Storie

di Adele Caramico

Per loro sono omofoba

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Il 31 ottobre 2014 durante l’ora di lezione nella classe III A/Bio, ho chiesto agli alunni di fare alcune riflessioni scritte su come le problematiche bioetiche possano influenzare la nostra società. Immediatamente dopo, un alunno mi ha posto una domanda sull’omosessualità, tema sul quale, pur non essendo strettamente inerente alla lezione, ho ritenuto opportuno rispondere, vista anche l’insistenza con cui mi veniva chiesto un giudizio in materia. Alla domanda su cosa ne pensassi dell’omosessualità ho ripetuto più volte che ho amici gay e che con loro ho un tranquillo e profondo rapporto di amicizia che dura da anni.

Ho sottolineato più volte che la persona umana, indipendentemente da come essa sia, va rispettata sempre. Si è quindi innescata con quell’alunno una discussione sull’argomento.

Rispondendo a una domanda specifica, ho spiegato che le persone omosessuali che vivono con sofferenza la loro condizione e desiderano cambiare – solo queste, e non altre categorie di persone omosessuali soddisfatte del loro orientamento – talora si rivolgono a terapisti che, con un accompagnamento insieme psicologico e spirituale, possono venire incontro al loro desiderio.

Conosco la letteratura in materia e so bene che si tratta di teorie controverse e non da tutti accettate né nella comunità scientifica né nel mondo cattolico. Mi sono limitata a segnalare la loro esistenza. E per completezza ho raccontato loro che in merito al problema molto dibattuto dell’origine dell’omosessualità esistono due teorie, una che la vede come un dato naturale, l’altra che la riconduce a problemi e traumi subiti di solito durante l’infanzia.

Vi è anche chi sostiene che non vi sia una spiegazione univoca, ma le due teorie spieghino l’esistenza di due diverse categorie di omosessuali, di cui la prima vive l’omosessualità così com’è è in modo naturale, mentre la seconda la vive con disagio. Su quest’ultima teoria ho raccontato la vicenda realmente accaduta di un giovane medico che aveva superato, attraverso un adeguato percorso psicologico, il disagio che provava per le persone del sesso opposto.

Conoscendo bene le controversie in materia, mi sono premurata di sottolineare – più di una volta – che in ogni caso l’omosessualità non è una malattia o una patologia.

Questi argomenti, comunque, più che essere oggetto di dibattito con tutta la classe, sono stati trattati in un dialogo fra me e un solo allievo, e sinceramente non mi è sembrato che il resto degli studenti li seguisse con molta attenzione.

Il dibattito tra me e l’alunno che aveva innescato la discussione con la domanda, però, si è svolto in maniera assai serena e pacata. Oltretutto, quello stesso alunno mi ha rivelato di essere omosessuale e mi ha chiesto cosa vedessi di sbagliato in lui. Ad una simile domanda io ho risposto che per me lui è come tutti quanti gli altri, io non l’ho mai trattato in modo differente e non sapevo nulla della sua omosessualità fino a quel momento. Ho anche fatto una battuta, quando lui è sembrato sorpreso del fatto che io non lo sapessi, dicendogli scherzosamente: “mica chi è omosessuale lo porta scritto con un timbro sulla fronte!”. Gli ho anche chiesto se per caso lui si fosse sentito trattato da me in maniera diversa, e lui ha risposto di no. Io ho, poi, continuato affermando sempre lo stesso principio per cui tutti vanno rispettati indipendentemente da come sono. A quel punto, però, l’alunno ha fatto una domanda secondo me provocatoria, chiedendomi: “Lei allora rispetterebbe pure Hitler?”.

Ho anche portato come esempio personaggi della letteratura, e della cultura in generale che si sono dichiarati omosessuali o anche insieme etero e omosessuali, che a prescindere dalla loro natura hanno dato molto dal punto di vista culturale, e scritto anche opere molto belle che si studiano pure a scuola.

Un altro allievo, poi, ha fatto la seguente affermazione: “Ma il Papa ha benedetto le nozze gay”, alla quale ho risposto di non mettere in bocca al Papa cose che lui non ha mai detto!

Per quanto riguarda le adozioni da parte di coppie gay ho manifestato la mia perplessità (perplessità condivisa dal Magistero della Chiesa).

Premetto che, essendo una docente che insegna Religione Cattolica, io aderisco pienamente al Magistero della Chiesa Cattolica, che ci invita ad accogliere le persone omosessuali con «rispetto, compassione e delicatezza» e con Papa Francesco ci chiede di non giudicare le persone in quanto tali.

E più volte io ho ripetuto questo concetto, affermando che gli omosessuali non vanno giudicati, ma vanno accolti così come sono. Ho anche detto che anche nella Chiesa ci sono persone omosessuali e che vengono trattate come tutte le altre, senza alcuna discriminazione.

