{if 0 != 1 AND 0 != 7 AND 0 != 8 AND 'n' == 'n'} La grave confusione dell’Università di Lovanio

Storie

di Emiliano Fumaneri

La grave confusione dell’Università di Lovanio

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Ha davvero dell’incredibile il caso del belga Stéphane Mercier, il trentaquattrenne professore di filosofia sospeso da uno dei più conosciuti atenei cattolici d’Europa per aver condannato senza mezzi termini l’aborto.

Mercier infatti è docente a contratto presso la prestigiosa Università Cattolica di Lovanio (UCL), dove si è formato e addottorato specializzandosi in filosofia romana (Seneca e Cicerone) e comparata (stoicismo e confucianesimo). Il suo lavoro è scavare nella storia delle idee, una specie di archeologia del pensiero.

Tutto sembrava procedere per il meglio: il lavoro di ricerca, l’insegnamento all’università. Certo: Stéphane presso l’UCL è contrattista, la qual cosa significa che ha un incarico a termine, che deve essere rinnovato di anno in anno – prevalentemente in funzione del budget universitario. Ciò vuol dire, in parole povere, che può essere tranquillamente lasciato a casa da un anno all’altro.

Ma non è la precaria situazione lavorativa a preoccuparlo. Sono altre le questioni che interrogano Stéphane Mercier, e sono quelle poste dalla sua coscienza di filosofo, di insegnante e di cristiano. È così che a un certo punto, apprendiamo dalle sue stesse parole, il giovane professore ha sentito sorgere in sé un appello. Certo, scavare nella filosofia antica è cosa appassionante, ma oltre alle cose interessanti ci sono anche le cose importanti. Dopo questa presa di coscienza Stéphane ha avvertito di avere un dovere morale: quello di affrontare in maniera esplicita, pur senza rinunciare all’argomentazione razionale, i temi più attuali della questione antropologica. A cominciare dall’aborto.

Così Mercier ha deciso di basare le sue lezioni su una nota intitolata “La filosofa per la vita” con sottotitolo “contro un presunto «diritto di scegliere» l’aborto”. Nel testo si leggono affermazioni davvero sovversive per la mentalità comune. Come questa: «L’idea che difenderò è che ogni aborto, senza eccezioni, è un male e che mai nessuna circostanza lo giustifica, contrariamente a quanto si sente dire un po’ dappertutto oggi, e in una misura che tende ad anestetizzare il dibattito».

In effetti non è l’unica affermazione poco “narcotica” della nota. Un altro esempio si trova nel passo in cui Mercier, dopo aver paragonato l’antilingua abortista alla neolingua orwelliana, scrive che «‘IVG’ è un eufemismo che dissimula una menzogna: la verità è che l’aborto è l’assassinio di una persona innocente. Ed è pure un assassinio particolarmente abietto perché l’innocente in questione è indifeso. Già l’assassinio di un innocente in grado di difendersi è un’azione ripugnante; ma prendersela con qualcuno che non ha la forza o i mezzi per difendersi è ancora più ignobile».

Il giovane professore definisce poi di una «stupefacente assurdità» la posizione di chi sostiene che “io non abortirei mai ma… ”, prendendo di petto l’idea che l’aborto possa essere riprovato sul piano morale ma non su quello legislativo perché, si dice, deve prevalere la “libera di scelta”. «Immaginate adesso – obietta Mercier – che lo stesso individuo dichiari che a titolo personale trova che lo stupro sia veramente immorale, ma che, per «rispettare la libertà di tutti» (salvo forse quella della vittima) non bisogna però renderlo illegale. Assurdo, evidentemente! Ebbene, se l’aborto è un omicidio, come abbiamo detto, non è ancora più grave dello stupro? Lo stupro è immorale e, fortunatamente, è anche illegale. L’aborto, che è ancora più immorale, non dovrebbe a maggior ragione essere anch’esso illegale?».

