Chiesa
di Raffaele Dicembrino
La CEI e la tragedia di Cutro
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I vescovi denunciano il naufragio in Calabria: “Una ferita aperta che mostra la debolezza delle risposte messe in atto” in conclusione della sessione primaverile del Consiglio episcopale
Infatti i vescovi sono entrati pienamente nella discussione sul fenomeno migratorio, a seguito del drammatico naufragio del 26 febbraio sulle coste di Steccato di Cutro, costato la vita ad oltre 80 persone. Il Consiglio episcopale permanente ha espresso “gratitudine per quanti hanno fatto di tutto per soccorrere quella gente, segno della generosità del popolo italiano, del suo grande cuore”, ha detto Baturi (segretario della CEI). Ma, come si legge nel comunicato, proprio alla luce di quella ennesima tragedia, hanno evidenziato “la debolezza delle risposte messe in atto”. Debolezza che si vede soprattutto nel fatto che di fronte a un fenomeno di proporzione “globale”, come ha dimostrato la provenienza asiatica delle vittime di Cutro, non può essere gestito solo con “una politica fatta di controllo, restrizioni, contenimento e ordine pubblico, ma che non sa cogliere il tema vero: tutelare vite, soccorrerle, accompagnarle in processi di integrazione”.
Proprio l’integrazione è “un vantaggio per tutti”, ha sottolineato Baturi, “tutti abbiamo bisogno di una società nuova”. Giusto per l’arcivescovo di Cagliari il discorso del “salvaguardare i Paesi di origine” e la “libertà di restare”, ma, ha chiarito, “solo se ci sono condizioni di vita dignitosa”. E in tante zone del mondo non ci sono. Baturi ha anche ribadito la disponibilità della CEI a implementare ulteriormente i corridoi umanitari, così da “allargare gli spazi di canali legali che possano mettere in salvaguardia le vite e togliere ossigeno malato ad organizzazioni malavitose”.