Politica

di Roberto Signori

La sinistra giustifica chi guida i barconi

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È una reazione pavloviana: ogni volta che c’è una tragedia in mare la sinistra si alza dalla sedia e punta il dito contro il governo. Una strumentalizzazione costante andata in scena anche ieri quando un barchino, con a bordo 47 migranti, si è trovato alla deriva a circa 100 miglia dalle coste libiche. La ricostruzione della Guardia Costiera lascia spazio a pochi dubbi: i maltesi non si sono mossi, i libici, competenti per le attività di ricerca e soccorso in quell’area, non avevano mezzi navali e così hanno chiesto aiuto a Roma, che ha inviato 4 mercantili e ha coordinato i soccorsi in un’area non di competenza italiana. Purtroppo l’imbarcazione si è capovolta e soltanto 17 migranti sono stati salvati. Ma la sinistra non ha perso un attimo per etichettare il governo come artefice della morte di quelle persone. La segretaria pd Elly Schlein ha subito strumentalizzato la tragedia urlando «Vergogna!». Laura Boldrini ha accusato il governo di essere complice e il segretario di Più Europa Riccardo Magi ha minacciato di denunciare l’esecutivo. È lo stesso refrain che va in onda da tempo: la sinistra che distorce la realtà, naturalmente a suo favore. Lo fa anche parlando degli scafisti. Sono poveretti, disperati, vittime. Una narrazione, fatta da giornali progressisti e mondo delle ong, distorta e pericolosa, che ha trovato il suo apice nella tragedia di Cutro. Un racconto che presenta i tratti del giustificazionismo e che rivolge agli scafisti solo sguardi di commiserazione e nessuna reprimenda. Era l’ottobre 2021 quando Arci Porco Rosso e Alarm Phone scrissero un report, ricondiviso ieri dall’ong Mediterranea Saving Humans, dall’eloquente titolo: «Non chiamateli scafisti». E come dovremmo chiamarli, secondo loro? Migranti-capitani retribuiti. Per il governatore della Puglia, Michele Emiliano, «lo scafista molto spesso è semplicemente un altro disgraziato costretto a fare questo viaggio chissà per quali ragioni».

Su Repubblica Concita De Gregorio ha sentenziato: «Il governo delle sanzioni annuncia di voler far sparire gli scafisti: pensa te quanto gliene importa ad uno scafista se rischia 20 o invece 30 anni di galera, quando si imbarca sul legno o sul gommone dove rischia di morire. Che poi gli scafisti sono disperati come gli altri, ce lo raccontano i giornali che ci parlano e ne scrivono libri: sono i trafficanti quelli che comandano il commercio di uomini, e i trafficanti restano sempre a terra, al sicuro». Le fa eco il Domani, secondo cui gli scafisti non sono altro che l’ultimo anello della catena e spesso sono obbligati a farlo. Per carità, nessuno mette in discussione che a comandare siano i trafficanti, ma non è che gli scafisti siano così tutti disperati. Basta leggere i verbali dei superstiti del naufragio di Cutro, visionati dall’Adnkronos, per capire che almeno quegli scafisti non fossero dei santi. Qualche esempio? «Al momento dell’imbarco mi sono stati sequestrati i soldi in mio possesso di matrice turca»; «Noi non potevamo nemmeno telefonare ai soccorsi perché i membri dell’equipaggio erano dotati di un sistema elettronico che bloccava le linee telefoniche»; «Uno scafista faceva dei video con il proprio telefono cellulare inneggiando a un trafficante asserendo che i suoi migranti erano giunti in Italia».

Inoltre, secondo le ricostruzioni del governo, sarebbero stati proprio gli scafisti a causare la rottura della barca virando all’improvviso e finendo su una secca. Insomma, occhio a giustificarli. Perché un conto è vedere solo la pagliuzza e non la trave, un altro è avere il prosciutto sugli occhi.

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14/03/2023
0512/2023
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