Come si può vedere sono parole secche, dai contorni netti. E che oggi suonano più che mai crudeli. Eppure Fabrice Hadjadj ci aveva avvertiti: in tempi in cui essere “buoni” vuol dire essere “aperti” alla realizzazione di ogni desiderio, quale che sia, «la carità è chiamata a sembrare sempre più crudele, la misericordia sempre meno compassionevole». I cristiani diventano i difensori del limite davanti a uomini che, volendosi senza limiti, li incolpano perciò di ogni nefandezza.

I guai per Mercier cominciano a metà marzo, quando qualche studente trasmette la nota (riservata ai soli corsisti dell’UCL e non rivista dal docente) al collettivo femminista Synergie Wallonie, che la pubblica in rete col solito contorno di schiamazzi e virtuosa indignazione.

Dopo questa denuncia, prontamente rilanciata dai mass media, l’«affaire» del professore antiabortista infuria sui social network (inutile dire che a Mercier tocca il solito linciaggio morale).

Arriviamo così al 21 marzo quando, dopo aver preso tempo per una settimana, l’Università di Lovanio reagisce con uno sconcertante comunicato in cui informa di aver convocato Mercier «allo scopo di chiarire lo statuto di questo scritto [la nota incriminata; NdC] e l’uso eventuale che ne è stato fatto nell’ambito del suo insegnamento».

Ma il peggio deve ancora venire: «Qualunque sia l’esito dell’accertamento», si legge più avanti nel comunicato, «il diritto all’aborto è inscritto nel diritto belga e la nota a conoscenza della UCL è in contraddizione coi valori condivisi dall’università. Il fatto di veicolare posizioni contrarie a questi valori nell’ambito di un insegnamento è inaccettabile».

A rincarare la dose, sul profilo Twitter della UCL appare questo cinguettio: «L’Università di Lovanio rispetta il diritto all’aborto e dunque il diritto di scelta delle persone».

Una presa di posizione non solo vergognosa ma anche dilettantesca, dato che in linea di principio la legge belga non riconosce, come quella italiana del resto, alcun «diritto all’aborto». Così come vergognoso e dilettantesco è il dietrofront col quale di lì a poco il comunicato viene oscurato dal sito della UCL (senza considerare che potesse rimanere accessibile attraverso la copia «cache» di Google, dove ancora oggi è visibile a tutti). Qualcuno deve aver ritenuto che cotanto zelo fosse eccessivo. Ma non ha fatto i conti con la memoria da elefante della rete…

E così tre giorni dopo, il 24 marzo, l’UCL deve far uscire un nuovo comunicato “corretto”. Vale la pena di leggerlo per intero: «All’inizio della settimana l’UCL è stata interpellata riguardo una nota utilizzata nell’ambito di un corso e redatta da uno dei propri docenti, Stéphane Mercier, sul tema dell’aborto. Dopo aver ascoltato Stéphane Mercier le autorità dell’UCL hanno deciso di avviare una procedura disciplinare a suo carico. L’istruttoria è ancora in corso. L’UCL ha deciso inoltre di sospendere fino a nuovo ordine i due corsi di cui Stéphane Mercier è titolare. L’UCL ricorda che, nello spirito della legge che depenalizzava l’aborto votata nel 1990, essa rispetta l’automonia delle donne nel compiere questa scelta nelle circostanze precisate dal legislatore».

Il 27 marzo viene scritta un’altra brutta pagina di questa vicenda. Le coincidenze qui sono significative. Il giorno prima, domenica 26 marzo, circa 2000 partecipanti della Marcia per la Vita di Bruxelles accolgono Mercier come un eroe («Sono qui come essere umano, come filosofo, come credente», dice loro il professore sospeso, che ribadisce poi quella che agli occhi di un cattolico appare come una ovvietà ovvero che «una università cattolica dovrebbe ugualmente difendere la dignità della vita»).

