Chiesa

di Emilia Flocchini

12 Beati Redentoristi di Madrid, fedeli e pronti al perdono

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Ancora una volta, la cattedrale di Santa Maria la Real de la Almudena a Madrid è oggi sede della beatificazione di un gruppo di martiri uccisi durante la persecuzione religiosa connessa alla guerra civile spagnola. Sono padre Vicente Nicasio Renuncio Toribio e undici compagni, tutti appartenuti alle case di Madrid della Congregazione del Santissimo Redentore. Il periodo delle loro uccisioni va dal 20 luglio al 7 novembre 1936.

Erano consapevoli di correre un grande rischio, vivendo da consacrati in un tempo nel quale gli atti persecutori contro la Chiesa erano diventati sempre più frequenti. Nondimeno, si affidarono totalmente alla Provvidenza e alla volontà divina. Per questa ragione, godettero sempre di fama di martiri, all’interno e all’esterno della Congregazione.

L’inchiesta diocesana sul loro presunto martirio si svolse a Madrid dal 19 settembre 2006 al 27 novembre 2007, mentre il decreto sul martirio è stato promulgato il 24 aprile 2021. A presiedere la Messa col Rito di Beatificazione (in diretta dalle 11 sul canale YouTube dell’arcidiocesi di Madrid) è il cardinal Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi. Prima di loro, il 13 ottobre 2013, nella celebrazione in cui furono beatificati in tutto cinquecentoventidue martiri in Spagna nella stessa persecuzione, era stato il turno di padre José Javier Gorosterratzu e cinque compagni, della comunità redentorista di Cuenca.

La Congregazione del Santissimo Redentore, fondata da sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel 1732, si stabilì a Madrid nel 1869, in cerca di rifugio dalle persecuzioni subite nelle altre case spagnole durante la rivoluzione del 1868. Dopo essere passati per varie case, nel 1870 i Redentoristi si stabilirono nel 1870 vicino alla chiesa di San Pasquale, sul Paseo Recoletos. Vi rimasero fino a quando, nel 1879, il cardinale Moreno concesse loro la chiesa di Santa Barbara, detta “delle Salesie” (Salesie è sinonimo di Visitandine). Fu questa la prima residenza canonica che i figli di sant’Alfonso ebbero a Madrid.

Nel 1892, il Nunzio Apostolico in Spagna affidò ai Redentoristi la Basilica Pontificia di San Michele Arcangelo a Madrid: i religiosi si stabilirono allora nella casa adiacente, in piazza del Conde de Miranda. Dall’8 novembre 1959, i Redentoristi non sono più presenti in quella casa.

Un residuo della comunità rimase a Santa Barbara fino al 6 luglio dello stesso anno, quando l’icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, copia dell’originale affidato ai Redentoristi da papa Pio IX e venerato nella chiesa di Sant’Alfonso a Roma, venne trasferita in processione e, con essa, la comunità redentorista: la nuova sede fu il Santuario del Perpetuo Soccorso, in via Garcilaso (oggi via Manuel Silvela 14).

Nel giugno 1936 giunse da Roma la nomina dei superiori per il triennio 1936-1939 e il riadattamento del personale nelle comunità redentoriste. I cambiamenti ebbero luogo all’inizio di luglio 1936; poco dopo, col sollevamento militare del 18 luglio, ebbe inizio la guerra civile spagnola.

Il 19 luglio, secondo quanto attestano i documenti contemporanei, la comunità di San Michele poté celebrare la solennità del Santissimo Redentore, secondo il calendario della Congregazione. Alcuni membri scelsero di dormire fuori dalla casa; rientrarono al mattino seguente, per poter celebrare l’Eucaristia.

Il 20 luglio furono celebrate solo due Messe, a porte aperte, a causa del tumulto crescente, seguito anche all’attacco alla caserma della Montagna. Quindi i religiosi chiusero le porte della chiesa, consumarono le Sacre Specie per evitare profanazioni e uscirono a piccoli gruppi verso i rifugi che avevano concordato. Il giorno dopo, la sacrestia della basilica venne data alle fiamme.

Quasi lo stesso avvenne al Perpetuo Soccorso, dove fu possibile celebrare le Messe sia della solennità del Redentore, sia del giorno seguente; anche alcuni religiosi di quella comunità pernottarono fuori. Il 21 furono celebrate solo le prime Messe del mattino. Subito dopo, fu consumato il Santissimo Sacramento: le porte del santuario furono chiuse e lo rimasero fino alla fine della guerra. La comunità si riunì per mangiare prima dell’orario abituale. Poco dopo, tutti i religiosi, già vestiti in abiti civili, si dispersero.