Lo stesso Magistero distingue però in modo molto accurato fra le persone, che non vanno giudicate, e i comportamenti, che per evitare forme di relativismo etico possono e devono essere oggetto di un giudizio morale, e le leggi, che non dovrebbero equiparare il matrimonio tra un uomo e una donna ad altre forme di unione, come hanno ribadito ancora recentemente il Sinodo e i Vescovi italiani.

Questo è bastato per finire sulle pagine di “Repubblica” con un articolo di Jacopo Ricca intitolato “Lezione choc sui gay, l’intervista allo studente: «La prof diceva: non sono normali, mai visti animali omosessuali»”. Da lì è iniziato per me un incubo durato più di venti giorni. Sono stata sbattuta sulle pagine dei giornali come il “mostro omofobo di Moncalieri”. Una cosa che mi ha particolarmente ferita. Ho vissuto giorni terribili. Facevo fatica persino ad uscire di casa, e quelle poche volte che mi azzardavo a farlo, venivo additata come l’insegnante “omofoba” del giornale. Della mia presunta “omofobia” se n’è persino parlato alla trasmissione RAI “La vita in diretta”, seguita da milioni di telespettatori.

Ho appreso la notizia della fine di questo incubo leggendola sul quotidiano “Repubblica”. Il Preside non ha ritenuto opportuno avvisarmi prima, e ha preferito che lo apprendessi dai giornali. Non mi pare sia questa la migliore modalità di comunicazione tra colleghi, ma non voglio fare polemiche.

Quello che mi ha spaventata durante questo triste periodo è stata la reazione politica. Ho saputo che cinque deputati avevano presentato un’interrogazione al Ministro contro di me, e che anche il Presidente della Commissione Istruzione del Senato aveva presentato un’interpellanza urgente, definendo il mio operato come «intollerabile». Ho saputo che l’Assessore regionale alle Pari Opportunità, Monica Cerutti, aveva fatto aprire una procedura di controllo presso il Centro regionale contro le discriminazioni a mio carico. Ho saputo che il consigliere comunale radicale di Torino, Silvio Viale, ha chiesto che io venissi sottoposta a «corso di aggiornamento», e che il vicesindaco di Moncalieri aveva invocato contro di me «efficaci provvedimenti».

Posso assicurare che tutto questo spaventa una persona normale come me, che non è certo abituata alla ribalta mediatica. Io mi sono spaventata, anche se però non mi sono fatta intimidire.

Voglio ringraziare tutti gli studenti che hanno confermato la verità di quanto accaduto; non oso neppure pensare che cosa sarebbe successo se si fossero messi d’accordo ad avvallare le tesi false del loro compagno. Ma anche gli altri miei studenti che mi sono stati vicini e pure i miei colleghi che hanno condiviso con me questi giorni bui, in cui ho imparato molte cose. Ho capito come sia facile finire vittima della cosiddetta “macchina del fango” del sistema mediatico; cosa si provi quando si è vittima di una “caccia alle streghe”; come sia facile manipolare a fini ideologici e falsificare ciò che si afferma; come tante persone che ritenevi amiche possano all’improvviso sparire nel momento del bisogno perché intimidite da questa nuova e pericolosa forma di dittatura.

Al danno, però, si è unita la beffa. Dopo essere stata completamente scagionata – tutti gli studenti della classe, infatti, hanno confermato la mia versione e smentito il compagno gay – nessuno mi ha chiesto scusa. Anzi, continuo a passare per omofoba. La beffa sta, invece, nel fatto che lo studente che mi ha accusata ingiustamente, invece di ricevere la dovuta sanzione, si è visto attribuire la votazione di nove in condotta per essere stato considerato la “vittima” di un episodio di omofobia. Io ho formalmente chiesto al preside di avere, com’è mio diritto, la relazione da lui svolta sul caso e la documentazione che attesta la mia piena estraneità alla falsa accusa mossami dal ragazzo omosessuale, al fine di tutelare i miei diritti in sede legale. A tutt’oggi non ho ancora avuto risposta.

In compenso sono oggetto a volte di una sorta di bullismo da parte di alcuni studenti in qualche classe o nei corridoi dell’Istituto. A volte mi canzonano ripetendo con una cantilena infantile la domanda: «Omosessuale o omofoba?». Alcuni di tali studenti non sono neppure miei alunni. Altri mi chiedono provocatoriamente «Professoressa, se le dico che sono omosessuale mi fa andare in bagno?», oppure «Professoressa se sono anch’io gay danno pure a me nove in condotta?», oppure ancora: «Professoressa, se mi dichiaro omosessuale posso essere promosso senza studiare?».

Non so cosa fare per porre fine a questo nuovo incubo. Forse dovrei fare anch’io “coming out”. A quel punto sono certa che tutti smetterebbero di prendermi in giro.

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04/02/2015
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