L’indomani, su Le Soir, non un “quidam de populo” ma il portavoce della Conferenza episcopale belga, il gesuita Tommy Scholtès, prende però le distanze dal filosofo in maniera molto dura. Al giornale Scholtès dichiara che «le parole di Stéphane Mercier mi sembrano caricaturali. La parola omicidio è troppo forte: suppone una violenza, un atto commesso in piena coscienza, con un’intenzione, e questo non tiene in conto la situazione delle persone, spesso nel più grande sconforto».

«Tali formule», insiste il gesuita, «non aiutano veramente la Chiesa, specialmente alla luce dell’appello per la vita lanciato dal Papa» che, ricorda il portavoce dei vescovi belgi, «si appella anche alla misericordia: dobbiamo mostrare comprensione, compassione».

Padre Scholtès, che si fa più prudente quando si tratta di entrare nelle vicende interne della UCL («L’UCL e i vescovi del Belgio sono due cose al tempo stesso vicine e differenti. Non abbiamo consigli da dare su quel che dice l’Università»), conclude distanziandosi anche dalla Marcia per la vita, ricordando che essa è il frutto di un’iniziativa privata ispirata da cattolici, e non di una iniziativa ufficiale.

Sempre la stessa edizione di Le Soir informa di un altro duro attacco a Mercier, al quale un pugno di studenti rivolge l’immancabile accusa di «omofobia e transfobia». Lo psicoreato si sarebbe consumato durante un corso tenuto il 16 marzo nel quale, si legge in un comunicato studentesco, «il professore definisce la lotta contro le discriminazioni di genere come una “criminalizzazione di un discorso giudicato deviante dall’ideologia gender”». Il professore, prosegue il comunicato, avrebbe anche criticato il “mariage pour tous”. Puntualissima, neanche da dirlo, giunge anche la reazione del prorettore dell’UCL, Marc List, che registra freddamente le accuse: «Aggiungeremo questi nuovi elementi al dossier della procedura disciplinare in corso. Lo faremo nel rispetto delle norme giuridiche e dello statuto del personale».

Giova ricordare che l’Università Cattolica di Lovanio ha un dipartimento di studi di genere. Per capire che aria tiri basta dare un’occhiata al profilo Twitter di Tania Van Hemelryck, la consigliera del rettore per le politiche di genere che cita con entusiasmo la «battaglia di Simone Veil per il diritto d’aborto». Il 22 marzo Van Hemelryck ritwitta invece con convinzione il lancio della fanzine femminista “The Repro Right Zine”, nata «per informare sui diritti sessuali e riproduttivi. Necessaria e senza tabù».

In un’intervista a La libre Belgique Mercier si difende dall’accusa di omofobia: «Rispondo che è un’accusa senza fondamento. Durante un corso, in effetti, mi prefiggevo di esporre una critica filosofica in piena regola all’ideologia del gender (in particolare al gender queer o omosessualista rappresentato da Judith Butler). Più esattamente, ho presentato un riassunto sintetico dei contenuti delle due opere seguenti: “La loi du genre” [La legge del genere] di Drieu Godefridi (Les Belles Lettres, 2015) e “La théorie du genre ou Le monde rêvé des anges” [La teoria del genere o Il mondo di sogno degli angeli] di Bérénice Levet, con prefazione di Michel Onfray (Livre de poche, 2016). Queste opere, delle quali ho riassunto il contenuto al corso, sono state pubblicate da autori che sono tutti filosofi, non necessariamente dei filosofi cattolici. Credo di non aver bisogno di precisare chi sia Onfray [filosofo anarchico e ateo, autore del noto “Trattato di Ateologia”; NdC]. Quanto a Godefridi, lui si dice libero pensatore. Sulla questione del genere sono in grandissima parte d’accordo con le critiche severe che esprimono e per i motivi strettamente filosofici che esprimono in queste opere. Prendo atto che questi testi sono stati pubblicati da case editrici parigine del tutto rispettabili (Les Belles Lettres, Le livre de poche, e, inizialmente, Grasset&Fasquelle per il saggio di Levet, e Le nouvel observateur per la prefazione di Onfray); non credo dunque che si possa essere tacciati di “omofobia” o di “transfobia” proponendo una sintesi dei punti di vista filosofici sviluppati in opere pubblicate in maniera onesta, legale e legittima da ben note case editrici. Ho senz’altro citato altre fonti, accanto a quelle menzionate poc’anzi. In particolare Tony Anatrella, ma ho fatto riferimento anche a Pascal Bruckner e ho certamente citato, per la parte avversa, Judith Butler e Naomi Wolf. Tutti autori pubblicati, e le cui opere, a quanto mi è noto, non sono state oggetto di censura. Ma se sono male informato basta che mi venga indicato, indicandolo magari anche alle librerie che propongono tutti questi testi nel loro catalogo».

