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di Mario Adinolfi

CONTRO L’ABORTO - CON LE 17 REGOLE PER VIVERE FELICI 3

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Capitolo 3 - Tutto basato su dati falsi

Ma come è potuto accadere che un elemento indiscutibile, di radice plurimillenaria, come lo stigma sociale attorno all’aborto possa essere stato abbattuto? Per migliaia di anni la cultura occidentale ha fortemente condannato la soppressione dei figli in grembo e non, come erroneamente si dice abitualmente, a causa del cristianesimo. Già il giuramento di Ipprocrate del IV secolo prima di Cristo imponeva alla professione medica di non somministrare farmaci che potesse causare l’aborto. Millenni così, poi arrivarono i maledetti Anni Settanta, gli anni della follia omicida figli della sventagliata di mitra sui valori tradizionali che fu il Sessantotto.

In Italia i primi a presentare un progetto di legge per la legalizzazione dell’aborto furono i socialisti nel 1971, proprio l’anno in cui mia madre mi partorì. Nella relazione introduttiva del ddl con cui si accompagnano di solito i progetti al momento di depositarli in Parlamento, il Psi scriveva che in Italia c’erano tre milioni di aborti clandestini l’anno che causavano la morte di ventimila donne ogni dodici mesi. Dati falsi. Di più, totalmente inventati. Ma subito arrivò la certificazione degli organi di stampa. Allora non c’era l’espressione “fake news”, ma quella a sostegno dell’introduzione dell’aborto legale in Italia fu la più grande e clamorosa campagna di fake news che l’Italia ricordi.

Il 1971 era l’anno in cui l’Espresso si rendeva protagonista della vergognosa lettera contro il commissario di polizia Luigi Calabresi, firmata da tutta la sinistra che contava in Italia. Quella lettera fu come additare Calabresi alle pallottole di Ovidio Bompressi che gli sparò alle spalle, mandato dai leader di Lotta Continua, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Era l’Espresso di Eugenio Scalfari e di Camilla Cederna, che poi con un’altra inchiesta vergognosamente basata su falsi accertati causò le dimissioni nel 1978 da presidente della Repubblica del democristiano Giovanni Leone. E proprio nel 1978, pochi giorni dopo l’assassinio da parte delle Brigate Rosse del presidente della Dc, Aldo Moro, la legge 194 rendeva possibile l’aborto legale in Italia. L’Espresso aveva sostenuto in una serie di articoli i dati della relazione socialista e stabilì che la forchetta degli aborti clandestini in Italia era da collocarsi “tra gli ottocentomila e i tre milioni”. Il Corriere della Sera non volle essere da meno e in un articolo del 10 settembre 1976 scrisse che gli aborti clandestini annuali erano “tra un milione e mezzo e i tre milioni”.

A cementare le colossali bufale che uscivano sui giornali ci pensò la casa editrice Marsilio che per i suoi tipi fece uscire nel 1973 il terribile testo di Giuliana Beltrami e Sergio Veneziani intitolato Da Erode a Pilato in cui si afferma che gli aborti in Italia sono “quattro volte le nascite” (a allora nascevano più di un milione di bambini l’anno) e che ci sono molte italiane che hanno abortito clandestinamente dieci o venti volte. Poi ci si mise Francesco Guccini con la sua canzonetta abortista Piccola storia ignobile e il brodo di cultura era al completo: azione politica socialista, schieramento della potenza mediatica de l’Espresso e de Il Corriere della Sera, editoria accademica, cantautorato militante: un blocco negli Anni Settanta difficilmente scalfibile a cui si aggiunse il movimentismo femminista e radicale incarnato dal Movimento per la liberazione della donna di Adele Faccio e Eugenia Roccella, oltre ovviamente ai radicali di Marco Pannella e soprattutto Emma Bonino che si fece immortalare mentre praticava un aborto con una pompa di bicicletta. Una fotografia brutale che ancora oggi racconta il sorriso malefico con cui gli spacciatori di dati falsi condussero una battaglia vergognosa senza porsi alcun limite etico.

La risposta profetica arrivò da Pier Paolo Pasolini che il 19 gennaio 1975 sul Corriere della Sera scrisse un articolo totalmente contro corrente, figlio dello spirito libero che lo animava: “Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano - cosa comune a tutti gli uomini - io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita è sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo”. Al richiamo intellettuale pasoliniano, purtroppo come spesso gli capitava lasciato isolato a sinistra, rispose anche un testo accademico molto importante intitolato La diffusione degli aborti illegali in Italia, figlio di una ricerca serissima portata avanti dall’università di Padova e firmato dai professori Bernardo Colombo, Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi. Il testo, edito nel 1977, dimostrava senza possibilità di contestazione che i numeri forniti dagli attivisti abortisti sulle interruzioni illegali di gravidanza erano moltiplicati di almeno trenta volte e che non esisteva alcuna strage di donne per aborti clandestini, il cui numero di ventimila l’anno era semplicemente inventato.

Ovviamente il libro serio non ebbe la diffusione di milioni di copie che ebbero invece gli articoli de l’Espresso e del Corriere della Sera, oltre che della neonata Repubblica di Scalfari che nel 1978 festeggiò l’introduzione dell’aborto legale in Italia salvo scoprire che nel 1979 avevano abortito 187mila italiane. I tre milioni di aborti clandestini annuali erano palesemente un falso. Non lo scrisse mai nessuno su l’Espresso, sul Corriere della Sera, su Repubblica. Mai nessuno. Ancora oggi nessuno ha chiesto scusa per la più oscena campagna di fake news che l’Italia ricordi. Imposero una legge che ha fatto costume e ucciso oltre sei milioni di bambini falsificando scientemente tutti i dati. Un’altra ragione per cui bisogna battersi con ogni energia per cancellare quella legge.

(3. Continua)

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03/11/2022
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