Chiesa
di Giuliano Guzzo
Tutto sembrava perduto. E invece
Chissà come devono essersi sentiti gli apostoli, il giorno dopo la passione e crocifissione di Gesù: uno, Giuda Iscariota, si era dimostrato un traditore, un altro, quel Pietro cui erano state promesse nientemeno che le chiavi del regno dei cieli, un uomo poco coraggioso e incapace di mantenere la parola data e nessuno, di fatto, aveva potuto e saputo far nulla per impedire una condanna a morte brutale quanto platealmente ingiusta; solo Maria e Giovanni, con la loro presenza al Calvario, evitarono almeno in parte a Gesù, quel giorno, un abbandono altrimenti totale, dall’inizio alla fine. In quel contesto – di profonda e comprensibile tristezza, se non di irrimediabile smarrimento – è dunque più che plausibile immaginare gli apostoli dominati da un senso di sconfitta: la loro guida, il loro carismatico maestro, Colui col quale avevano condiviso intere giornate, meditazioni e pasti fino a quell’ultima cena, se n’era andato. Apparentemente per sempre.
D’altra parte, lo stesso atteggiamento, si potrebbe dire rassegnato, col quale Gesù aveva affrontato arresto e processo – non solo senza opporre resistenza, ma intimando subito a chi, in un primo momento, la tentò, di lasciar perdere (Gv 18, 10-11) – non alimentava alcuna prospettiva di riscatto. Era come se tutto fosse finito così perché in quel maledetto modo, purtroppo, doveva finire; come se nulla potesse più cambiare ed evitare al destino di compiersi. Una cosa, ad ogni modo, risulta certa: gli apostoli, al pari di chiunque altro, erano convinti che Gesù fosse morto perché Lui era morto. Senz’alcun dubbio: morto e sepolto, con tanto di sigilli e sorveglianza che i capi dei sacerdoti e i farisei chiesero e ottennero da Pilato al fine di mettersi completamente al riparo dall’eventualità di brutte sorprese e dall’ipotesi che qualcheduno, pur di mantenere vivo il mito di Gesù, potesse trafugarne il cadavere: «Essi andarono ad assicurare il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia» (Mt 28, 66).
Non c’era insomma alcuna valida ragione, alcuna realistica probabilità per immaginare che qualcosa, tanto meno qualcosa di insperato e assolutamente straordinario, potesse ancora accadere. E se ci pensiamo bene la situazione in cui si trovavano allora gli apostoli – soli, scoraggiati e perfino costretti a nascondersi dalla paura – somiglia infinitamente alla nostra, tutte le volte che consideriamo insufficiente l’amore di Dio fino allo spingerci a dubitare della sua presenza nella nostra vita. Certo, è fin troppo facile ringraziare Gesù quando tutto gira a meraviglia; e molti, difatti, ringraziano. Quando però le cose si mettono male, quando arriva il momento della prova anziché seguire Gesù sulla croce – cosa che nessuno, duemila anni fa, neppure fra coloro che lo frequentarono, fu in grado di fare –, la tentazione è esattamente quella: blindarsi con le proprie paure e lasciare fuori la speranza; accettare che tutto sia concluso senza nemmeno confrontarsi con la possibilità di una svolta.
Non è un caso che, benché in tutto il Nuovo Testamento i termini indicanti la risurrezione – eghiero e anastasis – ricorrano almeno 100 volte, a testimonianza della centralità di quell’Evento, non vi sia neppure un brandello di cronaca dell’evento di risurrezione: non poteva che così dal momento che nessuno era lì; e nessuno era lì perché a nessuno era passato lontanamente per la testa che qualcosa potesse ancora accadere, e quando Maria di Màgdala e l’altra Maria, all’alba del giorno dopo il sabato, andarono a visitare la tomba, di certo non si aspettavano la realtà incredibile che si trovarono di fronte. Faremmo tutti bene, allora, a riflettere con attenzione su quel giorno che seguì la crocifissione e al quale i Vangeli – che sono asciutti resoconti - dedicano pochissime parole: in quel sabato si concentrano infatti disperazione e paura, coloro che più degli altri si adoperarono per mandare a morte quel sovversivo personaggio che si dichiarava essere Figlio di Dio dovevano provare il sollievo di chi vede il proprio piano realizzato e la Morte, più che mai, sembrava destinata ad un trionfo definitivo. Tutto sembrava davvero finito. E invece…