Politica

di Mario Adinolfi

LA FINE DEL RICATTO DEL VOTO UTILE

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​Quando alle ultime elezioni amministrative il Popolo della Famiglia, a poche settimane dalla nascita, chiedeva consenso sui propri candidati sindaco spesso si sentiva dire: “Eh, ma voi non arrivate al ballottaggio”. C’era sempre un voto da dare a Giorgia Meloni, ad Alfio Marchini, a Stefano Parisi per mandarli “al ballottaggio”. Alla fine né Meloni né Marchini sono arrivati al ballottaggio, mentre Parisi l’ha perso. Certamente però la potenzialità del voto al Pdf è stata limitata dalla cosiddetta “retorica del voto utile” che si innesca ovviamente quando sullo sfondo c’è un ballottaggio da conquistare. Nonostante questo freno a mano tirato il Popolo della Famiglia ha ottenuto sui candidati sindaco proposti 52.000 voti su 2.988.000 voti validi espressi, oltre 35.000 voti li abbiamo ottenuti sul simbolo. Poiché alle elezioni politiche nazionali i voti validi si aggirano sui 33-34 milioni, possiamo dire che il potenziale espresso già dal Popolo della Famiglia alle amministrative del giugno 2016 è di mezzo milione di voti in proiezione nazionale. Non bastano.
Serve un milione di voti per superare lo sbarramento del 3% lasciato in vigore dalla legge emersa dalla sentenza della Corte Costituzionale. Ma quanto vale la fine del ricatto del voto utile? Cancellando il ballottaggio la Consulta ha fatto al Popolo della Famiglia il più grande regalo che potessimo chiedere, ora il voto utile non esiste più, le prossime politiche saranno caratterizzate da un voto identitario perché l’impianto proporzionale della legge elettorale innesca inevitabilmente questo meccanismo. La legge elettorale proporzionale è quella della Prima Repubblica, in cui tutti ricordiamo che partiti come il PLI, il PSDI, il PRI, i radicali, il PDUP, Democrazia proletaria portavano eletti in Parlamento anche con percentuali risibili oscillanti tra l’uno e il due per cento. Con la legge elettorale proporzionale si dissolve il voto utile e l’elettore si orienta per un voto identitario. La soglia di sbarramento è certamente una novità rispetto alla proporzionale pura della Prima Repubblica e serve a limitare il numero di partiti che otterranno rappresentanza parlamentare, che realisticamente saranno sei: Pd, M5S, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Sinistra italiana. Poi c’è il Popolo della Famiglia: l’ingresso in Parlamento o meno del Pdf segnerà la sorte della diciottesima legislatura repubblicana rispetto ai principi che abbiamo difeso in piazza con i Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio 2016.
Quei sei partiti sono tutti corresponsabili delle normative contro la famiglia varate dalla legislatura in corso. Il divorzio breve è stato votato con il concorso di tutti e sei i partiti citati, appena 11 i voti contrari al Senato, 28 alla Camera, ottocento complessivamente i voti favorevoli, da esponenti di tutti i partiti. Analogamente per la legge Cirinnà la stragrande maggioranza dei parlamentari eletti nel centrodestra che pure sono venuti in piazza al Family Day poi hanno votato a favore delle unioni gay. Bastano i nomi di Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Renato Schifani ora di nuovo riparato in Forza Italia e tra i sostenitori solidali di Valeria Fedeli, il ministro pinocchio? Lega e Fratelli d’Italia quando c’è stata l’occasione di presentare un candidato alla presidenza della Repubblica, hanno scelto un iscritto all’Arcigay sostenitore plateale dell’eutanasia: Vittorio Feltri. Quando si parla di prostituzione vogliono il papponaggio di Stato e la professionalizzazione con tanto di partita Iva della puttana. Nostra figlia tornerà a casa e dirà di aver scelto quello tra i tanti mestieri, è molto remunerativo e come spiegheremo che è una follia degradante?
Eppure questa legislatura è solo l’antipasto. Cinque normative sono sulla rampa di lancio, alcune già approvate in un ramo del Parlamento in questa tornata: “matrimonio egualitario”, utero in affitto, eutanasia, droga libera e “galera per gli omofobi”. Se il Popolo della Famiglia non sarà eletto a presidio dei principi non negoziabili, l’inciucio partitico genererà questi obbrobri normativi, insieme al corollario dell’invasione dell’ideologia gender nelle scuole e la colonizzazione sempre più massiccia degli lgbt nel servizio pubblico radiotelevisivo, il cui controllo deriva dal potere politico e dalla rappresentanza parlamentare che si ha. Non sono chiacchiere: è qualcosa che abbiamo già visto accadere. Ci siamo affidati ai “cattolici” presenti in Parlamento nei vari partiti e siamo stati platealmente traditi. Solo degli eletti su un mandato preciso imperativo di difesa dei principi non negoziabili sarebbero a prova di bomba, perché anche la “poltrona” deriverebbe da un consenso espresso su quei temi senza possibilità di equivoci o interpretazioni alla Lupi.
La Corte Costituzionale rimuovendo il ballottaggio dall’Italicum e cancellando la conseguente retorica del voto utile ha fatto sì che ogni singolo partecipante o simpatizzante dei Family Day ora davanti alla scheda elettorale non abbia che una opzione per difendere i principi per cui è sceso in piazza: votare Popolo della Famiglia, scegliere la strada del voto identitario de non del voto al “meno peggio”. Questa novità è forse irripetibile e va colta assolutamente.
La mobilitazione e la campagna elettorale del Popolo della Famiglia partono sabato 28 gennaio alle ore 15 dal teatro Eliseo a Roma. Grillo, Salvini, Meloni e Renzi dicono di voler votare l’11 giugno. Ci faremo trovare pronti e se si dovesse votare in autunno saremo pronti lo stesso. Pronti a chiedere consenso a chi vuole difendere la famiglia, promuovendola a priorià politico-programmatica: prima la famiglia, prima i figli, prima il diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà, prima la natalità, prima il diritto assoluto di ogni persona a nascere e che i medici curino e non uccidano. Chi vuole battere i falsi miti di progresso diventi un protagonista del Popolo della Famiglia a partire dalla partecipazione all’assemblea nazionale di sabato a Roma, punto di avvio di una campagna che ci porterà lontano.

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26/01/2017
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