Chiesa

di Raffaele Dicembrino

Papa Francesco: no alla guerra

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Un messaggio “positivo e costruttivo” si può trarre ancora oggi dall’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, 11 aprile 1963, perché “la pace resta nell’animo e nelle aspirazioni dell’intera famiglia umana, di ogni popolo e di ogni persona”. Lo scrive Francesco in un messaggio indirizzato ai partecipanti al convegno internazionale “Pace tra le genti. A 60 anni dalla Pacem in Terris” promosso dalla Pontificia Università Lateranense e dal Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale.

Mai la guerra ha dato sollievo alla vita degli esseri umani, mai ha saputo guidare il loro cammino nella storia, né è riuscita a risolvere conflitti e contrapposizioni emersi nel loro agire. Gli effetti della guerra sono le vittime, le distruzioni, la perdita di umanità, l’intolleranza, fino alla negazione della possibilità di guardare al domani con rinnovata fiducia.

La pace invece, quale concreto obiettivo, resta nell’animo e nelle aspirazioni dell’intera famiglia umana, di ogni popolo e di ogni persona. È questo l’insegnamento che ancora oggi possiamo trarre dal messaggio che San Giovanni XXIII ha voluto lanciare al mondo con l’enciclica Pacem in Terris. Un messaggio positivo e costruttivo che ricorda come edificare la pace significhi, anzitutto, l’impegno a strutturare una politica ispirata a valori autenticamente umani che l’Enciclica riassume nella verità, nella giustizia, nell’amore e nella libertà.

Eppure, trascorsi sessant’anni, l’umanità non sembra aver fatto tesoro di quanto la pace sia necessaria, di quanto bene essa è portatrice. Uno sguardo al nostro quotidiano, infatti, mostra come l’egoismo di pochi e gli interessi sempre più limitati di alcuni inducono a pensare di poter trovare nelle armi la soluzione a tanti problemi o a nuove esigenze, come pure a quei conflitti che emergono nella realtà della vita delle Nazioni.

Se le regole dei rapporti internazionali hanno limitato l’uso della forza e il superamento del sottosviluppo che è uno degli obiettivi dell’azione internazionale, il desiderio di potenza è ancora, purtroppo, criterio di giudizio ed elemento di attività nei rapporti tra gli Stati. E questo si manifesta nelle diverse regioni con effetti devastanti sulle persone e sui loro affetti, senza risparmiare le infrastrutture e l’ambiente naturale.

In questo momento, l’aumento di risorse economiche per gli armamenti è ritornato ad essere strumento delle relazioni tra gli Stati, mostrando che la pace è possibile e realizzabile solo se fondata su un equilibrio del loro possesso. Tutto questo genera paura e terrore e rischia di travolgere la sicurezza poiché dimentica come “un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che mette in moto l’apparato bellico” (Pacem in Terris, 60).

Si rende necessaria una profonda riforma delle strutture multilaterali che gli Stati hanno creato per gestire la sicurezza e garantire la pace, ma che sono ormai prive della libertà e della possibilità di azione. Non basta che esse proclamino la pace se non sono dotate della capacità autonoma di promuovere e attuare azioni concrete, poiché rischiano di non essere a servizio del bene comune, ma solo strumenti di parte.

Come ben spiega l’Enciclica, agli Stati, chiamati per loro natura al servizio delle rispettive comunità, spetta di operare seguendo il metodo della libertà e a rispondere alle esigenze della giustizia, sapendo però che “il problema dell’adeguazione della realtà sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette mai una soluzione definitiva” (Pacem in Terris, 81).

Queste brevi annotazioni vogliono contribuire all’obiettivo di approfondimento dell’Enciclica che la Pontificia Università Lateranense e il Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale hanno promosso.

Affido all’Università il compito di approfondire il metodo di educazione alla pace, per una formazione non solo adeguata, ma ininterrotta. Una vera formazione scientifica, infatti, è frutto di studio e ricerca, di approfondimento, di aggiornamenti e di esercizi pratici: questa deve essere la strada da percorrere per aprire nuovi orizzonti e superare forme didattiche e organizzative ormai superate e non più adeguate alla nostra era.

Sono certo che il Ciclo di studi in Scienze delle Pace da me istituito alla Lateranense, contribuirà a formare le giovani generazioni a questi obiettivi, per favorire quella cultura dell’incontro che è la base di una comunità umana modellata secondo la fraternità, che è poi norma dell’agire per edificare la pace.

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12/05/2023
3011/2023
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