A capo del gruppo dei dodici martiri è stato posto padre Vicente Nicasio Renuncio Toribio, nato a Villayuda presso Burgos l’11 settembre 1876. Desideroso di diventare sacerdote, entrò nel Seminario diocesano di Burgos. Tentò poi di unirsi ai gesuiti, ma uno dei Redentoristi impegnati in una missione al popolo ad Agés incoraggiò i suoi genitori di Vicente a farlo entrare a El Espino, sede del Seminario redentorista in Spagna. Vicente professò i voti nel 1895 e fu ordinato sacerdote nel 1901. La formazione degli alunni del Seminario minore e la predicazione delle missioni al popolo furono gli aspetti principali del suo ministero.

Allo scoppio della guerra civile spagnola, era prefetto della comunità del Perpetuo Soccorso a Madrid. Passò di rifugio in rifugio, fino a essere gettato nel carcere Modelo di Madrid, dove rimase per due mesi. Dato che, durante le sue fughe, era stato riconosciuto da un gruppo di bambini, decise di distruggere i propri documenti d’identità: questo fatto contribuì alla sua carcerazione.

Con l’ingresso in carcere, adottò un’identità fittizia, ma non troppo: Nicasio Manzanedo Arnáiz, ovvero il suo secondo nome di Battesimo e i secondi cognomi dei suoi genitori. La sua delicatezza spirituale e la sua coscienza gli impedivano di mentire, ma del resto sapeva che la sua vera identità lo avrebbe portato alla morte. In quel modo, poteva quindi rimanere nascosto, senza però dire il falso sul proprio conto. Non mentì del tutto neanche sul proprio lavoro: dichiarò di essere un impiegato commerciale, visto che si era occupato dell’amministrazione della rivista «Il Perpetuo Soccorso», dell’omonimo santuario.

Il 7 novembre 1936, quando gli fu annunciato che sarebbe stato ucciso, uscì dalla cella dichiarando:

«Offro la mia vita per i miei confratelli della Spagna, per tutta la Congregazione e per la sventurata Spagna».

Facevano invece parte della comunità di San Michele i primi tre martiri in ordine cronologico, uccisi il 20 luglio 1936. Erano padre Crescencio Severo Ortiz Blanco, padre Ángel Martínez Miquélez e fratel Gabriele Sáiz Gutiérrez.

Il primo nacque a Pamplona il 10 marzo 1881. Emigrò con la famiglia prima a Vitoria, poi a Villareal, dove iniziò ad andare a scuola. Tornato a Pamplona con i familiari e terminata la scuola, cominciò a cercare lavoro, ma nulla lo soddisfaceva. Lo attraeva di più la vita dei padri Redentoristi della basilica di Sant’Ignazio, tanto che, a dodici anni, entrò nella loro Congregazione.

Professò i voti il 24 settembre 1900 e fu ordinato sacerdote il 28 dicembre 1905. Fece parte delle comunità di Astorga, Cuenca, Valencia e Barcellona, impegnato prima come professore di Filosofia, poi nelle missioni al popolo. Il 13 luglio 1936, appena cinque giorni prima dell’inizio della guerra, arrivò a Madrid.

Padre Ángel nacque il 2 marzo 1907 a Funes in Navarra. A cinque anni si trasferì in Argentina con la famiglia, ma il tentativo di fare fortuna durò poco. Rimasto orfano di madre a otto anni, poco dopo il rientro in Spagna, fu affidato alle cure della zia Maddalena, che era anche la sua madrina di Battesimo. Suo padre riuscì poi a farlo ammettere gratuitamente come interno nel collegio degli Scolopi di Pamplona. Durante una missione al popolo che i padri Redentoristi diedero a Funes, la zia Margherita parlò loro del nipote. I religiosi vollero incontrarlo appena poté tornare dal collegio e, saggiata la sua vocazione, lo portarono a El Espino, sede dello juniorato della loro Congregazione.

Emise la professione religiosa nel 1925 e fu ordinato sacerdote nel 1930. Fu professore di Filosofia e di Lettere presso lo Studentato di Astorga, finché un esaurimento nervoso non lo costrinse al riposo. Nel maggio 1934 lasciò l’insegnamento per diventare segretario particolare del Padre Provinciale presso la comunità del Perpetuo Soccorso a Madrid. Due anni dopo, nel giugno 1936, fu destinato all’altra comunità madrilena, dove avrebbe dovuto prendersi cura dei giovani.

