Storie
di Fabio Annovazzi
TRA ACONITO, VERATRO E GENZIANA NELLA BOTANICA UMANA
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E’ una pianta di una bellezza affascinante, eppure viene annoverata tra le specie arboree più pericolose in assoluto, tossica ed irritante per le mucose e la pelle anche solo al contatto. Vive, spesso in gruppo tra le fresche montagne e i canali, in varie parti d’Europa, raggiungendo a volte la ragguardevole altezza di due metri. Ha dei fiori blu a grappolo di un fascino magnetico e il suo nome scientifico è aconitum napellus, volgarmente detto semplicemente aconito. Le molecole tossiche (tra cui l’aconitina) presenti in questa varietà alpina sono tra i veleni più potenti che si conoscano in natura, in passato venivano intinte nelle foglie e nei fiori le punte dei giavellotti e delle frecce per annientare i nemici, facendogli fare una fine orribile, dato che la paralisi cardiaca è quasi immediata. Quando incontro questa pannocchia a grappoli azzurri nelle camminate per i sentieri delle mie valli provo un senso interiore di forte timore reverenziale. Eppure esteticamente ha un grande fascino, sembra quasi faccia di tutto per mettersi in mostra e pavoneggiarsi smorfiosamente, nulla lascerebbe presagire i suoi effetti letali, a dimostrazione che l’esteriorità a volte inganna di brutto. Anche nella botanica umana è così e il paragone viene spontaneo, prendendomi per una volta il gusto di una piccola e sorniona rivincita, dato che madre natura non mi ha dotato certo di un aspetto da rubacuori. Ma è il voler apparire ad ogni costo esternamente irreprensibili, mentre dentro si è dei sepolcri imbiancati con una coscienza orribilmente intrisa di veleno, che ci porta ad essere degli aconiti viaggianti su due gambe, pericolosissimi per il nostro prossimo. La tentazione riguarda ciascuno di noi, nessuno si senta escluso dal rischio, nemmeno i
più bruttini. In quest’epoca, in cui la nuova religione è il culto ossessivo dell’immagine, troppi angeli di luce sono in realtà dei demoni, letali solo al contatto. Sanno vendersi, quasi prostituirsi,
per apparire luccicanti sugli schermi, ed in molti ne sono goffamente calamitati finendo per pagarne conseguenze catastrofiche. L’aconito però se lo conosci lo eviti, il suo volersi porre ad ogni costo al centro dell’attenzione fa insospettire i più arguti, è da polli farsi fregare. Sembra quei personaggi
talmente concentrati sulla propria esteriorità, pavoni viaggianti in perenne guerra con lo specchio e il fondotinta, da divenire inevitabilmente sgradevoli e antipatici anche agli occhi dei più
accondiscendenti. Molto più infido e deleterio è il temibile veratro (veratrum album), in passato decine di persone lo hanno scambiato per genziana e sono finiti nell’aldilà repentinamente. Le due specie arboree crescono praticamente in simbiosi, l’una accanto all’altra nelle vicinanze, l’aspetto del rizoma è per di più molto simile, difficile distinguerle se non si è del mestiere, l’unica salvezza è
guardare attentamente le foglie: nel veratro sono alterne, nella genziana si presentano attaccate al fusto a due a due opposte. Visto che il periodo di raccolta è il tardo autunno (quando il fogliame praticamente è scomparso) occorre forte prudenza, se si hanno dei dubbi meglio diffidare seduta stante, la grappa al veratro è un elisir funebre assicurato. In questa infida radice mortale mi pare di scorgere quei loschi personaggi che fanno di tutto per camuffare la loro indole delinquenziale, ma risultano poi mortali se assunti anche in piccole dosi. Sono i falsi veggenti, lucratori di immeritate grazie altrui, diavoli in carne e ossa al servizio permanente di lucifero, dei veri e propri lupi travestiti da agnelli pronti a sbranare gli incauti. Il loro unico obbiettivo è sfruttare il prossimo, anche a costo di annientarlo appunto. Eseguono sontuose finte che nemmeno Ronaldo il fenomeno era in grado di effettuare; così facendo traggono in inganno, come il veratro, anche le anime più sagge che scioccamente si lasciano incantare, finendo dritte nelle fauci del serpente. Come sempre però c’è la faccia positiva della medaglia anche in campo botanico. Mentre calpesto gli irti sentieri nella maestosità dei miei monti, ringraziando dal profondo del cuore Colui che ce li ha donati,
scorgo appartato in un angolo remoto il bello di una specie deliziosa coi fiori di un giallo fosforescente, umile e che non ama apparire se non sporadicamente. La genziana lutea, detta
genziana maggiore, ti lascia col fiato sospeso quando la incontri, lo stupore estasiato è garantito.
Andava verso l’estinzione a causa di un eccessivo prelievo, ora è in decisa ripresa. Ma non pensiate che sia comunque così facile scovarla nelle vallate alpine, dato che è’ una pianta timida assai schiva ai palcoscenici, ama giocare a nascondino. Eppure è in grado di trasmetterti quella serenità d’animo, se la incontri strada facendo, tipica di quelle persone sagge e prudenti che sanno miscelare bene i talenti ricevuti. Se anche non hanno esteticamente un aspetto appariscente sono buone dentro, umili nel profondo, col cuore aperto, di un amore convincente, e ci sono più genziane di quante pensiamo.
Se hai la grazia di intravederle sul cammino della tua vita tienitele strette e accarezzale, non ti daranno le ustioni di secondo grado sulla pelle come talune piante amiche dell’aconito (l’ho provato
sulla mia cute e vi assicuro che non è affatto piacevole), ma da esse riceverai un gradito conforto per le ferite dell’esistenza. Ecco, vi ho presentato un piccolo spaccato di mondo botanico a me familiare che ogni tanto ammiro nei miei spostamenti. In natura non è possibile il passaggio tra una specie arborea e l’altra, nel cuore delle persone invece sì. L’uomo e la donna sono esseri senzienti,
che hanno cognizione di sé, con il grande dono della libertà di scegliere. Nessun altro, ne animale ne pianta, ha questa immensa grazia da sfruttare. A noi la scelta su quale specie imitare.