Politica
di Giuliano Guzzo
Chi ha paura del medico obiettore?
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Perché tanto accanimento contro gli obiettori di coscienza? Perché alcuni sono letteralmente terrorizzati dall’idea che al San Camillo di Roma il nuovo primario di ostetricia possa essere obiettore? Perché Obama minaccia le associazioni cattoliche di tagliare loro i fondi se non permettono l’aborto mentre, da noi, delle Regioni son giunte ad approvare, spingendosi oltre il confine della legittimità, specifici decreti anti-obiettori? Cosa compiono mai di incivile e scandaloso, insomma, i medici e i farmacisti che fanno appello ad un diritto, peraltro espressamente previsto dalla legge, per sollevare tanta polemica? Misurarsi con questi interrogativi così attuali è utile perché consente di comprendere come, in realtà, non siano gli obiettori in quanto tali – i quali, com’è noto, sono persone normalissime - a generare chissà quali inquietudini: è invece l’obiezione di coscienza, come gesto fortemente fondato su dei valori, ad infastidire.
Più precisamente, il rifiuto dell’obiettore è ritenuto inaccettabile perché che fa appello alla verità morale, perché dimostra cioè che, anche se non si direbbe, il relativismo etico non ha vinto, che c’è ancora – nell’epoca narcotizzante del parzialmente accettabile o del parzialmente sconveniente, a seconda dei punti di vista – qualcosa di totalmente giusto per il quale c’è chi è pronto non soltanto a spendersi, ma pure a sottrarsi a doveri altrimenti inderogabili e fissati per legge. E questa “sopravvivenza della verità” in quanto scritta nel cuore dell’uomo, per la cultura dominante, è già una prima ragione di forte ostilità. Ci nasconderemmo tuttavia dietro ad un dito se omettessimo di evidenziare come non tutte le possibili forme di obiezione di coscienza risultino contrastate, e come ve ne siano anzi diverse – si pensi a quella al servizio militare o a quella legata alla sperimentazione sugli animali – che nessuno, tanto meno oggi, si permetterebbe di criticare.
Questo conferma che non solo non è l’obiettore in sé a scandalizzare, ma non è neppure, a ben vedere, l’obiezione di coscienza intesa in senso lato a farlo, ma solo quella che osa il proibito: ricordare che sin dal concepimento si è a tutti gli effetti in presenza di un essere umano, unico e irripetibile, e che ucciderlo significherebbe fare il male. La nostra è una società che tollera ogni opinione ed ogni insulto, specie se presentato come satira, ma che non vuol più sentirsi dire quello che già Socrate, millenni fa, sosteneva: «Essi potrebbero bene uccidermi, mandarmi in esilio, privarmi dei diritti politici, reputando tali cose, i più grandi mali; ma io non li reputo tali. Per me male è fare quello che fa costui: tentare di uccidere ingiustamente un uomo». Per questo l’obiezione di coscienza prevista dalla Legge 194 sull’aborto (art.9), e pure – anche se molti, persino nel mondo cattolico, puntualmente lo dimenticano – dalla Legge 40 sulla fecondazione extracorporea (art. 16), è scomoda: perché ricorda a tutti quale sia il più grande dei mali.
Per questo quanti non eseguono aborti né accettano di prestarvi alcuna collaborazione formale o materiale danno enormemente fastidio: perché incarnano l’apice della giustizia – che anticipa la leggi ed arriva ad ergersi perfino oltre l’ordinamento giuridico, qualora l’obiezione di coscienza non fosse consentita – e denunciano l’abisso del suo esatto contrario. Perché finché rimarrà anche un solo obiettore, uno soltanto, la coscienza collettiva non potrà assopirsi né convincersi, decretando così la vittoria del Pensiero Unico, del fatto che la soppressione di un figlio, a certe condizioni, sia il male minore o addirittura il suo bene, come l’abortismo più spudorato tutt’ora afferma. L’obiezione di coscienza è dunque molto più, per così dire, di un’opzione cattolica o di un semplice diritto esercitabile da alcuni cittadini: è garanzia affinché quello dei bimbi non nati o vittime dell’aborto – i «più poveri dei poveri» li chiama Madre Teresa (1910-1997), che di poveri se ne intendeva - non sia dimenticato.