Storie

di Nathan Algren

La ‘de-colonizzazione’ dei giovani kazaki

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Con l’invasione della Russia in Ucraina, in tanti Paesi ex-sovietici è diventato molto di moda il termine “de-colonizzazione”, che indica sostanzialmente la de-russificazione delle ex-repubbliche sovietiche, che sempre meno intendono rimanere sotto il controllo di Mosca. In particolare le generazioni più giovani, che non hanno respirato l’aria del passato regime, rifiutano sempre più l’uso stesso della lingua dei vecchi padroni. La sezione kazaca della Bbc ha svolto tra di loro un’inchiesta molto significativa.

Il Kazakistan è forse il Paese dove la questione è più sentita, come racconta la ventenne Mira Ungarova, che ora si vergogna di quanto ci tenesse alle elementari a imparare bene la lingua russa per “non essere simile a una kazačka”, il termine spregiativo con cui i russi chiamano le ragazze kazache. Per lei tutto è cambiato nel 2019, quando l’eterno presidente-padrone Nazarbaev ha lasciato la carica: “per me e i miei coetanei è stato davvero uno shock, e abbiamo cominciato a pensare che si potesse cambiare qualcosa nel nostro Paese”. Oggi Mira è una delle migliaia di attivisti per il “recupero dell’identità nazionale”.

Su 20 milioni di abitanti del Kazakistan, sono circa 6 milioni i russofoni, che vivono principalmente nelle grandi città. Le persone dai 30 anni in su usano correntemente il russo, anche se in modo piuttosto sgrammaticato, mentre i giovani non vogliono più impararlo. Oggi i kazaki che parlano russo sono chiamati anche nedokazaki, kazachi “non del tutto”, che hanno perso il contatto con le proprie radici e la propria cultura.

Dopo la seconda guerra mondiale, per ordine di Stalin l’istruzione superiore nei Paesi dell’Asia centrale poteva essere impartita soltanto in russo, e “negli anni ’70-‘80 le persone istruite erano soltanto i russofoni”, come spiega la giovane ricercatrice Aynaš Mustojapova, autrice del libro “La de-colonizzazione in Kazakistan”. Questo portava non soltanto al “pensiero coloniale”, ma anche alla “auto-alienazione”, quando i kazachi si vergognano della propria cultura, sostiene Aynaš.

Ora tutto sta cambiando rapidamente, e tutti i sondaggi e le inchieste rivelano una grande richiesta della lingua kazaca, nell’istruzione come nella vita sociale, ad esempio la sempre maggiore popolarità dei programmi televisivi e dei film in kazaco: il secondo episodio del blockbuster americano Avatar è stato visto quasi soltanto nella versione in lingua locale. Secondo la fondazione sociologica “Friedrich Albert”, il 40% delle persone tra 18 e 29 anni dichiara di parlare sempre kazaco, in famiglia e in tutti gli ambienti, mentre sopra i 60 anni questa percentuale si riduce al 25% dei cittadini.

Proprio il mondo dell’arte e dello spettacolo diventa uno dei campi privilegiati del recupero dell’identità, come nel caso della grande popolarità della giovanissima cantante Sayagul Birlesbek, che combina il canto popolare degli antichi nomadi con i ritmi e le melodie della musica folk contemporanea. La 30enne regista e pittrice Suinbike Suleymenova ricorda le repressioni contro il bisnonno, accusato di nazionalismo kazaco, tanto che il nonno fu partorito dalla nonna in un lager per “traditori della patria”. I genitori di Sayagul, una scultrice e un musicista, quasi non parlavano kazaco, e lei stessa ha compiuto un lungo percorso di riscoperta della propria vera natura, da quando nel 2012 ha dipinto il quadro I am kazakh.

I kazachi affermano ironicamente che Putin ha fatto di più per la lingua kazaca in un anno, che Nazarbaev in 30 anni: con l’invasione dell’Ucraina il bisogno di de-colonizzazione è diventato imperioso, e sempre più discusso su tutti mezzi di comunicazione, pubblici e privati. Per i kazachi è evidente che la motivazione degli orrori provocati dalla guerra è principalmente l’imposizione della lingua, l’unico vero motivo di conflitto tra russi e ucraini sul territorio del Donbass negli anni precedenti.

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26/05/2023
0412/2023
S.Giovanni Damasceno

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