Fratel Gabriele, al secolo, si chiamava Bernardo ed era nato il 23 luglio 1896 a Melgosa presso Burgos. Da bambino, si sentì incline allo stato religioso, ma i suoi genitori si opposero. Riuscì a entrare tra i Redentoristi nel 1919, grazie a sua sorella e dopo aver pregato a lungo la Madonna del Perpetuo Soccorso. Il 13 novembre 1920 emise la professione religiosa, assumendo il nuovo nome. Il 25 marzo 1924 professò i voti perpetui. In tutte le comunità di cui fece parte svolse il compito di cuoco, distinguendosi per disponibilità e per la sua vita di preghiera. Faceva parte della comunità di San Michele quando scoppiò la guerra: a differenza di altri confratelli che erano usciti di casa per la notte del 19, lui rimase, sentendosi pronto al martirio.

La sera del 19 luglio, padre Crescencio e il confratello padre Calvo cercarono riparo nella Torre dei Lujanes, ma gli amici di padre Calvo che avrebbero dovuto ospitarli non lo fecero: temevano, infatti, che ospitare dei religiosi li avrebbe messi in pericolo. Il solo padre Crescencio rientrò in comunità, uscendone di nuovo dopo il pranzo del 20; con lui c’erano padre Ángel e fratel Gabriele. Tutti e tre, appena scesi in strada, vennero sorpresi da un gruppo di miliziani, quindi assassinati nel parco pubblico madrileno di Casa del Campo.

Il 16 agosto 1936, di fronte al plotone di esecuzione, comparvero due fratelli coadiutori, ossia religiosi non sacerdoti: fratel Gregorio Zugasti Fernández de Esquide e fratel Nicesio Pérez del Palomar Quincoces. Il primo non aveva voluto abbandonare il secondo, settantasettenne e praticamente cieco; con lui era uscito dalla comunità del Perpetuo Soccorso il 19 luglio e con lui era stato arrestato il 14 agosto.

Fratel Gregorio cadde per primo, mentre fratel Nicesio, che da giovane aveva militato con determinazione nell’esercito carlista, ebbe la forza di rivolgersi al capo del plotone:

«E hai il coraggio di uccidere un vecchio che potrebbe essere tuo padre e persino tuo nonno?».

Chiese quindi di poter dire un’ultima preghiera prima che gli sparassero; fu accontentato, proprio per il comportamento che aveva dimostrato.

Fratel Gregorio era navarrino di nascita, precisamente di Murillo de Yerri, essendo venuto alla luce il 12 marzo 1884. Nel 1906 entrò come postulante nella Congregazione del Santissimo Redentore a Pamplona in Navarra; pochi mesi dopo andò ad Astorga. Fu postulante con la professione di apprendista cuoco per due anni ad Astorga. Nel marzo 1908 si recò, per iniziare il noviziato, a El Espino presso Burgos. A maggio fu assegnato alla comunità del Perpetuo Soccorso, sempre come novizio, con l’ufficio di assistente nell’amministrazione della rivista «Il Perpetuo Soccorso». Salvo un breve periodo come infermiere nella comunità di San Filippo a Cuenca, trascorse il resto della vita nel servizio editoriale a Madrid.

Fratel Nicesio era nativo di Tuesta, nell’Álava; la data di nascita è 2 aprile 1859. Con la stessa determinazione mostrata sui campi di battaglia entrò come postulante tra i Redentoristi a El Espino; aveva poco meno di venticinque anni e gli fu affidato il mestiere di falegname. Approfondì le sue conoscenze di orticoltura a Contamine, in Francia, poco dopo aver professato i voti; poi affiancò un confratello più esperto per diventare capomastro. A seconda delle necessità dei confratelli, veniva inviato ora in una casa, ora in un’altra. Anche se impegnato nei lavori più disparati, non perdeva mai lo spirito di preghiera.

Fu probabilmente ucciso il 18 agosto un altro fratello coadiutore del Perpetuo soccorso, fratel Aniceto Lizasoain Lizaso, che nacque a Irañeta, villaggio in Navarra, il 17 aprile 1877. Quando ebbe dodici anni, nel febbraio 1889, entrò tra i Redentoristi a El Espino. Ebbe molti problemi nella formazione perché parlava solo in basco, la sua lingua madre, e perché non era affatto portato per la speculazione filosofica. Per questa ragione, i superiori lo posero di fronte a un’alternativa: o lasciare la vita religiosa, o continuare come fratello coadiutore. Decise di restare, prestandosi a tutti i servizi possibili, ma portando in cuore il rimpianto di non essere diventato sacerdote.

