Politica

di Mario Adinolfi

Sul fascismo

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Intervistato dai ragazzacci della Zanzara a Radio 24 sulla nascita di Alternativa per l’Italia con l’amico Simone Di Stefano che a differenza mia considera chiuso l’argomento, io ho ritenuto di dire cosa ovvia affermando che “il fascismo ha fatto anche cose buone”, frase ormai utilizzata dai luogocomunisti per dare dell’idiota o dell’ignorante a chiunque voglia avviare una discussione non pregiudiziale sul governo più lungo della storia italiana, quello durato dal 1922 al 1943 sotto la presidenza del Cav. Benito Mussolini. Dagospia ha adornato l’intervista con un fotomontaggio in cui mi si ritrae col fez (suggerisco a Roberto D’Agostino il più simpatico ritratto che è in calce a questo articolo) che è credibile quanto la titolazione sugli “italiani che stavano meglio” allora rispetto ad ora, frase da me mai pronunciata e la registrazione dell’intervista di 13 minuti è a disposizione di tutti, urla sconnesse di David Parenzo incluse.

Ora, a differenza di altri che armeggiano su questi argomenti per vie ideologiche, io non ho alcuna necessità di difendere il fascismo per ragioni di simpatia o adesione ideale mascherate. Io ho un solo problema, anzi due. Il primo problema, il più grande, è che qualche anno fa ho giurato a me stesso che avrei sempre e solo testimoniato la verità, senza paura e prescindendo da calcoli sulle conseguenze. Dunque se mi dicono che il fascismo è stato “male assoluto”, quindi solo male, ricordo che la definizione è di Gianfranco Fini e ne sorrido per molteplici ragioni. Il secondo problema, minore, è che sono un laureato in Storia. Di più, un laureato di un Dipartimento di Studi Storici Contemporanei che sono sempre stati la mia più segreta e assoluta passione fin da bambino, dipartimento che ha avuto l’onore di avere tra i suoi docenti a La Sapienza di Roma quel prof. Renzo De Felice che, esecrato da tutti, definiva il fascismo “biografia della nazione”. E questo è stato.

A sette anni i miei coetanei ogni settimana compravano Topolino, io uno dei 47 volumi tascabili della Bur da cui era composta la magnifica Storia d’Italia di Indro Montanelli (e Mario Cervi e Roberto Gervaso). I miei amici collezionavano le figurine Panini dei calciatori, io di un astruso e meraviglioso album chiamato La Storia (i miei genitori erano poveri, le bustine costavano 20 lire a differenza delle 100 lire delle Panini, piccola controindicazione: non avevo nessuno con cui scambiare i doppioni a ricreazione). Per tutte le prime classi delle elementari fui tormentato da un compagno di banco appassionato di fumetti di Tex, io opponevo La Storia d’Italia a fumetti firmata da Enzo Biagi. Adesso mia figlia Clara ha dodici anni e mi piacerebbe trasmetterle questa passione. Con Livia pure ho provato, con alterni risultati. Lo studio della storia sembra essere un vecchio arnese che a nessuno interessa più. Io invece l’ho studiata in maniera estremamente approfondita, amandola e non mi definisco personalmente uno “storico” solo perché ho studiato con alcuni che erano immensamente più colti di me e dunque mi sentirei inadeguato. Ma le nozioni fondamentali per esprimere un’opinione motivata e chiara sul fascismo le ho.

Ricapitoliamo. Non sono un simpatizzante fascista o neofascista, in alcun modo. Non traggo alcun vantaggio a impelagarmi in questa polemica, anzi, alcuni amici premurosi mi hanno detto di lasciar perdere perché il tema “è divisivo” e può farmi “perdere voti”. Ma ritengo che nei giorni in cui comincia l’avventura di Alternativa per l’Italia io abbia il dovere di scrivere qualcosa che resti sull’argomento, perché finché da italiani non risolveremo dal punto di vista storico la questione di due decenni di sostegno entusiasta e ampiamente maggioritario al regime che ebbe poi un tanto nefasto quanto tragico epilogo, cercando di indagarne le ragioni, noi non riusciremo mai a far pace con la nostra storia e con noi stessi.

Il fascismo dal punto di vista dell’ordinamento giuridico ha certamente varato leggi orrende e cariche di tragedia, non mi riferisco solo alle leggi sulla “difesa della razza” del 1938 o al decreto di ingresso in guerra nel 1940 al fianco della pazzia di Adolf Hitler, ma anche al pacchetto di “leggi fascistissime” che tra il 1925 e il 1926 trasformarono l’Italia in uno Stato totalitario guidato da un regime dittatoriale che cancellava le libertà democratiche e finanche elementi fondamentali della libertà d’espressione come la libertà di stampa. Il mio giudizio di “storico” (massì, per una volta passi questo momento di vanagloria) è più che netto su tutto il complesso di quelle leggi, le conosco bene e analiticamente, quindi non posso che condannarle con il massimo della decisione. Qualcuno a sinistra ne ho copiato lo spirito concependo ddl come il ddl Zan che un secolo dopo tornava a proporre il carcere per gli avversari politici. Grazie a Dio è stato battuto.