Il 28 marzo si muove anche la Conferenza episcopale belga di lingua francese con un comunicato dove si esprime «fiducia nella procedura interna condotta attualmente dalla UCL». «I vescovi», si legge poi nel comunicato «sperano che la discussione che sta nascendo contribuirà a una discussione serena sull’aborto nella nostra società. I vescovi sono contrari all’aborto in ragione del rispetto per la vita. Secondo il diritto belga non esiste un diritto all’aborto. La legge prevede che l’aborto possa essere praticato a certe condizioni stabilite dalla legge senza incorrere in conseguenze penali. La legge prevede così in quali casi l’aborto deve essere autorizzato o meno. Ma in quanto tale l’aborto è un delitto e rientra sempre nel diritto penale».

E fino a qua la Conferenza episcopale del Belgio sembrerebbe prendere le parti di Mercier, almeno sul piano dei princìpi, se non fosse per l’ultima parte del comunicato, che ha tutta l’aria di una doccia fredda: «Anche se la Chiesa è contraria all’aborto, essa opera una distinzione tra la persona e l’atto. La Chiesa ha comprensione per il fatto che alcune donne arrivino a decidersi per l’aborto quando si trovano in situazioni pesanti, difficili oppure disperate. La gravità dell’aborto è un dramma per il bambino, per i suoi genitori e per la società. Per spirito di comprensione di queste drammatiche situazioni, i vescovi si premurano di parlare sempre con equilibrio e tatto delle persone e delle coppie che fanno la scelta di abortire».

In sé sarebbe un distinguo assolutamente superfluo, dato che la nota “incriminata” non contiene giudizi personali ma un giudizio sulla pratica (cioè sull’atto) dell’aborto. Ma di fatto questa precisazione, certamente dettata da ragioni di opportunità, rappresenta una presa di distanza.

Arriviamo dunque al 31 marzo, quando l’UCL pubblica l’ennesimo comunicato per informare di aver chiuso il dossier su Mercier con una sanzione disciplinare a carico del docente. Il comunicato conclude così, con parole dal sapore kafkiano: «La libertà accademica è alla base della missione dell’università. L’UCL ha preso le distanze dalle posizioni del Prof. Mercier e tiene a ricordare il suo profondo attaccamento al ruolo dell’università come animatrice di dibattiti e di scambi, compresi quelli su questioni controverse. Questo ruolo, essenziale per la formazione di cittadini critici e responsabili, non può esercitarsi pienamente senza garantire la manifestazione serena e rispettosa di differenti punti di vista e in una cornice fondata sul rigore scientifico. È in questo spirito che l’università ha esaminato i reclami che le sono stati rivolti».

Come si può vedere, è un capolavoro di neolingua col quale il professore Mercier viene liquidato in nome della… libertà accademica e di insegnamento! Martedì il giornalista francese Yves Daoudal ha comunicato sul suo blog il licenziamento di Stèphen Mercier a partire dal 1° aprile. In attesa di capire se l’indiscrezione ha un fondamento reale, già ora questa vicenda appare un sinistro presagio di ciò che si avvia a essere un mondo dominato dal pensiero unico. S’avanza una dittatura ideologica sempre più invasiva e aggressiva che in nome della “Libertà” con la maiuscola confisca le “libertà” con la minuscola. E che, come accadeva al tempo dei totalitarismi novecenteschi, aggredisce i propri oppositori cercando di distruggerli e intimidirli sul piano personale.