Il 19 luglio 1936, il giorno dopo lo scoppio della guerra, lasciò la comunità. Per circa un mese si rifugiò nell’abitazione della signora Emilia Alcázar, vicino al santuario del Perpetuo Soccorso, disponendosi a offrire la vita per Cristo. Dal 14 agosto fu ospite di una signora russa di nome Lydia, la quale, due giorni dopo, denunciò la sua presenza a un gruppo di miliziani. Fratel Aniceto prese tempo cercando di distruggere il suo diario, ma i miliziani lo colsero mentre gettava i suoi appunti nella stanza da bagno.

Si trovarono uniti nella preparazione al martirio, anche se i loro corpi furono trovati in due luoghi distinti, due tra i più giovani del gruppo dei dodici, ciascuno in rappresentanza della propria categoria di religiosi: padre José María Urruchi Ortiz, 27 anni, e fratel Pasquale Erviti Insausti, 34 anni non ancora compiuti.

Padre José nacque a Miranda de Ebro, non lontano da Burgos, il 17 febbraio 1909. Ancora ragazzo cominciò a frequentare i Redentoristi di El Espino, poco distante dal suo villaggio, ma non poteva entrare in Seminario a causa delle ristrettezze familiari. Accolto dal rettore, cominciò la sua formazione, a prezzo di gravi fatiche. Emise la professione religiosa nel 1927 e fu ordinato sacerdote il 2 ottobre 1932; tuttavia, aveva cominciato ad avere seri problemi psicologici, che gli causavano scrupoli. Nel tentativo di uscire da quella situazione, peregrinò per varie comunità, fino ad arrivare a quella del Perpetuo Soccorso a Madrid, poco prima che scoppiasse la guerra.

José Joaquín Erviti Insausti, questo il nome al secolo di fratel Pasquale, nacque invece a Imotz in Navarra il 15 novembre 1902. Desiderava diventare sacerdote, ma incontrò l’opposizione di suo padre, il quale si convinse solo quando il figlio aveva sedici anni; tuttavia, per l’epoca, era in età troppo avanzata per iniziare la formazione. Dopo aver seguito due corsi di Esercizi Spirituali, fu più convinto della sua scelta; dovette tuttavia attendere la morte del padre prima di entrare in noviziato tra i Redentoristi. Professò i primi voti il 24 febbraio 1930. Visse nelle comunità di Astorga e del Perpetuo Soccorso a Madrid, occupandosi delle stalle e della cucina.

Inizialmente si rifugiò a casa della signora Emilia Alcázar, ma scambiò nascondiglio con fratel Massimo Perea Pinedo, il quale si trovava in casa del signor Roberto Nandín, insieme a padre José María. Nel tempo in cui vissero nascosti fecero praticamente vita monastica: ogni giorno, il religioso sacerdote poteva celebrare la Messa.

Il 21 agosto, alcuni miliziani arrivarono per compiere una perquisizione e arrestarono i due religiosi e il padrone di casa. Padre José María fu martirizzato nelle prime ore del 22 agosto, mentre il suo cadavere fu rinvenuto sulla strada per l’Andalusia. Lo stesso giorno venne trovato, dalla Croce Rossa, il cadavere di fratel Pasquale, nella località Pradera (forse Pradera di San Isidro), sempre nei confini municipali di Madrid.

È un martirio condiviso, anzi, che travalica le distinzioni tra le congregazioni e le società simili, anche quello che ha unito padre Antonio Girón González e un sacerdote della Congregazione della Missione, padre Manuel Requejo Pérez (beatificato l’11 novembre 2017 con altri trentotto martiri Vincenziani). Si trovavano entrambi nell’ospizio delle Piccole Sorelle dei Poveri in via Doctor Ezquerdo, nascosti fra gli anziani ospiti: solo la superiora delle suore e la sua assistente conoscevano la loro vera identità.

Il 25 agosto, l’ospizio fu sequestrato da un gruppo di miliziani, i quali, il 30 agosto, sottoposero i due religiosi a un interrogatorio, quindi li portarono via a bordo di un camion. Prima di morire, padre Manuel e padre Antonio si confessarono a vicenda e continuarono a tenere il Rosario tra le mani, pregando fino all’ultimo istante.

