Storie
di Davide Vairani
Ho vegliato 29 anni IL transito di mia moglie
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Angela Calise Moroni è morta il 31 Marzo 2017, spegnendosi nel suo lunghissimo sonno, nella sua casa di Avezzano. Madre di cinque figlie, 64 anni, il 23 gennaio Angela del 1988 fu colta da un malore in casa. Aveva avuto un fortissimo calo di potassio. Nonostante i tentativi di rianimazione del marito, entrò in coma profondo e venne ricoverata nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Chieti. All’inizio si pensò che potesse uscire da quello stato, ma i mesi passarono e si trasformarono in anni: 29 anni nutrita da un sondino. Il marito Nazzareno, diacono e catechista del cammino neo-catecumenale, da sempre vicino alla curia diocesana e molto attivo nel volontariato, non ha mai voluto staccare la spina, convito che “sia il Signore a decidere quando è arrivato il momento”.
Come si fa a vivere così? Ce lo racconta al telefono Nazzareno. Ciò che mi colpisce subito è la voce. Serena.
Sento nella sua voce una grande serenità che colpisce. Sbaglio?
“No non sbaglia – risponde pacatamente -. Alla base di tutto c’è una vita vissuta alla sequela di Gesù, l’Uomo della Croce. Noi viviamo di riflesso la Sua Croce. Angela è stata un dono, un privilegio. Non saprei dirlo diversamente”.
Che cosa successe in quel 1988?
“Angela si senti male all’improvviso. Sembrava ad un certo punto che le cose si potessero mettere per il meglio, ma per una serie inspiegabile di motivi la situazione precisò. Entrò in come, in stato vegetativo. Il primo anno fu un susseguirsi di ‘viaggi della speranza’ da una clinica all’altra, per cercare di vedere se fosse possibile trovare il modo affinché Angela potesse uscire dal coma e riprendere una vita pienamente funzionale. Nessun medico però ci dava speranze in tal senso e allora abbiamo deciso che Angela dovesse tornare a casa sua, a casa nostra”.
“È stata la scelta più giusta che ho mai fatto in vita mia – aggiunge subito Nazzareno – e la rifarei. Per tutto ciò che da quel giorno ci è accaduto come famiglia. Mi viene in mente il Salmo 128, quando dice ‘Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie. Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa’. Ecco. Angela è stata in questi 29 anni al centro della nostra famiglia”.
Cinque figli, tutte femmine. Clara, Benedetta, Stefania, Noemi ed Elisabetta che allora aveva solo 15 mesi quando mamma Angela si ammalò.
Come si può dire che una persona in stato vegetativo sia stato un dono per la vostra famiglia?
“Me lo hanno chiesto in tanti – sorride mentre risponde al telefono -. Io ho sempre detto una cosa sola: ‘Venite e vedrete’. L’ho fatto spesso e devo dire che alcuni hanno accettato la sfida e sono venuti a casa mia a vedere. Hanno visto una famiglia normale nella quale non sono mai mancate le risate, i pianti, i momenti di sconforto. Ma anche tanta voglia di amarci. Mi ricordo una volta che a casa mia venne un giornalista de 2Il Giornale”, Pietro Col aprico. Rimase da noi tre giorni. Alla fine quando se ne andò mi confidò con le lacrime agli occhi:’ La mia vita oggi è cambiata. Ero venuto con una serie di pregiudizi e ne esco cambiato’. È lo stesso invito che ho fatto più volte a Peppino Englaro, il papà di Eluana. Ma lui non mi hai risposto. Peccato..”.
Angela è stata per tanti anni una moglie e una mamma che non parlava, che non faceva carezze, che non preparava il pranzo, ma che dava amore ogni giorno, con la sua presenza, con la sua testimonianza, con la sua vita. Un amore sempre contraccambiato minuto per minuto, fino alla fine. È stata una mamma coraggiosa e sempre presente nei momenti più importanti della vita delle sue figlie.
Come si può definire Angela una presenza importante?
“Vede – mi racconta, tutte le nostre figlie ora sono sposate. Alcune hanno figli. In tutti questi anni la loro mamma c’era. Era lì con loro. E loro erano lì con lei. Potrà sembrare strano e assurdo a molti, ma Angela è davvero stata una presenza feconda. Le mie figlie oggi sanno come affrontare la vita, come superare le difficoltà e gli scoraggiamenti che tutti noi abbiamo: portando la Croce. Ma perché? Perché hanno visto con i loro occhi come si fa a portare la Croce tutti i giorni, a casa loro, con Angela. E l’abbiamo portata insieme”.
Non ha mai pensato anche una sola volta che fosse più dignitoso lasciare andare Angela e staccare il sondino?
“Non l’ho mai pensato un minuto in vita mia – risponde con voce sicura e ferma -. Vede, una volta, tre o quattro anni fa’, con il gruppo dell’équipe (ndr i responsabili locali del cammino neo-catecumenale) ce lo siamo posta la domanda, ma in maniera diversa. Ci siamo chiesti se non fosse il caso di pregare il Signore affinché Angela fosse preparata per il momento della fine della sua vita terrena. Allora ho aperto il Vangelo. Il mio dito si è puntato su due righe di Matteo 2, 17: ‘Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati’. E allora abbiamo cambiato tutto: abbiamo cominciato a pregare tutti insieme per la guarigione di Angela’. Le dirò di più. Il funerale di Angela è stato una festa. Era venerdì di Quaresima e di solito noi lo viviamo a pane ed acqua. Ma questa volta c’era un’occasione speciale e occorreva festeggiare davvero. Allora abbiamo fatto festa in casa, tra noi famigliari ed amici. Perché Angela non è sparita nel nulla: Angela ha iniziato una nuova vita, la vita senza fine, la vita eterna”.
Secondo lei, solo la fede può permettere di vivere così?
“No, non credo. Sono convinto che sia inscritto nel dna dell’uomo il fatto che la vita vada vissuta fino in fondo, che la vita non ci appartiene e per questo motivo non possiamo permetterci di troncarla quando non ci va bene. Certamente la fede ti permette di inserire tutto quanto in una visione più – ci pensa un attimo per cercare l’aggettivo giusto - .. mi verrebbe da dire più grande, ma in realtà a pensarci bene la fede non fa che aiutarci ad essere ancora più umani. Umani fino in fondo. Senza l’apertura alla trascendenza, l’uomo è come monco, gli manca sempre qualcosa, come se nel puzzle della vita mancasse un tassello, quel tassello che ti permettere di completare il cerchio”.