Ma che dire di un’Università come quella di Lovanio, che ancora si dice cattolica pur professando “valori” opposti a quelli del Catechismo? In una intervista al giornale Reinformation Mercier difende la propria correttezza deontologica e invoca la libertà accademica. Il giovane professore afferma anche di essere sempre stato consapevole che parlare in quella maniera di aborto e gender avrebbe potuto comportare pesanti conseguenze sul piano professionale.

La realtà, afferma Mercier, è che il rapporto tra la Chiesa e l’UCL è assai nebuloso, anche se ai vescovi spettano il controllo e la gestione dell’istituto accademico. Da statuto infatti l’UCL è presieduta dall’Arcivescovo di Malines-Bruxelles (attualmente è il cardinale Joseph De Kesel) che è titolare della carica di Gran Cancelliere.

Una querelle come questa, spiega Mercier, «mette molto a disagio le autorità universitarie. Più precisamente, il reale rapporto – rapporti di forza, rapporti istituzionali – tra la Chiesa e l’UCL ha qualche cosa di un poco vago, di un poco confuso. Evidentemente la discussione attualmente in corso espone questa situazione confusa sotto i riflettori e sembra costringerle a chiarificare una situazione che avrebbero preferito rimanesse nebulosa, tale e quale a prima, coi vescovi che intervengono poco o nulla, mentre ora sono messi davanti al fatto compiuto di una università che afferma come propri valori che con tutta evidenza sono differenti dai valori della Chiesa cattolica».

Ciò spiega l’evidente imbarazzo con cui la chiesa belga sta gestendo lo spinoso caso Mercier – il quale racconta di aver ricevuto supporto, a titolo individuale, da diversi sacerdoti e seminaristi, oltre che da molti colleghi, religiosi o laici. Del resto, come ha ricordato Marco Tosatti sulla Nuova Bussola Quotidiana, in passato l’UCL e la Santa Sede erano entrate in rotta di collisione, in particolare sui temi della ricerca sulle staminali embrionali e sulla fecondazione artificiale.

Suscita preoccupazione sapere che una Università che ha come motto “Sedes Sapientiae” sia arrivata ad omologarsi alle ideologie dominanti, dal gender all’abortismo. Stando così le cose – ha commentato il giornalista ticinese e esperto di cose vaticane Giuseppe Rusconi – per assurdo nemmeno papa Francesco potrebbe insegnare a Lovanio, visto che ha definito l’aborto un «crimine orrendo» e il gender come qualcosa di demoniaco e contrario all’ordine creato.

La situazione ecclesiale d’altro canto non pare migliore, con una chiesa carente di spirito profetico, talmente timorosa di smuovere equilibri politici da dare l’impressione di mercanteggiare con la stessa verità che proclama… Si scorge anche, dietro a questi tremebondi tentennamenti, l’antica tentazione del clericalismo: il compromesso al ribasso tra potere spirituale e potere temporale. Augusto Del Noce intravedeva l’ombra del clericalismo dietro a ogni ansiosa ricerca di un «accordo con l’«ala marciante» della storia».

Una chiesa malata di clericalismo è la negazione di se stessa. Tanto è vero che una chiesa siffatta disattende il magistero del Papa (come da abitudine di tanti sedicenti “bergogliani”) nel momento stesso in cui moltiplica gli omaggi e le riverenze nei suoi confronti. Viene il sospetto che l’icona di papa Begoglio, presso tali adulatori, non sia altro che una foglia di fico messa lì a nascondere quella che Francesco stesso ha definito «mondanità spirituale». Si consuma così il peggiore dei tradimenti: la riduzione dello spirito alle umanissime strategie della politica politicante.

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06/04/2017
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