioni in cui le loro sofferenze vanno avanti anche nei campi di accoglienza, proprio perché il tema della violenza di matrice religiosa non viene sufficientemente focalizzato. “In alcuni casi - spiega Eva Brown, Senior Specific Religious Persecution Analyst di Open Doors - i governi e persino le organizzazioni internazionali con buone intenzioni possono purtroppo essere complici nell’intensificare la discriminazione contro i cristiani sfollati. Ecco perché la consapevolezza di questa vulnerabilità a più livelli è vitale, in modo da poter affrontare al meglio i bisogni degli sfollati e dei rifugiati emarginati”.

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15/06/2022
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