Società

di Giuseppe Udinov

Turchia: cresce la censura di Erdogan

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A meno di un anno dalle elezioni presidenziali del giugno 2023 il governo di Ankara, su impulso del partito di maggioranza Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), vuole approvare una nuova norma che attivisti e opposizioni definiscono “liberticida”. Al centro della controversia la cosiddetta “Legge sulla disinformazione”, formata da una quarantina di emendamenti circa la metà dei quali già approvati dal Parlamento. Il voto finale con l’entrata in vigore dovrebbe essere effettuato entro la fine della settimana, ma da giorni si levano voci critiche e timori di una ulteriore repressione in una nazione già teatro di attacchi alla stampa e al dissenso.

L’ultimo grido d’allarme è lanciato dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia), secondo cui le pene detentive e gli altri provvedimenti conseguenza della norma sarebbero “sproporzionati” rispetto agli obiettivi. Inoltre, per come è formulata dalla leadership turca - con Erdogan già vittorioso nel 2014 e nel 2018 in occasione del voto anticipato dopo la riforma in chiave presidenziale, e in cerca di un nuovo mandato - essa rischia di determinare “restrizioni arbitrarie della libertà di espressione”.

Per il governo la legge affronta il tema della disinformazione a mezzo stampa e sui social e va approvato in tempi brevissimi, in modo da farne valere gli effetti durante la campagna elettorale per il doppio voto - parlamentare e presidenziale - del prossimo anno. I partiti di opposizione e i gruppi dell’informazione temono in particolare un comma della nuova legge, secondo cui chiunque diffonda false informazioni sulla sicurezza del Paese per creare paura o disturbare l’ordine pubblico sarà punito con il carcere da uno a tre anni.

In una nota la Commissione di Venezia esprime la propria preoccupazione “per le potenziali conseguenze di tale disposizione”, in particolare “l’aumento dei casi di autocensura” in vista del voto del 2023. Il disegno di legge, prosegue la dichiarazione, rappresenta una “interferenza con la libertà di espressione” che è tutelata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Per questo è necessario chiarirne con precisione i termini e respingere gli emendamenti che rappresentano fonte di controversia. Nel rapporto di 23 pagine gli esperti concludono ricordando che vi sono “metodi alternativi” e “non criminali” per “contrastare la disinformazione in una società democratica”.

La bozza prevede che quanti lavorano per portali di notizie su internet siano considerati giornalisti e potranno richiedere al Dipartimento della Comunicazione un accredito stampa. I dipendenti pubblici che lavorano nei servizi di informazione nelle istituzioni pubbliche, nelle radio e nelle televisioni saranno anch’essi destinatari dell’accredito. Inoltre, i portali di informazioni rientreranno nel novero delle pubblicazioni periodiche. Attivisti e critici sottolineano come la norma si inserisca nel solco di una decennale repressione della libertà di parola sotto Erdogan, confermata anche da inchieste recenti. Una indagine della Reuters ha dimostrato come i media tradizionali siano diventati una ”stretta catena di comando” di titoli ”approvati dal governo”.

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11/10/2022
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