Padre Antonio era nato a Campo, vicino a Ponferrada, nella provincia di León, l’11 dicembre 1871. Dovette superare le resistenze dei suoi familiari per entrare prima nel Seminario diocesano di Astorga come esterno, poi tra i Redentoristi. Professò i voti nel 1889 e fu ordinato sacerdote il 19 maggio 1894. Tormentato dagli scrupoli, chiese di potersi ritirare da ogni attività pubblica. I superiori, però, apprezzavano le sue notevoli capacità intellettuali e la sua profonda vita interiore: lo destinarono quindi all’insegnamento e alla formazione dei giovani religiosi e lo vollero consultore provinciale.

Faceva parte da poco tempo della comunità del Perpetuo Soccorso. Quando essa fu dispersa, venne accolto da una famiglia che abitava dietro il santuario del Perpetuo Soccorso, ma la lasciò perché desiderava celebrare la Messa. Si nascose allora nell’ospizio delle Piccole Sorelle dei Poveri in via Almagro, ma il 15 agosto, avvertito di una perquisizione, fu accompagnato nell’ospizio delle stesse suore da un anziano che poi lo tradì. In teoria, gli ospizi delle Piccole Sorelle dei Poveri sembravano al sicuro, dato che erano gestiti da una congregazione francese; la realtà fu molto diversa.

Fratel Donato Jiménez Bibiano aveva conosciuto i Redentoristi durante una missione al popolo nel villaggio dov’era nato il 21 marzo 1873, ovvero Alaejos, fra Valladolid e Salamanca: da ragazzo monello divenne un religioso felice, capace di superare anche una grave crisi vocazionale. S’impegnò, oltre che come superiore di varie comunità, di trovare candidati ideali alla vocazione redentorista, proprio com’era successo a lui: uno di questi fu il già citato padre Ángel Martínez Miquélez.

Lasicata la casa di San Michele, dove risiedeva dal 23 giugno, dopo la cena del 19 luglio, fino al 12 settembre visse ospitato da un amico; il giorno seguente fu arrestato e condotto alla checa (prigione improvvisata) di Fomento. Inizialmente ottimista circa la propria liberazione, dopo un interrogatorio capì di non poter fare altro che prepararsi a morire per la fede. Questo avvenne alle prime ore del 18 settembre 1936, al sodicesimo chilometro della via per la Francia, nel territorio dell’allora città di Fuencarral.

Prima di padre Vicente, scelto come capogruppo ma ultimo a morire da martire, era stato ucciso il già citato fratel Massimo Perea Pinedo, al secolo Rafael. Nacque a Villalba de Losa, nella provincia di Burgos, il 24 ottobre 1903. Padre Orive, redentorista, impegnato in una missione al popolo in una città vicina, lo conobbe e l’incoraggiò a diventare missionario. Nel settembre del 1915 entrò a El Espino, dove erano novizi suo fratello Eduardo e il loro cugino Daniel Pinedo, ma al terzo anno rientrò in famiglia per difficoltà nello studio, causate anche da problemi alla vista.

Trovò lavoro come fattorino nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Valladolid, ma il 19 febbraio 1921, dopo aver partecipato all’ordinazione sacerdotale di suo fratello e del cugino, concordò col primo che avrebbe fatto domanda di nuovo fra i Redentoristi, ma come fratello coadiutore. Professò i voti nel 1923.

Trascorse la maggior parte della sua vita nelle case di Astorga e del Perpetuo Soccorso a Madrid, con le mansioni di portinaio, sacrestano, economo e cuoco. Anche lui passò di rifugio in rifugio: dopo essersi scambiato con fratel Pasquale, visse in casa della signora Emilia Alcázar vedova Hortelano, dov’era ospitato anche fratel Aniceto Lizasoain Lizaso. Non rimase molti giorni nemmeno là: si nascose allora in via Jenner 5, dove incontrò il confratello padre Morán, che gli procurò dei documenti falsi. Quando anche quel nascondiglio fu perquisito, cominciò a vagare senza meta; trovò persino lavoro in un caseificio.

Si trovava in una pensione quando, alle due del mattino del 2 novembre 1936, fu portato via insieme a un giovane, Ángel Bellot: quest’ultimo tornò alle quattro del mattino seguente, mentre dell’altro si seppe solo inseguito che era stato fucilato dopo che si era finto muratore e contadino, ma aveva finito col dichiarare la sua vera identità.

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22/10/2022
2809/2023
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