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di Raffaele Dicembrino
Musei Vaticani. Il fascino di Sekhmet
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Guerriera, guaritrice, il suo nome significa letteralmente “La Potente”. Sekhmet, importante dea del pantheon egizio, divinità del deserto con corpo di donna e testa di leonessa, animale feroce e nel contempo gatto mansueto. A lei sono dedicati circa 300 esemplari di statue in granodiorite, molte delle quali emerse dagli scavi attivi da oltre 20 anni nell’odierna Luxor, altre sparse in numerosi musei del mondo e qui giunte dal XIX secolo in avanti per mano di archeologi e viaggiatori che ne rimasero affascinati. Provengono dal tempio funerario del faraone più potente e grande della storia dell’Egitto, Amenhotep III, a Tebe Ovest, eretto tra il 1390 e il 1353 a.C.
Per questo luogo sacro si stima che originariamente siano state eseguite circa 800 statue di dimensioni, proporzioni e caratteristiche diverse. Due le tipologie: seduta in trono o stante. Erano collocate nel tempio a protezione del sovrano. I Musei Vaticani conservano dodici esemplari (cinque stanti, sei in trono e una testa frammentaria). Nel 2017 in occasione del loro restauro è nato il “Progetto Sekhmet” incentrato sullo studio di questa produzione scultorea. In seguito è stato ampliato, coinvolgendo anche la più ampia collezione proveniente dal Museo Egizio di Torino.
Lo scopo di questo progetto, che si avvale della collaborazione di esperti a livello internazionale, è quello di ricostruire, oggi anche grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, la disposizione originaria delle statue all’interno del tempio, compresa la loro realizzazione tecnica e l’organizzazione di questo gigantesco cantiere.