Il regime fascista ha goduto per quasi due decenni del consenso della stragrande maggioranza degli italiani, questo è un fatto. Perché è accaduto? A causa di una prolungata infatuazione collettiva innervata solo dall’ossessiva propaganda del regime? Per via delle minacce? Per violenza? No, non è andata così. Quel consenso si è stratificato anno dopo anno per via di una raffica di provvedimenti che hanno innovato l’Italia e migliorato le condizioni di vita delle classi subalterne. Questa è la pura verità. In sostanza la “nazionalizzazione delle masse” ha avuto buon gioco grazie alla capacità del governo di Benito Mussolini di migliorarne le concrete condizioni di vita. Come?

E qui veniamo al tema “Mussolini ha fatto qualcosa di buono”. Fatto che è storicamente innegabile e riscontrabile nell’ordinamento giuridico del Paese. Inail e Inps nascono rispettivamente nel 1933 e 1935. Prima, nel 1923 vengono istituite l’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia (sì, la pensione per invalidi e anziani) e nel 1926 l’assicurazione sull’assenza di lavoro (sì, il sussidio di disoccupazione è una invenzione fascista, non social-comunista). Nel 1928 ha esentato dalle tasse le famiglie numerose. La settimana lavorativa nel 1937 viene ridotta a 40 ore e nello stesso anno vengono istituiti gli assegni familiari, molto più ricchi in proporzione di quelli attuali. Con Cesare Mori il fascismo ha fatto la guerra vera alla mafia e alla massoneria, dal 1933 al 1939 ha bonificato le paludi in mezza Italia e fondato città dove prima c’erano acquitrini. Mussolini va al governo in un paese di analfabeti, in 14 anni raddoppieranno gli studenti nelle scuole di ogni ordine e grado. Nella mia città nascono il quartiere dell’Eur e il complesso del Foro Italico con lo Stadio dei Marmi. Vengono inaugurati i primi 436 km di linea autostradale italiana (con la Milano-Laghi e la Genova-Serravalle). Mussolini risponde alla crisi del 1929 con 37 miliardi in opere pubbliche (6.000 case popolari, 3.131 fabbricati economici popolari, 11.000 aule scolastiche, ponti e acquedotti che hanno portato l’acqua in casa a oltre dieci milioni di italiani) e nonostante tutti questi investimenti pubblici riesce a mantenere il pareggio di bilancio. Mussolini ha fondato la Fao, l’Imi, l’Iri, le casse rurali e artigiane, ha portato sotto controllo pubblico la Banca d’Italia, ha abrogato la schiavitù in Etiopia, ha istituito i parchi nazionali dello Stelvio, del Gran Paradiso, dell’Abruzzo e del Circeo, ha stabilito l’obbligo scolastico fino a 14 anni. Tutte queste sono cose buone.

Voler negare le evidenze del male rappresentato dal fascismo e della ragione per cui ha goduto di ampio consenso, che risiede in una capacità di governo degli italiani che ne ha migliorato le concrete condizioni di vita, significa negarsi all’analisi storica e consegnarsi a quella ideologica priva di verità. E io, pure in una fase politica complessa, questo atto di disonestà intellettuale rispetto a una fase determinante della storia d’Italia non voglio compierlo, anche se mi converrebbe. Dire ciò che è andato e ciò che non è andato ha il doppio svantaggio di scontentare sia gli antifascisti che i nostalgici. Ma tant’è, spero che attraverso questo scritto scopriate qualcosa che non sapevate del nostro passato, che poi qui risiede l’attività del giornalista e dello storico. Il quotidiano La Repubblica, attraverso uno dei suoi inviati, dopo la fondazione di Alternativa per l’Italia mi ha esplicitamente accusato di omofobia e simpatie fasciste. Omofobo non lo sono, fascista non lo sono mai stato. Lo è stato invece il fondatore di Repubblica, i cui numerosi articoli in lode del regime sono reperibili su riviste come Roma Fascista fino al giugno del 1943, ben oltre l’adozione nel 1938 delle orrende leggi razziali, ben oltre la tragica entrata in guerra nel 1940 al fianco di Hitler e dei nazisti che rastrellarono il ghetto ebraico di Roma e appena un mese prima della caduta del regime. Il fondatore di Repubblica, del tuo giornale caro Paolo Berizzi, è stato per anni e anni fascista. Io no.

Dedico questo articolo alla memoria di Indro Montanelli, perché il giornalismo e il racconto storico sono compiti da svolgere come sempre li svolse lui, con onestà intellettuale e senza paura degli oppositori animati dal pregiudizio. La loro stupidità li rende rumorosi ma innocui, persino quando colpiscono per provare ad eliminarti.

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14/07/2022
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S.Giovanni Damasceno

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